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mercoledì 5 ottobre 2016

Vaticano, 5 novembre 2016 - Incontro con Joao Pedro Stedile e papa Bergoglio sulla equità nel lavoro agricolo


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Care amiche e cari amici, nella prima consultazione che abbiamo promosso tra movimenti e realtà organizzate in Italia in risposta all'invito di Joao Pedro Stedile di prendere parte all'incontro del 5 novembre 2016 in Vaticano, in cui culminerà la terza edizione dell'incontro dei movimenti popolari con papa Francesco, ci sembra sia emerso un interesse piuttosto chiaro, accanto ad alcune legittime perplessità.

Quello che ci sembra è che, al di là dei limiti di questo processo, che possono apparire più o meno digeribili – a partire dai dubbi di chi ritiene che i movimenti italiani avrebbero dovuto avere voce in capitolo sull'organizzazione della giornata, dimenticando però che questo evento è promosso in prima istanza dal Vaticano - , l'invito di Joao Pedro rappresenta per tutti noi un'opportunità.

Sappiamo tutti fin troppo bene le difficoltà in cui si dibattono tutte le nostre realtà, dal calo generalizzato di partecipazione a una frammentazione sempre più evidente e drammatica. E sappiamo anche come, ad oggi, di fronte al logoramento - o, perlomeno, al ridimensionamento - di strumenti come il Forum Sociale Mondiale, manchino reali occasioni di incontro e di confronto tra realtà anche molto distanti tra loro. 

L'incontro con i rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo – movimenti realmente rappresentativi dei popoli sfruttati del nostro pianeta, come è risultato chiaro nelle due precedenti edizioni a Roma e in Bolivia – può costituire in questo quadro un'opportunità non tanto di ricostruire una rete – obiettivo in questo momento forse troppo ambizioso – ma perlomeno di iniziare a stabilire condizioni perché si possa riallacciare un dialogo oggi davvero assai carente.

In questo senso, per quanto possa risultare difficile accettare questo o quel compagno di strada o questa o quella modalità organizzativa (come, in fondo, è sempre stato difficile, anche ai tempi di Genova), ci sembra che in questo momento la priorità sia garantire la presenza dei nostri movimenti e delle nostre realtà a un processo mondiale – quello a cui Joao Pedro ci ha invitato a prendere parte - di cui non sappiamo ancora cosa esattamente attenderci, ma che può portare qualcosa di buono e di utile per una nuova stagione di lotte a livello italiano e internazionale.

Pertanto, a fronte dell'interesse manifestato da molti di voi, si è deciso di dar seguito all'iniziativa, a cui peraltro stanno lavorando realtà vicine al Vaticano e legate agli organizzatori argentini. Dal comitato internazionale abbiamo appreso che l'idea è quella di dare voce, durante il pomeriggio di sabato 5 novembre, ad alcuni dei 180 delegati internazionali e ad alcuni dei rappresentanti delle realtà italiane.

Dovremo riaggiornarci sui criteri con cui si procederà alla scelta di tali rappresentanti e sulle modalità pratiche di partecipazione all'incontro, a partire da un invito formale del cardinal Turkson, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace già tra i promotori dei precedenti incontri dei movimenti con il papa.

Potete confermarci la vostra disponibilità a prendere parte a questo evento?

Serena Romagnoli e Claudia Fanti - Amig@s Mst Italia 

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LA LOTTA DEI MOVIMENTI FA BENE ALL’UMANITÀ.
L’INCONTRO DELLE ORGANIZZAZIONI POPOLARI IN VATICANO

Claudia Fanti

31/10/2014
Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 08/11/2014

È stato un momento storico quello che, dal 27 al 29 ottobre del 2014, ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo, invitati a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco: una sorta di Assemblea dei movimenti popolari, come quelle tenutesi durante i Forum Sociali Mondiali, ma nell’inedita e sorprendente cornice vaticana, convocata con il preciso obiettivo di individuare le cause strutturali dell'esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale a partire da tre grandi tematiche: Pane (lavoratori dell'economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Casa (insediamenti informali e problematica delle periferie urbane). Più alcune sessioni parallele su Ambiente e Cambiamenti Climatici e Movimenti per la Pace.
Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, introducendo i lavori. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale «voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo», nella convinzione che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, «è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui», rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, «non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui», ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo.

Vedere…
Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire.
A prendere la parola sono stati quindi i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina Internazionale, la quale ha espresso tutto l'orgoglio dell'identità contadina, della missione – la più nobile che vi sia – di garantire alimenti sani per tutta l'umanità, proteggendo al contempo la Madre Terra. Ma anche denunciando l'avanzata senza freni del capitale sulle campagne; la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi; il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine; il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l'imposizione delle colture transgeniche.
E non si poteva parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell'emergenza ambientale e climatica, «un problema – ha sottolineato l'esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – che si trasformerà ben presto in un disastro». Per risolverlo, secondo Ramanathan, occorre operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell'aiuto dei leader religiosi. È un problema, peraltro, che chiama in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale.
E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell'Etc Group, ricordando come l'1% più ricco dell'umanità controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. «Gli esperti chiamano Antropocene l'attuale fase planetaria, per sottolineare l'impatto dell'umanità sulla vita della Terra. Non sono d'accordo», ha concluso: «Quella attuale è l'era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale».

... giudicare…
Dedicata alla riflessione sulle questioni di emarginazione sociale alla luce dell’insegnamento di papa Francesco, la seconda giornata dei lavori ha avuto il suo culmine proprio nell'incontro con il papa, il quale ha esordito riconoscendo il protagonismo dei poveri, che non sono solo coloro che soffrono l'ingiustizia, ma anche coloro che lottano contro l'ingiustizia, che non aspettano passivamente gli aiuti degli organismi internazionali, che non attendono da altri soluzioni che non arriveranno mai.
Al principio, ha sottolineato il papa soffermandosi sul primo dei «diritti sacri» che devono essere garantiti a tutti - terra, casa, lavoro - Dio ha creato l'essere umano come custode del creato. Un compito tradito con l'accaparramento di terre, con la deforestazione, con l'appropriazione delle fonti d'acqua, con la trasformazione del cibo in merce. Contro tutto ciò, il papa ha dichiarato con forza che «la fame è un crimine», «l'alimentazione è un diritto inalienabile», «la riforma agraria è non solo una necessità politica, ma un obbligo morale».
Quanto alla casa, il secondo dei diritti sacri, ha ricordato che le città che conosciamo, nel momento stesso in cui offrono tutti i servizi possibili a una minoranza ricca, negano un tetto a migliaia di abitanti, chiamati elegantemente «persone di strada»: è incredibile – ha notato il papa – quanto proliferino gli eufemismi nel mondo dell'ingiustizia. E come, dietro a ogni eufemismo, si nasconda sempre un crimine. Basti pensare alle tristi immagini degli sgomberi forzati, così simili a «immagini di guerra».
Infine, il lavoro: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che impedisce alle persone di guadagnarsi il pane», come conseguenza di un sistema economico che pone gli interessi privati al di sopra della persona e dell'umanità, e come espressione di una cultura dello scarto che trasforma l'essere umano in un bene di consumo, in nome «di un sistema che mette al centro il dio Denaro». Un'aggressione a cui in tanti rispondono reinventandosi un'occupazione nell'ambito dell'economia popolare e del lavoro comunitario e questo, ha detto il papa, «non è solo lavoro, è poesia».
E, per terminare, un'esortazione ai movimenti popolari, perché continuino a organizzarsi, rivitalizzando le nostre democrazie, in maniera che non vi sia più nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza diritti. «Voi avete i piedi nel fango, sapete di polvere di strada, di popolo, di lotta. Senza di voi – ha detto – tutti i buoni propositi dei discorsi ufficiali rimangono lettera morta»: «Continuate a lottare perché la vostra lotta è una benedizione per l'umanità».
E se una delle grandi sfide dei movimenti popolari è, come ha evidenziato Margaret Archer, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quella di tradursi in «forma legittima di governo», secondo il principio di «una democrazia partecipativa che trasmetta dal basso verso l'alto le esigenze dei poveri», nessuno era più indicato di Evo Morales, leader cocalero diventato presidente della Bolivia, per affrontare la questione.
Ed è con il suo racconto dell’esperienza di rifondazione della Bolivia che si è conclusa la seconda giornata dei lavori, evidenziando la necessità per i movimenti di passare dalla fase della resistenza a quella dell'appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale, in nome di una democrazia che rappresenti gli interessi del popolo e non del mercato e che sia dominata non dalla logica della maggioranza e della minoranza, ma da un processo decisionale fondato sul consenso.
Ma se apprezzatissimo è stato il discorso del papa, non sono comunque mancate critiche all'istituzione ecclesiastica: al ruolo da questa giocato nel passato, nei confronti per esempio dei popoli indigeni, e nel presente, riguardo, ad esempio, al sostegno prestato al colpo di Stato in Honduras, sulle cui conseguenze si è soffermata un'appassionata lettera consegnata a papa Francesco dal Copinh (Consejo civico de organizaciones populares e indigenas de Honduras) e letta in plenaria dalla dirigente Berta Caceres: «Vogliamo che in Honduras – si legge nella lettera – rinasca una Chiesa impegnata con i più impoveriti e le più impoverite, come auspicavano i nostri santi e i nostri martiri, da p. Guadalupe Carney a mons. Romero, non con cardinali che concedono la loro benedizione a colpi di Stato e a sistemi di potere che perseguitano quanti percorrono il cammino di liberazione all'interno della stessa Chiesa». Dove il riferimento è chiaramente al card. Rodriguez Maradiaga, ribattezzato dal suo popolo, all'epoca del colpo di Stato, "cardinale golpista" o "cardeMal", per il suo aperto appoggio al regime golpista, e poi scelto da papa Francesco per presiedere il gruppo di cardinali incaricato di elaborare un progetto di riforma della Curia.

Agire!
L'ultimo giorno dei lavori è stato invece incentrato sull'elaborazione e la discussione dei documenti finali dell'incontro, quelli ad uso interno come pure la Dichiarazione finale dell'incontro dei movimenti popolari (che può essere letta sul sito www.movimientospopulares.org). Né è mancata una sintesi di tutto il dibattito svoltosi nell'ultimo giorno, affidata a João Pedro Stedile, leader del movimento dei Senza Terra, e a Paola Estrada, dell’Alba dei movimenti, e articolata attorno ai tre ambiti tematici della terra, del lavoro e della casa.
Così, rispetto alla Terra, il proclama «non vi sia nessun contadino senza terra» va affiancato a quello «nessun popolo senza il suo territorio»: i movimenti popolari sono chiamati a lottare per una Riforma Agraria Popolare, integrale, democratica, centrata sulla sovranità alimentare, sull'accesso universale all'acqua, sul controllo delle sementi, sull'agroecologia, sulla produzione di alimenti sani per tutto il popolo.
E poi, sviluppando il principio «non vi sia nessun lavoratore senza diritti», occorre lottare perché tutti abbiano diritto a un lavoro degno e a un reddito tale da garantire una vita dignitosa, perché a tutti vengano riconosciuti i diritti del lavoro e perché tutti possano trovare lavoro nei propri luoghi di vita, senza essere costretti ad emigrare. Ma i movimenti sono anche chiamati a lottare contro ogni forma di discriminazione e ogni forma di schiavitù e a denunciare la subordinazione di Stati, governi e sindacati agli interessi delle transnazionali.
In base quindi al principio «non vi sia nessuna famiglia senza una casa dignitosa», i movimenti si impegnano, tra l'altro, a trasformare le periferie degradate in spazi comunitari di solidarietà e buen vivir, a combattere la speculazione finanziaria e immobiliare, a promuovere processi di autogestione cooperativa, a lottare per il diritto al ritorno di tutte le popolazioni sfollate, a difendere occupazioni collettive di edifici e di terreni inutilizzati per risolvere il problema della casa.
Accanto a questi, altri impegni sono stati proposti dai rappresentanti dei movimenti, come la creazione di una rete di solidarietà che consenta di mobilitarsi contro ogni caso di ingiustizia e di persecuzione in qualsiasi Paese del mondo, la collaborazione con tutte le tradizioni religiose per coscientizzare il popolo sulla necessità dell'organizzazione, il ricorso all'insegnamento di papa Francesco per diffondere tra i popoli l'esigenza di lottare per i cambiamenti necessari nel mondo, la promozione di nuovi modi di consumo e di nuovi stili di vita, in maniera, ha evidenziato Stedile, che «nessun lavoratore insegua il sogno di diventare un piccolo borghese». Infine, l'accento dei delegati è stato posto sulla necessità di continuare a riunire i settori organizzati in lotta per la terra, il lavoro e la casa, di creare una piattaforma di comunicazione tra i partecipanti per la promozione di azioni comuni, di mantenere un dialogo continuo con papa Francesco in vista della creazione di un'istanza di collaborazione permanente.

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COSÌ NON SI PUÒ ANDARE AVANTI. IL GRIDO CONGIUNTO DEI MOVIMENTI E DELLA CHIESA

Claudia Fanti

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 18/07/2015


38197 SANTA CRUZ DE LA SIERRA-ADISTA. In un pianeta ferito e sanguinante, la speranza ha il volto di chi ancora crede possibile costruire un mondo più umano e lotta per farlo diventare reale. Perché non vi sia più «nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza lavoro». È nel segno di questa speranza che si è svolto, dal 7 al 9 luglio, a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il II Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari – dopo quello realizzato in Vaticano nell'ottobre del 2014 –, culminato il 9 luglio con il discorso di papa Francesco (v. notizia successiva). Un evento a cui hanno preso parte 1.500 rappresentanti di movimenti provenienti da 40 Paesi, in massima parte del Sud del mondo, impegnati ad approfondire gli stessi temi del precedente incontro, “Terra, Casa, Lavoro”, nella consapevolezza, evidenziata in apertura, che «avremo senza dubbio un lungo cammino da percorrere», ma che, grazie all'appoggio del papa, «potremo farlo con un migliore accompagnamento».
Un'alleanza, quella tra i movimenti e la Chiesa, su cui ha posto l'accento, durante la cerimonia di inaugurazione, anche il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: se il compito di realizzare un processo di cambiamento in difesa della Terra e della dignità delle persone, ha dichiarato il cardinale, «non è esclusivo dei leader religiosi, degli scienziati, dei politici o degli imprenditori», ma interessa tutta l'umanità, il clamore e le pressioni dei poveri «sono di vitale importanza perché i potenti del mondo comprendano che così non si può andare avanti». E il compito della Chiesa è «ascoltare questo grido e unirsi ad esso», sostenendo i processi di organizzazione con cui i poveri resistono «all'esclusione sociale, a una scandalosa disuguaglianza e alla devastazione dell'ambiente», cercando di risolvere da sé «i problemi di accesso alla Casa, alla Terra e al Lavoro a cui né gli Stati né il Mercato danno risposta». Allo stesso modo, ha proseguito Turkson, la Chiesa è chiamata a riconoscere e promuovere le forme, proprie dei poveri, dei contadini e dei popoli indigeni, e alternative a quelle egemoniche, di «fare politica (organizzazione comunitaria), di sviluppare l'economia (economia popolare) e di custodire la natura (ecologia popolare)», lottando contro il saccheggio delle risorse naturali: i movimenti, ha sottolineato Turkson, «non vogliono che si privatizzi l'acqua, né il sottosuolo, né il mare. Non vogliono che le transnazionali abusino della terra praticando, per esempio, un'attività mineraria inquinante o l'estrazione di idrocarburi con la tecnica della fratturazione idraulica (fracking), né che si usino i transgenici per sfruttare i contadini o concentrare la terra in poche mani, né che si distrugga la pesca artigianale attraverso una devastante industria ittica». E la Chiesa deve accompagnare le loro preoccupazioni e le loro lotte «per i doni della creazione». Così, è nel quadro di tale accompagnamento che, secondo Turkson, si è inscritto questo II Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, al fine di perpetuare «nel tempo la comunicazione, la cooperazione e il coordinamento tra gli stessi movimenti di base e tra questi e la Chiesa a tutti i suoi livelli».
Un dialogo che, rispetto all'incontro in Vaticano del 2014 (dove i relatori erano essenzialmente esponenti di movimenti popolari), si è tradotto anche in una maggiore presenza di vescovi tra i relatori delle plenarie: mons. Luis Infanti de la Mora, vescovo di Aysén, nella Patagonia cilena, nella sessione dedicata alla Terra; Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, in Messico, in quella dedicata al Lavoro; Guilherme Antônio Werlang, vescovo di Ipameri, in Brasile, in quella dedicata alla Casa. Ma se la cooperazione con la Chiesa cattolica si rafforza, rimane tuttavia il nodo di cosa fare con le altre tradizioni religiose dell'umanità, per evitare che la grande articolazione internazionale di movimenti popolari che si punta a costruire resti ancorata appena al Vaticano.
Svoltasi alternativamente in plenaria e in gruppi di lavoro, la riflessione – a cui ha preso parte, durante la cerimonia di inaugurazione, lo stesso presidente Evo Morales, il quale, come già avvenuto durante l'incontro in Vaticano, non ha perso occasione di magnificare i risultati raggiunti dal suo governo – è ruotata attorno alle tre “T”, Tierra, Trabajo e Techo, a cominciare dalla questione della sovranità alimentare come programma dei popoli in opposizione all'agribusiness, nella consapevolezza che, come ha sottolineato João Pedro Stedile, il grido di Zapata “Terra a chi la lavora” non basta più, ma si rende necessaria una radicale trasformazione in campo agricolo, in maniera da garantire la democratizzazione non solo della terra ma anche dell’acqua, della biodiversità, dei semi (il cui mercato, ha denunciato Silvia Ribeiro dell'Etc Group, è controllato all'80% da appena 10 imprese) e da assicurare la produzione di alimenti sani per tutto il popolo. L’accento è stato quindi posto sulle molteplici esperienze di lotta e sulle diverse forme di organizzazione attraverso cui la classe lavoratrice combatte l'esclusione prodotta dal sistema capitalista, come pure sulla sempre più necessaria costruzione di un'alleanza di tutti i lavoratori, compresi quelli del settore informale, e sulla situazione di milioni di esseri umani privati del diritto a una casa dignitosa (perché, come ha evidenziato Guilherme Werlang, «le case non sono costruite per chi ne ha bisogno, ma per chi le può pagare») e sulla necessità di recuperare la funzione sociale della proprietà per restituire la città ai lavoratori.
Una riflessione da cui sono scaturiti i 10 punti del documento finale consegnato al papa al termine dell'incontro, relativi alla necessità di portare avanti il processo di cambiamento «come risultato dell'azione dei popoli organizzati», di proteggere la Madre Terra promuovendo il modello del buen vivir proprio dei popoli indigeni, di difendere il lavoro come diritto umano, di elevare le condizioni dei quartieri popolari garantendo il diritto a una casa dignitosa, di assicurare la sovranità alimentare, di costruire una società pacifica alimentando una cultura dell'incontro, di combattere la discriminazione, di preservare la libertà di espressione, di porre la scienza e la tecnologia al servizio dei popoli, di contrastare il consumismo opponendo alla cultura dello scarto la solidarietà come progetto di vita.

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