Presentazione



In movimento per ecologie, vivere insieme, economia sostenibile, bioregionalismo, esperienza del se' (personal development).

martedì 30 settembre 2014

Prostituzione e droga, pratiche malsane di una società decadente e non voce del PIL



Vivendo nella società malsana in cui viviamo gli ottimizzatori finanziari ed i politici europei considerano la prostituzione una voce del PIL, quindi per essi se la prostituzione esiste è meglio regolamentarla per un suo miglioramento utilizzativo, esattamente e coerentemente  come  stanno cercando di fare  per il consumo di droga, e cioè: se  il tabacco e l’alcol vengono regolarmente venduti e tassati per quale motivo accettare  questi e non legalizzare l’altra? Perché mantenere sacche incontrollate di mercato abusivo, di cui si avvantaggia solo la mafia? Meglio che sia tutto legale e controllato…  Ma questa è una visione “utilizzativa”   che  posso comprendere  ma  non condividere….  A questo punto alla “legalizzazione” preferirei la “liberalizzazione” tout court, soprattutto per le sostanze di carattere naturale (come la canapa, le foglie di coca, il papavero da oppio, etc.)

Ma tornando al discorso della prostituzione, se si sente la necessità della promiscuità  sessuale sarebbe preferibile  compartecipare ad una famiglia allargata. E questo vale sia per le esigenze di uomini che di donne senza sperequazione alcuna.  Insomma nella sessualità e nella libertà personale, che non nuoccia agli altri, ci vuole elasticità, ferme restando  le attenzioni per le fasce sociali più deboli, come i minori. 

D'altronde se osserviamo le abitudini sessuali dei nostri “consanguinei” primati antromoporfi scopriamo che spesso la promiscuità è preponderante… ed è un fatto perfettamente naturale.  Come è naturale, e lo è da tempo immemorabile (sia per l'uomo che per gli animali) l'uso di sostanze inebrianti. Persino nella religione cristiana il vino è considerato elemento sacramentale. 

Ma  non ha senso  legalizzare la pratica prostitutiva solo perché si sente il bisogno di far crescere il PIL, come non ha senso degradare la società attraverso  lo smercio "certificato" di droghe od il gioco d'azzardo legale. 

Scrivevo in calce ad un mio articolo di ecologia sociale:

“La soluzione per lo scollamento sociale in corso sta nel superamento dei modelli consumistici, in primis, per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, contemporaneamente abbandonando il permanere nei grandi agglomerati urbani e rinunciando ai parossismi culturali (musiche preconfezionate, televisioni, sport idioti, giochetti virtuali, etc) in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello”.


Paolo D'Arpini

lunedì 29 settembre 2014

Piticchio di Arcevia, 5 ottobre 2014 - Gestione comunitaria del territorio e del paesaggio



La gestione comunitaria del territorio e del paesaggio

Convegno nazionale e approvazione Carta 2 di Arcevia
 
5 Ottobre 2014 - Piticchio di Arcevia (AN) ore 9.00



Una giornata di cultura, di alta politica, nel senso nobile del termine, e di festaUn evento di valore anche pratico,
in cui discuteremo sul modo di essere e funzionare di una nuova società e civiltà italiana più evoluta
e sul modo di realizzarla.

In questo saremo aiutati:

*  della Carta 2 di Arcevia dallo stesso titolo

*  da 
relatori importanti, fra cui il vicepresidente emerito della Corte costituzionale, Paolo Maddalena
*  dalla nostra stessa 
presenza e dall'energia positiva che si sta costruendo sull'evento
*  dalla volontà di 
collegarci e proseguire insieme il percorso,
    al fine di realizzare concretamente questa visione di società, esente da crisi economiche,
    ecologica, solidale, comunitaria, partecipativa, felice. 


Siete tutti invitati a partecipare.

Nella carta 2 di Arcevia (allegata in versione completa e sintetica), dallo stesso titolo del convegno, si delinea come dovrebbe essere e funzionare una società nuova e migliore, a conduzione comunitaria, si vedono esempi già esistenti che vanno in quella direzione, e si prospetta come estenderli a tutta la società.  Se riuscite leggetela.

Ma a parte gli scritti, sarà importante incontrarsi fisicamente, per creare una rete sempre più ampia di persone interessate a questi temi e ad un cambiamento concreto, chiaro, condiviso e positivo della nostra società.

PRENOTAZIONE.  
La partecipazione al convegno è gratuita, ma occorre prenotarsi scrivendo a info@laterraeilcielo.it o telefonando al 0731-981906, possibilmente entro il 30 settembre.
Prenotazione necessaria anche per partecipare al pranzo collettivo biologico vegetariano (euro 15).  Chi preferisce può pranzare al sacco o presso ristoranti vicini.

REDAZIONE CARTA.  Chi vuol mandare una proposta di modifica alla Carta 2 di Arcevia può scrivere a carta-arcevia@liste.reesmarche.org
PREMIO PER TESI DI LAUREA  Ci sarà un piccolo premio per tesi di laurea sulla gestione e difesa del territorio e del paesaggio e sulle forme di gestione comunitaria o collettiva del territorio.
Tutte le informazioni sul PROGRAMMA e sugli altri aspetti del Convegno li trovate attraverso i link riportati qui sotto
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CONVEGNO "La gestione comunitaria del territorio e del paesaggio"
e approvazione "CARTA 2 di Arcevia"

5 Ottobre - Piticchio di Arcevia AN  c/o La Terra e il Cielo:

Programma del Convegno "La gestione comunitaria del territorio e del paesaggio"

Testo de "La Carta 2 di Arcevia"

Premio per tesi di laurea sul territorio e il paesaggio

Convegno e Carta 2 di Arcevia - Aspetti organizzativi -

I relatori della giornata

Home page La Terra e il Cielo

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domenica 28 settembre 2014

Spilamberto settembrino in Poesiafestival



Stamattina mi sono decisa ad uscire dal torpore che mi aveva avvolto nella giornata di ieri. C'è il Poesiafestival tra Spilamberto ed i Comuni limitrofi in questi giorni, ma io, un po' poco portata per la poesia scritta, un po' pigra di natura e non troppo amante degli assembramenti, me n'ero rimasta a casa, non senza aver fatto le mie passeggiate quotidiane, in solitudine, accompagnata solo dalla fida Magò.

Oggi invece mi sono alzata con le migliori intenzioni e dopo aver sbrigato alcune faccende domestiche, mi sono incamminata in direzione della Rocca Rangoni, in cui era fissato un incontro con diversi poeti, a partire dalle 10.


All'arrivo ho dato un'occhiata frettolosa alla bancarella dei libri degli autori della mattinata, poi mi sono seduta. L'incontro è cominciato con un triste annuncio: il primo autore previsto, Mario Benedetti, era assente in quanto con grossi problemi di salute: è in coma, colpito da un infarto una settimana fa circa. Alberto Bertoni, con cui doveva dialogare, ha detto su di lui poche parole ed ha letto alcune sue poesie. Poi è stata la volta di Franco Buffoni, che dialogava con Roberto Galaverni ed ha letto diverse sue poesie. La platea di certo non numerosa come quella del vicino Festival della Filosofia o di altri incontri di questo Festival della Poesia, era molto attenta. 


La poesia purtroppo è un'arte un po' desueta, diciamo per estimatori, richiede una sensibilità particolare ed anche un certo "raccoglimento", infatti la vedo poco all'interno di un Festival, anche se, devo dire che mi ha fatto molto piacere ascoltare questo modo diverso di approcciarsi con la realtà, trovando appunto "la Poesia" anche nelle faccende banali della quotidianità: l'Amore, la Morte, il gioco e, appunto, la Vita. 

Il momento in cui ha raccontato di essere omosessuale, ma di averlo saputo esprimere solo dopo un periodo di amore "etero" è stato, per me, toccante. Poi sono seguiti autori triestini: Covacich, Nacci e Sinicco. Ho ascoltato solo i primi due, poi era ora per me di rientrare per preparare il pranzo per me e per Viola. Nell'uscire ho acquistato un paio di libri (Buffoni e Covacich). 

Mi sembrava quasi che questa seppur breve immersione nella poesia mi avesse dato la possibilità di vedere il bello e l'armonia anche in quello che c'era fuori da quel cortile della Rocca che si presta molto bene a questo tipo di incontri. E' bello e raccolto. Così ho visto passare e fotografato due Fiat 500 addobbate per un matrimonio, alcuni vasi di fiori davanti ad un negozio della piazza, una donna in bianco dalla testa ai piedi (ma non una sposa), molto elegante, che avevo già notato all'interno del cortile per un cappellino molto vezzoso e fiori e piante in ogni dove. 

Mentre tornavo verso casa mi sono intenerita ad osservare un giovane virgulto di pioppo che sta crescendo di fianco al bordo del prato del Parco degli Alpini.... avrà vita breve!? Ma la Vita in generale va avanti!

Caterina Regazzi
Spilamberto - 28 settembre 2014 











sabato 27 settembre 2014

Roma, 11-12 ottobre 2014: Festival Alimentanima



Sabato 11 ottobre dalle ore 15 fino l’intera giornata di domenica 12 ottobre si terrà per la prima volta a Roma la Quarta Edizione del Festival Alimentanima. Nutrire corpo e anima. L’evento si svolgerà presso la Città dell’Altra Economia (CAE), in Largo Dino Frisullo (zona Testaccio).

Un’occasione d’incontro e confronto su temi che spaziano dall’alimentazione naturale al benessere fino alla spiritualità, dall’economia all’ecologia alternative; sarà possibile, inoltre, conoscere realtà di volontariato ed esperienze di solidarietà, sarà allestito uno spazio dedicato ai più piccoli con laboratori e spettacoli e tante proposte culturali anche per i grandi.


Promotrice dell’evento è la Libera Associazione Volontaria Ananda Marga, attiva nell’insegnamento dello Yoga e della meditazione e nella realizzazione di progetti di volontariato in varie parti del mondo.


L’intera iniziativa è organizzata esclusivamente da volontari e  il ricavato del festival sarà devoluto ad un progetto di sviluppo in Burkina Faso, gestito da AMURT (Ananda Marga Universal Relief Team), una rete di volontariato diffusa in tutto il mondo. Il progetto ha l’obiettivo di favorire la scolarizzazione nel villaggio rurale di Bissiri a 12 km dalla città di Kombissiri, Burkina Faso.


Durante le due giornate sarà possibile partecipare a conferenze e workshop e approfondire tutto ciò che riguarda i cinque temi chiave dell’evento: Spiritualità, Alimentazione, Ri(E)voluzione, Solidarietà e  Salute e Benessere Naturale. Per spiritualità intendiamo l’intima ed eterna ricerca del proprio sé più profondo; per alimentazione naturale quella parte essenziale di uno stile di vita sano, equilibrato e il più possibile rispettoso dell’ambiente, che è l’indispensabile premessa per la crescita spirituale ed emotiva dell’individuo; l’idea di Ri(E)voluzione contiene tutte le forme di ricerca di modelli socio-economico alternativi, sostenibili, possibili; nel concetto di Solidarietà includiamo tutte quelle realtà e iniziative volte a favorire il benessere delle comunità a livello locale e internazionale, quali attività di volontariato, di cooperazione e di co-sviluppo, ma anche un modo di agire più libero dall’interesse personale; si parlerà anche di Salute e Benessere naturale, perché il corpo è lo strumento attraverso cui esprimiamo noi stessi e portiamo benessere anche intorno a noi: un corpo in salute costituisce la base per una vita gioiosa ed armonica.


Rispetto ai modelli economici alternativi, durante il Festival verrà presentato e discusso anche il Prout, teoria socio-economica di stampo progressivo e cooperativistico, ideata dal filosofo e spiritualista P.R. Sarkar, fondatore dell’Associazione Ananda Marga.

Oltre alle aree dedicate alle conferenze e ai dibattiti, gli spazi esterni della CAE saranno ricchi di stand e di proposte: ci sarà un’area bimbi con spettacoli e laboratori, spazi riservati alla pratica dello yoga, workshop, musica dal vivo e concerti serali.

Gli ospiti principali di quest’anno sono: Maurizio Pallante, saggista e teorico della decrescita felice, Prof. Francesco Bottacioli, scrittore, giornalista e professore universitario specializzato in di PNEIMED, Alberto Lori, giornalista, redattore RAI, Dott.ssa Marina Sozzi, tanatologa e bioeticista, autrice di Reinventare la morte (Laterza 2009) e Sia fatta la mia volontà (Chiarelettere 2014). Franco Libero Manco, saggista e presedente dell’AVA, il monaco indiano ed insegnante di Yoga, Ac. Avt. Shubatmananda, rappresentante di Ananda Marga Italia, Lorenzo Oliveri Blogger e Imprenditore sul WEB, Michele Maurizzi studioso ed esperto di PROUT, Oscar Bonelli polistrumentista di tradizione sciamanica, aborigena e tibetana e molti altri ancora.


ingresso gratuito

Per maggiori informazioni: www.alimentanima.it
alimentanima2014@gmail.com
Francesca Tel. 346/3247456

venerdì 26 settembre 2014

Garfagnana, il 3, 4, 5 ottobre 2014 - Rifugiati ecologisti al Rifugio Isera




Cari rifugisti e rifugiati, campeggiatori e gente di passaggio al 

RIFUGIO ISERA

Orecchiella - Garfagnana - Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-emiliano



 

All’inizio pochi, poi gli ospiti sono aumentati,

e tra un pranzo al sole e giornate di pioggia davanti al focolare

passeggiate, colazioni e serate spensierate

così le giornate se ne sono andate.

Tanti viandanti a piedi e a cavallo

ma anche famiglie e amici in tenda, da sballo!

Chi con valige e un po’ di timore

Chi da solo o in compagnia

han passato al rifugio Isera giornate in allegria.

Tra musica e tamburi, yoga e arte terapia

Anche gli insegnanti han passeggiato e mangiato davanti al prato!

A volte con la pioggia, a volte con il sole, così sono arrivati e così son andati via

Un mondo di persone e di poesia

Lasciando a noi i ricordi e la voglia di ricominciare, senza mai smettere di sognare!


Così tra un valzer di parole, pensieri e sentimenti

Vi aspetto per un autunno con colori, feste e firmamenti

Tra iniziative culinarie e passeggiate, tra profumi e sapori autunnali

Potremo passare anche un inverno qua tra i boschi innevati

Al rifugio nel silenzio e la tranquillità, per chiunque lo vorrà.

Perché poi la primavera nuove iniziative porterà, per noi rifugiati, pronti per un’altra estate, urrà!


 

Il 3, 4, 5 Ottobre 2014 vi aspetto per la nostra festa WALK, EAT. LOVE, per ritrovarci e raccontarci, assaggiare tanti piatti buoni, ascoltare storie e buona musica, passeggiare e proporre “quello che vorreste Tra Terra e Cielo”.

Perché qui siamo proprio tra la terra ed il cielo, non credi?Trovi i dettagli in allegato.

Prenota i tuoi weekend invernali sulla neve e chiamaci per organizzare cene, soste e seminari di yoga e danza creativa, meditazione e vacanze primaverili.

Vi aspetto e vi ringrazio perché il rifugio è un po’ di tutti voi, e senza voi noi non saremmo qui,


Ilaria


P.S.: Per la prenotazione contatta SUBITO 0583-356182, -77, segreteria@traterraecielo.it



info@rifugioisera.it
0583-660203, 356182 (lu-ve)
331-9165832
Conosci il rifugio? Vuoi fare un giro in 5 minuti?:
www.youtube.com/watch?v=SPPUlZnS1d8

giovedì 25 settembre 2014

Dagli anni ‘70 del secolo scorso è iniziata l’estinzione dell’homo sapiens (sapiens)

estinzione della razza umana

Si diceva, negli anni ’70, che si poteva semplificare il lavoro; si poteva ridurre il personale; le pratiche burocratiche sarebbero diventate più veloci, sarebbe anche stato ridotto il volume che soffocava gli archivi, registrando tutto su microfiches e supporti magnetici.
Questo ed altro erano i progetti legati al “boom” dell’informatica nei lontani anni ’70.
Sembrava fantascienza; ne leggevo tanti, di romanzi di fantascienza, mi divertivano certe fantasie di autori considerati stravaganti: robot che svolgevano compiti particolari, il mondo della letteratura cartacea che veniva messo al bando o, peggio, bruciato; i viaggi interspaziali e le battaglie dei virus.
Mi sentivo un po’ stravagante anch’io, nel leggere tutti quei libri; un po’ diversa dalle mie amiche che divoravano Liala e Delly. Ero giudicata un po’ stramba perché leggevo fantascienza, di solito riservata ai maschi. Ci credevo anche, a quelle storie fantascientifiche, secondo me erano una sorta di premonizioni. Ne parlavo con pochi amici coi quali condividevo questa passione. Tra noi nascevano discussioni sui pianeti abitati da altri uomini, sulla venuta degli ufo, sulla stanza 51 del Pentagono, e così via.
Per completare questa fame di sapere ultraterreno, mi cimentavo nella lettura di testi di astrologia e astrofisica piuttosto indigesti, ma, sforzandomi un po’, riuscivo anche a comprendere nozioni che normalmente masticavano solo gli universitari.
Avevo delle lacune enormi nella mia istruzione, dovute a problemi di salute che arrivavano dalla prima adolescenza. A vent’anni ancora non sapevo cosa avrei potuto fare nella vita, pur aiutando nel lavoro della famiglia.
Si parlava, negli anni ’70, dei primi computer installati nelle grandi aziende. Le ditte di un certo livello, e con un notevole numero di dipendenti, dovevano imparare ad attrezzarsi elettronicamente per evitare gli enormi costi del personale che si occupava di contabilità. Tutto veniva eseguito manualmente: registrazioni sui libri contabili, compilazione di prime note, battitura a macchina di assegni degli stipendi. Dovevano essere controllati i cartellini aziendali ed eseguire con le vecchie calcolatrici a manovella i conteggi che avrebbero consentito di erogare le paghe. In aziende che tra dipendenti stanziali e cantieristi si raggiungevano le 3000 unità, il lavoro era lungo e massacrante, sia dal punto di vista dei costi che dal tempo di esecuzione. Ma arrivarono i calcolatori elettronici che migliorarono, su tanti aspetti, l’andamento dell’azienda.
Un posto presso le aziende di questo calibro, era ambito e occorrevano diplomi o lauree; però, in quegli anni, con l’innovazione tecnologica, le figure professionali che si orientavano all’elettronica e all’informatica in generale, non richiedevano particolari titoli, piuttosto una buona specializzazione nei settori particolari: ruoli operativi, di programmazione e perforazione di schede.
I miei amici amanti della fantascienza sapevano tutto sull’argomento; eravamo tutti, chi più e chi meno, interessati ad un posto di lavoro qualificato, innovativo e specialistico; le nuove figure professionali erano ambite e stimolavano la nostra fantasia.
Negli anni ’70, le buone ragazze di famiglia seguivano le indicazioni dei genitori che suggerivano lavori da ragioniera, da maestra, o propendevano per la ricerca sistematica di un marito e dunque un conseguente matrimonio che le avrebbe “sistemate” per la vita. Alcune famiglie gestivano attività che coinvolgevano tutti i membri, anche i bambini, perché in quegli anni non si parlava ancora di sfruttamento minorile. Alcuni credevano nell’attività famigliare e desideravano che i figli proseguissero nella gestione del lavoro che si tramandava da generazioni di padre in figlio.
I miei genitori avrebbero preferito una continuità nel loro lavoro, ma io scalpitavo e con alcuni espedienti, convinsi mio padre a farmi partecipare ad un corso da operatore.
“Ma perché non fai il corso delle ragazze?” Mi chiedeva più volte il giorno, sapendo che quello scelto da me era frequentato soprattutto da maschietti.
Ero decisamente una figlia ribelle, e solo per il fatto che lui pretendeva che seguissi corsi più adatti a figure femminili, mi rendeva ancora più testarda e determinata.
Fu un giorno di settembre che iniziai a convivere con le nuove tecnologie e in una classe di 24 maschi e 4 femmine, compresa me. Il non essere la sola mi consolava, ma i compagni migliori si rivelarono i ragazzi.
Tra loop, bit, byte, sistema binario, esadecimale e schede perforate, presi, a maggio il diploma di operatrice elettronica, aggiudicandomi la migliore votazione della classe.
Negli anni ’70, le ragazze, in teoria, potevano già accedere a posizioni riservate da sempre solo ai maschi, ma c’erano delle condizioni particolari che ancora non erano superate. Per esempio i turni notturni, nelle aziende, non si potevano coprire. I corsi privati li poteva frequentare chiunque e i diplomi rilasciati erano perfettamente legali, ma poi ci si scontrava con vecchie leggi e condizioni sindacali ancora in fase di discussione.
Era il mese di agosto, erano ancora tempi in cui si potevano programmare le ferie con serenità e certezza di ritrovare nuove possibilità lavorative anche al rientro dalle vacanze; le opportunità non mancavano, però, perché certe aziende non prevedevano chiusure estive. Tra le varie domande che quell’estate inviai alle più importanti aziende che, sapevo, si sarebbero attrezzate elettronicamente, ricevetti risposta per una possibile assunzione immediata: era il 13 di agosto ed entrai con timidezza attraverso le porte a vetri dell’azienda che più di tutte speravo di contattare.
L’unica amarezza fu quella di dover accettare la posizione di perforatrice/verificatrice di schede elettroniche, perché il ruolo di operatore era riservato agli uomini.
In quegli anni ’70 i calcolatori elettronici erano veri e propri armadi dentro i quali giravano vorticosamente dei dischi che trasmettevano informazioni, ad una velocità mai conosciuta prima, di dati che avrebbero richiesto moltissime ore di lavoro e il tutto poteva svolgersi in pochi minuti. I CED erano una realtà in crescita esponenziale e le aziende che per prime utilizzavano questi nuovi strumenti, diventavano luoghi di indagine per le istituzioni e visite continue da parte di aziende più piccole, non ancora dotate di tecnologie informatiche, ma che intendevano attrezzarsi. Le tecnologie miglioravano continuamente e quello che un anno era l’ultimo calcolatore costruito, in pochi mesi diventava obsoleto. La velocità di trasmissione delle informazioni, andava di pari passo con il decadimento tecnologico di ogni nuova apparecchiatura.
Lavoravo con cinque o sei colleghe in un locale definito “area perforazione”. Le macchine erano come enormi scrivanie con ribaltina. Si dovevano riempire gli alimentatori di destra che avrebbero ceduto una ad una le schede a 80 colonne, sulle quali dodici punzoni per le dodici righe, informavano ogni colonna sul carattere che avrebbero dovuto portare.
Scorrevano su un nastro e scattavano di una colonna ogni qual volta si premeva un tasto sulla tastiera corrispondente al punzone che perforava; poi venivano rilasciate e alimentavano un serbatoio di arrivo sulla sinistra.
C’erano poi le macchine verificatrici che si utilizzavano di tanto in tanto; al posto dei punzoni avevano delle fotocellule che dovevano segnalare i fori non eseguiti o quelli fatti per sbaglio.
Ci separava dal Centro Elettronico vero e proprio, detto anche Centro Elaborazione Dati, una parete a vetri.
Negli anni ’70 i CED dovevano essere predisposti con caratteristiche precise: i pavimenti erano leggermente sopraelevati per poter posare i cavi e spostare l’elaboratore ovunque fosse necessario, sollevando soltanto qualche piastrella del pavimento; l’aria interna era pressurizzata per evitare che si impolverassero i delicatissimi ingranaggi, in parte ancora meccanici. I chip non avevano ancora assunto la conformazione degli attuali circuiti stampati, praticamente invisibili, e talvolta si potevano riparare manualmente; qualche tecnico si cimentava ancora con saldatore e filo di stagno per piccoli problemi tecnici. In quei locali era già vietato fumare e gli operatori portavano camici bianchi.
Talvolta, durante brevi pause, guardavamo attraverso i vetri: sembrava di guardare un acquario; stavamo ad osservare l’attività frenetica di quei camici bianchi, ancora affascinate dalle potenzialità di queste nuove tecnologie. Per Natale, un anno, gli operatori ci regalarono il calendario stampato con numeri e lettere che formavano i disegni tipici del natale: l’albero e la stella cometa. Un briciolo di rimpianto, a volte, faceva capolino, quando pensavo che per stupidi motivi sindacali e burocratici non avevo potuto essere inserita in quel ruolo che mi affascinava ancora. Nel mio settore avevo qualche punto in più, data la preparazione scolastica specifica e talvolta mi toccava lavorare su verificatrici numeriche e comporre le informazioni in esadecimale per rendere alfabetici i numeri della tastiera, parte di una materia che le perforatrici non imparavano durante i corsi.
Gli operatori, nei momenti di pausa, venivano a chiacchierare con noi e ci riempivano la stanza di fumo e di aroma di caffè. Erano momenti piacevoli, camerateschi e nascevano anche simpatie e forse qualcosa in più.
Per eseguire una banale stampa di assegni, relativamente allo stipendio di 100 persone, in quegli anni ’70, potevano occorrere un centinaio di schede perforate che richiedevano qualche ora di lavoro e qualche minuto di lettura da parte del calcolatore; poi si sentiva la stampante ad aghi che cominciava a far scorrere i tabulati a piccoli scatti di riga, con il ronzio continuo degli aghetti sopra i fogli che lentamente scivolavano all’indietro e l’operatore doveva essere accorto nel sistemarli immediatamente, per non incorrere in un’emissione selvaggia del cartaceo che avrebbe rischiato di far bloccare la stampante.
Noi perforatrici eravamo il punto di raccolta di ogni operazione contabile. Concluso il nostro lavoro, tutto passava agli operatori, ma tra noi dovevano inserirsi le operazioni dei programmatori che preparavano le minute, a mano, da consegnarci. Dovevamo perforare le schede che sarebbero diventate il programma di esecuzione per l’elaboratore.
Per la contabilità e l’amministrazione si utilizzava il linguaggio COBOL. Ebbi la possibilità di impararlo ad un corso aziendale. Mi cimentai dunque con logica di programmazione e diagrammi a blocchi, linee con frecce direzionali, rombi con le uscite GO TO, IF, uguale e pagine e pagine di minute con le istruzioni che dovevano necessariamente essere ripetitive e pedestri; ma nuove e più importanti innovazioni stavano arrivando dall’America e fu introdotto anche il concetto di Data Base.
Quando furono collaudati i sistemi elettronici per le operazioni più banali, in quei favolosi anni ’70, arrivarono apparecchiature sempre più complesse. Le figure professionali dovevano necessariamente avere una preparazione scolastica elevata. Non ci si poteva più accontentare di un diploma di geometra o di ragioniere. I laureati che venivano richiesti nelle aziende, erano ingegneri e architetti; se poi, autonomamente, avevano già seguito specializzazioni in informatica, le aziende se li contendevano. Si programmava in Fortran, Basic e Assembler. I giganteschi calcolatori cominciavano a ridimensionarsi e occupare meno spazio, mentre entravano, all’interno dei CED, grandi tavoli che stampavano tabulati da AUTOCAD, un innovativo programma di progettazione che in pochi minuti poteva realizzare una proiezione ortogonale, una piantina o un prospetto per la progettazione di un’acciaieria.
Quando finalmente i dibattiti sindacali sulla possibilità o meno di concedere il part-time alle donne, furono risolti, mi affrettai a chiedere questa facilitazione.
Mi ero sposata, in quegli anni, e dopo i due figli, stava diventando impossibile sostenere le dieci ore di lavoro da svolgere lontano da casa.
Questa condizione, ovviamente, mi obbligò a scegliere una posizione lavorativa inferiore e mi fu offerta la possibilità di “creare” l’area della segreteria informatica. Se per certi versi fu una rinuncia, per altri, il nuovo lavoro, tutto da inventare, mi consentì di cimentarmi con nuove macchine elettroniche per la memorizzazione dei testi.
Ancora, negli anni ’70, si usava la stenografia per poter poi redigere una lettera con il tempo e la calma necessaria per non “batterla” sbagliata. Le macchine da scrivere erano meccaniche o tutt’al più elettriche. Si dovevano usare le carte veline per poter fare più copie di una stessa lettera: bianca era la copia per il mittente, verde quella che doveva essere consegnata al protocollo, gialla quella che andava archiviata. Le possibilità di errore erano elevatissime e i modi per correggere gli errori erano assai pochi e quasi sempre identificabili.
Venivano utilizzati dei piccoli foglietti sui quali, infilandoli tra rullo e battuta del tasto, coprivano la lettera errata; poi, sopra, si poteva ribattere quella corretta. Il problema erano le tre veline che rimanevano sotto. Spesso si vedevano lettere incomprensibili che si riconoscevano solo per il senso della frase. In seguito subentrò lo “sbianchetto”, un vero flagello perché macchiava di bianco ovunque se non si faceva più che attenzione e non lo si lasciava asciugare.
Pur avendo una buona manualità sulla macchina da scrivere, sia meccanica che elettrica, non si poteva, in un nuovo CED, ricco di apparecchiature di ultima tecnologia, vedere una segretaria che batteva energicamente su tasti meccanici.
Incontrai da subito le macchine a palline che ruotavano, e qualche mese dopo quelle a schedine di 96 colonne per arrivare nel giro di un anno alle macchine da scrivere con un piccolo floppy disk che conteneva 4 pagine digitate. Ma il vero capolavoro di queste nuove macchine era la possibilità di correggere senza stampare!
Cominciarono ad arrivare le prime fotocopiatrici, mettendo definitivamente in pensione le tante veline colorate che riempivano le cassettiere delle segreterie.
Mentre si passava velocemente dalle schede perforate ai video terminali che registravano su cluster, in quei lontani anni ’70, anche per l’elaborazione dei testi cominciava una vera rivoluzione. I calcolatori non necessitavano più di schede perforate, ma ogni programmatore sia di contabilità che di progettazione, era dotato di un video terminale collegato alla memoria centrale. L’operatore diventava così un semplice esecutore e controllore; doveva essere sempre vigile affinché l’apparecchiatura fosse in funzione e le stampe giungessero a buon fine.
Le segretarie persero la connotazione primaria di passacarte e battitrici di lettere e diventarono delle piccole operatrici nel loro settore per le quali era necessario un diploma di studi adeguato e una preparazione specialistica che poteva variare da azienda ad azienda. La segreteria diventava “gestione delle informazioni”.
Per motivi di lavoro, mio marito fu trasferito a Milano e l’evoluzione informatica, per me, si interruppe bruscamente soffocata nelle nebbie padane. Quando i bambini cominciarono ad andare all’asilo, mi sentivo una lavoratrice mancata e mio marito, per tentare di stimolare ancora la mia antica propensione per le innovazioni tecnologiche, una sera entrò in casa con uno scatolotto bianco, una tastiera e un video. Li mise su una scrivania e mi fece vedere dove si accendeva, affidando il tutto alla mia inventiva, allo studio del sistema e alla possibilità di un lavoro svolto in casa.
Gli anni ’80 videro un continuo compattamento nelle dimensioni dei calcolatori elettronici, fino ad arrivare al prodotto definito “personal computer”. Qualcosa che si poteva usare staccato da ogni collegamento a memorie principali, ma solo, in principio, ad un cavo della corrente elettrica, in seguito nemmeno più a quello; possiede una vita propria, seppur breve, ma cos’è permanente in questo nostro mondo? L’impermanenza è l’unica possibilità che ci trascina alla continua ricerca di un dove e di un come. Negli anni ’70 tutto veniva dirottato dalla parte meccanica a quella “morbida”, cioè dall’hardware al software; inizialmente il software veniva sorretto dall’hardware, ma in seguito le posizioni si sono ribaltate e hanno visto moltiplicarsi l’importanza del software a scapito della lenta e implacabile riduzione dell’hardware.
Svolgevo una piccola attività di digitazione testi. I giovani universitari che abitavano lontano dalla città, cominciarono a chiedermi di preparare le loro tesi.
Mi divertivo in questo lavoro: imparavo cose nuove, praticamente studiavo con loro, perfezionavo il mio lessico e coprivo qualche necessità economica della famiglia. I giovani mi rimanevano affezionati e seguivo i loro progressi, finché mi avvisavano di aver conseguito la laurea e magari di avere già un posto di lavoro.
Con alcuni rimasi in contatto per anni, poi ne ho perse le tracce.
Le nuove tecnologie informatiche non si arrestarono più e negli anni ’90 dalle capacità di tanti esperti in software, cominciarono a svilupparsi i programmi di impaginazione elettronica.
Questi software sempre più potenti, se da una parte semplificano il lavoro di chi lavora sul testo o sui numeri e necessita di strumenti che accelerino i processi di calcolo e di sviluppo di pensieri in parole stampate, dall’altro presentano il pericolo di una prevaricazione della macchina a scapito dell’ingegno dell’uomo, come per esempio succede coi traduttori elettronici e con la preparazione di lettere e documenti istituzionali.
Chi ci conosceva, sapeva che, sia io che mio marito, lavoravamo nel campo dell’informatica e qualcuno ci coinvolse in un’attività di impaginazione, fotocopiatura e preparazione di manualistica tecnica. Ed ecco che la mia passione per l’informatica riprese il sopravvento e non saprei contare le ore della notte che passai a comporre manuali inserendo immagini create attraverso i nuovi programmi di grafica spicciola. Imparai ad utilizzare i nuovi impaginatori elettronici, fino alla possibilità di insegnare ad altri il loro utilizzo.
Per motivi personali e di incompatibilità caratteriali, dovetti abbandonare questo lavoro e per tanto tempo ho dovuto accantonare il mio procedere verso le conoscenze informatiche.
Ora utilizzo il web, scrivo e-mail e mi diverto a comporre poesie scorrendo velocemente sulla tastiera che, fedelmente, segue il mio pensiero.
Nel terzo millennio il dialogo con la macchina è ormai un fatto consolidato; si vedono e si sentono le persone che operano sui terminali, dialogare come se dall’altra parte ci fosse una persona. Chiedono consigli e suggerimenti come “pacchetti” pronti le loro scelte e si affidano ai pensieri di altri, di coloro che programmano gli strumenti informatici. Altre teste, altre personalità, tendenze negative e positive penetrano nei tanti operatori dei terminali senza che ne abbiano la coscienza; messaggi subliminali che modificano il pensiero di chi non ha ancora avuto modo di formarsene uno proprio, come i tanti giovani che si lasciano assorbire dai video giochi. Si “conversa” con un altro sé, convinti di avere libertà di scelta; ma non è il proprio sé, è quello di altri.
Ora c’è il rischio di un software che si dilata, sempre più potente, e che crea una rete nell’etere che coinvolge ogni oggetto dotato di antenne riceventi, proprio come noi, esseri umani, che siamo antenne posate sulla terra e riceviamo frequenze dall’universo, anche se ancora non ne siamo consapevoli.Quando costringeranno a installare nel corpo un chip che possa essere schiacciato con un solo tasto? Un dio carnale potrà governare la terra e nessuno avrà la possibilità nemmeno di conoscerlo. Tutto questo conviene? O forse sarebbe più giusto riconsiderare quel Dio immanente che qualche capo carismatico predica da migliaia di anni? Quel Dio che le scelte le consente e che aspetta pazientemente che le coscienze si dilatino; un Dio che accoglie e consola anche quando la materialità di questo mondo colpisce pesantemente.
Osservo con compassione quelli che faticano a percepire il vero senso del linguaggio di programmazione e mi diverto quando sento brontolare chi utilizza un PC negli uffici pubblici. Ripenso alle ore passate sulle schede perforate e ai momenti in cui tutto il lavoro doveva essere rifatto perché un piccolo foro sbagliato sulla scheda programma aveva vanificato ore e ore di perforazione. Guardo gli schermi colorati e rammento le letterine verdi che scorrevano e che a sera, al buio, mi facevano vedere tutto rosa.
Sui video tutto si muove a icone; immagini convenzionali che consentono di svolgere in pochi secondi operazioni che a noi richiedevano ore.
Non invidio i giovani che ora lavorano con questi nuovi, e a volte inquietanti, aggeggi elettronici, perché non conoscendo la loro composizione reale, non riusciranno mai ad entrare col pensiero all’interno dei concetti che scorrono guidati dalle icone; questa velocità di trasmissione, a mio avviso, a volte consente tante, troppe, vane e vaghe operazioni.
Mi accorgo, però, che hanno sviluppato una prontezza che alla mia generazione non è più consentita, e non è solo una questione di riflessi più lenti. Penso piuttosto alla formazione originaria, così specifica e minuziosa delle prime e fondamentali operazioni informatiche. Si tratta, evidentemente, di un modo di pensare diverso, di uno spostamento orizzontale dell’attenzione verso i particolari, piuttosto che il susseguirsi verticale di operazioni che percorrevano l’antico filo logico della diagrammazione a blocchi.
L’evoluzione rapida e globale dell’informatica ha consentito salti generazionali dei quali ancora non siamo consapevoli e forse avranno conseguenze che non sappiamo, ad oggi, quantificare.
In questi ultimi anni le tecnologie stanno superando le capacità intellettive dell’uomo. Una macchina, come Al di “2001 Odissea nello spazio”, prenderà il posto di un presidente, di un capo carismatico o di un semplice cameriere che incontriamo al ristorante. Si potrebbe faticare a riconoscere il robot dall’uomo, perché l’estetica potrebbe intervenire sull’etica e tentare di far scomparire le differenze, proprio come già si fa per mascherare l’età anagrafica. I valori morali diventano messaggi obsoleti e altri “cervelli” costringeranno l’uomo a non comprenderne più il significato, né a saper distinguere il buono dal cattivo. L’essere umano, l’homo sapiens, concepito come oggi, nato da un uomo e da una donna e alimentato a prodotti vivi, diventerebbe così il nuovo dinosauro della storia.
Negli anni ’70 mi sembrava di essere un pioniere dell’informatica, un astronauta che partiva con la sua navetta per l’iperspazio in cerca di mondi nuovi, un esploratore sempre alla ricerca, tra un universo scontato e visibile e una realtà infinitesimale ancora da esplorare. Il progresso ci prendeva per mano, ora ci ha preso la mano e tutto il braccio; certe volte mi sento prendere in giro dai figli perché invece di “agire” sul computer, preferisco “ragionare” su quanto sto facendo: voglio sapere, essere presente a me stessa quando compio un’azione che potrebbe avere conseguenze viaggiando alla velocità della luce attraverso l’etere. Non era lo spostamento di un granellino di sabbia che provocava un terremoto all’altro capo del mondo? Dubbi, pensieri lontani, un ultimo sprazzo di lucidità prima della fine della vita; incertezze e timore di aver contribuito ad un progresso deleterio per il genere umano, mi assalgono e mi fanno riflettere, senza ottenere risposte, né soddisfazioni. Forse sono anch’io come un dinosauro: una specie in via di estinzione.
Franca Oberti

mercoledì 24 settembre 2014

Topinambur e sue proprietà



In queste giornate autunnali spesso il nostro sguardo è attirato dalle abbondanti fioriture gialle e solari del Topinambur (Helianthus tuberosus), che predilige le sponde di corsi d’acqua e canali, ma spesso invade margini di campi e strade, massicciate ferroviarie e ambienti ruderali. 

E’ parente stretto del girasole  e la sua fioritura abbondante e vigorosa è autunnale. Il suo nome scientifico deriva da due parole greche: “elios” sole e “antos” fiore, per ricordare i capolini fiorali che si aprono al sole e che assomigliano loro stessi al sole, mentre “ tuberosus” deriva dal latino e indica i rizomi tuberiformi. 

Quest’ultimi sono ricche di vitamina A e B e del polisaccaride inulina, che li rende adatti ai regimi ipocalorici e a chi soffra di glicemia elevata e diabete, oltre a portare energia negli stati di convalescenza, agli anziani e alle donne in allattamento. 

Le radici sono buone da mangiare sia crude in insalata, tagliate sottili e condite con una delicata salsina a base di olio extravergine d’oliva e limone , oppure trifolate ; hanno un gentile sapore dolciastro con un retrogusto che ricorda il carciofo. 

Come tutte le radici, il periodo migliore per raccoglierle è al termine della stagione vegetativa, quando tutte le sostanze di riserva vengono immagazzinate nella parte perennante della pianta. Crescendo spesso in terreni sabbiosi , si possono raccoglierle senza particolare attrezzatura, venendo facilmente via anche a mano.

Al Giardino di Pimpinella il topinambur crea rigogliose nuvole gialle color del sole; veniteci a trovare per  godere della sua generosa bellezza!

Laura e i meravigliosi Amici del Giardino di Pimpinella

martedì 23 settembre 2014

"Dall'ecologia all'ecosofia" di Luciano Valle - Recensione




Scrive Luciano Valle: 
Dall'ecologia all'ecosofia: ogni persona matura deve assumersi la responsabilità di elaborare la propria risposta ai problemi attuali dell'ambiente secondo una prospettiva globale. 

L'ECOSOFIA lega tra loro tutte le forme di vita e tutta la natura.
La realizzazione delle potenzialità è un DIRITTO.
La VITA come vasto processo storico.
Il diritto universale a vivere e svilupparsi.
L'unicità della specie umana non dovrebbe essere sottovalutata.

ALCUNI PUNTI ESSENZIALI DELL'ECOSOFIA.
1) Realizzazione del Sè.
2) Più è alto il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé,più ampia e profonda è l'identificazione con gli altri.
3) Più è alto il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé, più la possibilità di potenziare tale processo ulteriormente dipende dalla realizzazione del Sé da parte degli altri.
4) La completa realizzazione del Sé per ciascuno dipende da quella di tutti gli altri.
5) Realizzazione del Sé per TUTTI gli esseri viventi.

Queste grandi parole sono di Arne Naess, nato in Norvegia nel 1912. Si è occupato di filosofia della scienza e di SEMANTICA EMPIRICA. Ha partecipato ad alcune spedizioni sull' Himalaia e sul Tirich Mir.

Ecco un caso esemplare di una globalizzazione in POSITIVO. Può esservi uno scambio di idee in favore della vita, della natura, dell'essenza interiore-esteriore di tutti noi. Questo costante flusso di PENSIERI POSITIVI, che costituisce la quintessenza della  NOOSFERA, la sfera che circonda e spesso penetra la CROSTA TERRESTRE, è sistematicamente intralciato ed interrotto, prima ancora delle guerre, dall'interferenza delle comunicazioni di stampo economico, DEGENERATE in OPERAZIONI FINANZIARIE, che si sono appropriate dei mezzi di comunicazione virtuali, pensati ed inventati da chi ha PENSATO la NOOSFERA come realtà del LOGOS vivente. Queste interferenze nocive devono essere eliminate. (GV)


"Il pensiero religioso è la chiave del fallimento umano... I predicatori religiosi hanno convinto il mondo intero: "Voi siete peccatori!". E ciò va bene per loro, poiché se non ne foste convinti i lor affari non potrebbero prosperare. Dovete essere peccatori, solo così continueranno ad esistere chiese, moschee e templi. Il vostro permanere nel senso del peccato è la loro buona "stagione", la vostra colpa è il fondamento delle chiese più potenti, più vi sentite in colpa e più le chiese continueranno a consolidarsi. Esse sono costruite sule vostre colpe, sul vostro peccato, sul vostro complesso di inferiorità. Così hanno creato un'umanità inferiore....” (Osho Rajneesh)

lunedì 22 settembre 2014

Catania - Appello telepatico di una tartaruga morente



Sabato  20 settembre 2014: alle 9,30 un custode rinviene sul bagnasciuga sabbioso della Plaia di Catania uno splendido esemplare di tartaruga marina Caretta caretta.
Specie ultraprotetta dalle istituzioni mondiali ed italiane in particolare.
La tartaruga è visibilmente malridotta,perde sangue abbondantemente ed ha bisogno di immediato soccorso. 


Siamo "dentro" Catania,a circa due kilometri dal porto ed in orario "lavorativo". Più volte (è giusto ricordarlo) sono "scappati" tutti per dare una mano in casi simili. In questa occasione qualcosa non funziona,il meccanismo si inceppa : "non è competenza nostra","non siamo autorizzati ad intervenire"..."non risponde nessuno". Queste le frasi riportate dal quotidiano La Sicilia nella ricostruzione del come e perché la splendida tartaruga marina sia stata ,da tutti gli organi preposti (o meno),abbandonata per più di 12 ore al proprio destino e fatta morire lì ove era giunta in cerca di salvezza.


Questa la sintetica cronaca di pubblica conoscenza.
A me,che per le tartarughe marine ho una particolare predilezione dovuta a qualcosa di ancestrale,é sembrato di raccogliere nell'etere qualcosa di non spiegabile : gli "appelli" lanciati dalla tartaruga fin dal suo approdo sulla spiaggia catanese.


Li ho captati quasi "telepaticamente" ma postumi...inspiegabili sensazioni che sembrano "vere" e che fedelmente riporto.
- "Mare Nostrum ? Sono una tartaruga Caretta caretta....sono in acque italiane e sto per approdare in una spiaggia di Catania.... Sto malissimo,qualcuno mi ha trascinato per mare colpendomi violentemente,forse con delle eliche...ero tranquilla che solcavo le onde,non me lo aspettavo.... non ho capito piú niente..., solo qualcosa di gelido traversare  la mia corazza e squarciarmi le carni.... non so come faccio ad essere viva.... sento il sangue uscire dal mio corpo ed ho pure tanta paura....aiutatemi...!!".


"Da dove vengo ? Quanti siamo ? Si riconoscono gli scafisti ? E quanto è grande l'imbarcazione.....?? Scusi...cosa ha capito ? Sono una Caretta caretta....una tartaruga di mare..., sono sola e mi trasporta il mio stesso carapace... gli scafisti cosa sono,quelli che mi hanno investito ? Non so dirle altro".


"No,non sono una profuga superstite di un naufragio...lo vuole capire ? Sto perdendo sangue ma.....non sono partita dalla Libia....sto arrivando sulla spiaggia della Plaia,si....ove morirono annegati tutti quei poveracci di clandestini....a due passi dalla riva".


"Non potete far niente ? Perché ?....effettuate solo salvataggi di "umani" e direttamente a domicilio ?....ed io cosa faccio ? Chi chiamo ?....la Guardia Costiera ?....ma io mi sento male....vabbè...,grazie lo stesso e buon lavoro".


"Dio Nettuno,come mi sento male......,Guardia Costiera ? Mi scusi...sono un Caretta caretta ferita gravemente,ho bisogno di soccorso....dove mi trovo ? In questo momento ho poggiato le pinne sul bagnasciuga della Plaia....cerco di arrivare all'asciutto per potermi riposare".


"Si,ho messo le pinne sulla sabbia..... ah...non è più vostra competenza perché già ho toccato terra ?......e che faccio ?.....si,aspetto un minuto che si informi...devo chiamare la Capitaneria di Porto ?.....vabbè,grazie lo stesso".


"Dio Nettuno,mi sento peggio ancora...quanto sangue perdo.....proviamo con questi,va......Capitaneria di Porto ? Sono una Caretta caretta e mi trovo a poca distanza da voi....,sono ferita e perdo sangue....mi date aiuto ? Dove sono ? Alla Plaia,spiaggia libera 3....si...,mi sono trascinata una decina di metri sulla sabbia.....meglio chiamare la Polizia Locale ? Cosa è  ? Ah....la municipale....sono sicuramente più vicini ?...ma io sto sempre peggio....,mi muovo con gravissima difficoltà...le mie chiamate telepatiche divengono difficili".


"Dio Nettuno,c'è un umano....,anzi ne vedo tanti....,sempre piú attorno a me. Vedo che hanno un aggeggio in mano,uno lo ho ingoiato una volta...si chiama telefonino e serve a comunicare tra loro....me lo ha spiegato un delfino mentre nuotava attorno a me".
"C'è un gran vociare ora,tanti umani..... capisco che si danno da fare, vogliono aiutarmi..... un bimbo mi parla, pure a gesti.....".


"È tardi,c'è tanto caldo,la sabbia scotta....io sto tanto,tanto male....mi hanno pure fotografato...forse c'è un video su YouTube...sono debole....il bimbo si avvicina e mi dice di non preoccuparmi....hanno avvisato tutti....".


"il mio sangue è freddo di natura ma ora mi sembra bollente...forse non ne ho piú..., non riesco a muovermi ma capisco ancora tutto..... gli umani sono in continuo movimento... guardano lontano, come aspettassero qualcuno".


Un uomo mi accarezza pure la zampa... mi sussurra qualcosa... .lo comprendo.... hanno chiamato tutti.. Polizia,Carabinieri, Guardia di Finanza, il sindaco Bianco, il governatore Crocetta, forse Renzi e pure Napolitano... se non di persona con il pensiero.... così mi dice quel signore accarezzandomi".


Manca il Centro Recupero Fauna Selvatica di Catania.... quelli non risponde proprio".
"Troppo tempo..... sto per morire.... lo sento.... qui...., a Catania.... città d'Europa e faro di civiltà..... non male....".


"Me ne vado.... mi addormento per sempre sulla sabbia.... somiglia a quella del mio primo giorno di vita.... vado a solcare altre onde, in un altro mare....:
Dio Nettuno... almeno tu rispondimi....".


Vincenzo Mannello

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24 settembre 1959: "No, il forcipe.. no...!" - E nacque Caterina



Non so perché ma  già da domenica 21 settembre Gmail mi faceva gli auguri di buon compleanno. Infatti il mio compleanno non è quel giorno, tra l'altro sarei della Vergine in questo caso, invece sono nata il 24 settembre 1959, nella Bilancia e felice di esserlo (o Cane, per l'oroscopo cinese). Quindi festeggerò mercoledì 24 al mercatino della Bifolca, a Vignola.  Un po' in sordina, nessuno o quasi  sa che è il mio compleanno, credo che porterò una bottiglia di spumante da stappare a fine mercatino, quando ormai tutti saranno satolli e già un po' "bevuti" grazie al banchetto delle cambusiere. Veramente, per caso,  mi è capitato di dirlo a qualche amico (Jalsha, Claudia, Raffaella, Simonetta), ma chissà se si ricorderanno e se potranno venire.

Quando ancora si pensava che Paolo sarebbe stato su con me avevamo programmato di andare entrambi e di approfittare per presentare il nostro libro "Vita senza Tempo", edito da Viverealtrimenti, che raccoglie diverse lettere che ci siamo scambiati nel primo anno, da metà 2009 a metà 2010 circa, una parte sono di quando ancora non c'eravamo incontrati  ed una parte successiva all'incontro.
Ne ho rilette alcune poche sere fa e mi sono sembrate ANCORA belle e piene di sentimenti; Amore per gli altri, per Paolo, per me, per la Natura, la Vita.
Ma, dato che Paolo è a Treia, ho pensato di non fare io da sola  la presentazione, ma di andare là semplicemente con quel libro ed altri e fare un piccolo banchetto, ospite anch'io del mercatino. Se qualcuno mi chiederà qualcosa, sarò ben felice di raccontare, come è già successo mercoledì scorso con Agnese. Ed ora un brano tratto dal libro, quello del 24 settembre 2009, giorno del mio  50esimo  compleanno!

24/09/09
Caro Paolo, bella giornata oggi, complice anche il sole e i tuoi auguri mattinieri.
Sono stata a visitare un utente per me nuovo. Il posto era bellissimo ed è stato anche un po‟ difficoltoso raggiungerlo, in cima ad una collina, con una strada sterrata che era tutta una buca e lì vitelli, vacche, manze, cavalli, maiali (ma di questi si sentivano solo i grugniti), galli e galline, un cane border collie che mi ha accolto festosamente e che io, con piacere ho ricambiato con carezze. Ero tentata di dire al figlio del proprietario che mi ha ricevuto se per caso non avessero bisogno di una custode. Abbiamo avuto uno scambio di informazioni e opinioni su varie cose inerenti l'allevamento delle vacche da latte. Questi sono i momenti in cui apprezzo e sono felice del mio lavoro. ...............
Ieri, tra le altre cose, un'amica  mi ha raccontato la “storia” di una sciarpa rossa. Quando noi siamo “attenti” cogliamo cose che altrimenti ci sfuggirebbero. Se siamo aperti e ben disposti nei confronti degli altri cogliamo sorrisi, saluti e fiori e bei colori. Se usciamo di casa tristi o peggio ancora incazzati, vedremo solo la sporcizia ed il “brutture” di cui comunque il mondo è pieno, non guarderemo in faccia nessuno o se lo guarderemo vedremo solo visi tristi e indifferenti. Se diamo appuntamento in una grande piazza ad un‟amica che non vediamo da trent‟anni e che temiamo di non riconoscere e lei ci dice: «indosserò una sciarpa rossa», al momento dell‟appuntamento vedremo tante sciarpe rosse. Mi aveva mandato gli auguri scrivendomi: «per i primi 50 anni hai lavorato la tua terra, d‟ora in avanti raccoglierai solo fiori»...ed è quello che sto facendo.

Buon compleanno a me!

Caterina Regazzi


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Nota integrativa: 

Sono nata il 24 settembre. Mia madre, Gina, diceva che sono nata alle 7 e mezza di mattina, ma, come giustamente mi faceva notare Paolo, il parto non avviene in un attimo, ma dura un certo numero di ore, di più o di meno e la stessa nascita dura diversi minuti.
Sempre mia madre raccontava che il suo era stato un travaglio lungo e laborioso, tanto che chi l'assisteva ad un certo punto paventò l'ipotesi di ricorrere al forcipe e lei, fiera e battagliera, avendo assistito, durante il suo lavoro di infermiera, occasionalmente in sala parto, all'uso di questo strumento si ribellò, gridando: "Nooooo!!!! Il forcipe, no! Piuttosto fatemi il cesareo!".
Chissà, forse aveva visto quei bambini, estratti a forza dal canale del parto, con la loro testolina un po' schiacciata e non voleva che mi succedesse altrettanto.
Mia madre era una che all'estetica ci guardava molto e non so come avrebbe sopportato una figlia neonata con la testa a pera (commento mio acido, in realtà la mia povera, cara mammma era preoccupata delle possibili conseguenze neurologiche).
Comunque, anche senza forcipe, visto che alla fine, grazie anche alle incitazioni dell'ostetrica è riuscita a farmi uscire per la via naturale, avevo la faccia cianotica e la testa allungata.
Non ero certo una bellezza, ma ero una femmina, e di questo credo proprio che fosse felice: le femmine si prendono cura dei genitori anziani e lei così aveva intenzione di fare e così ha fatto con sua madre (ma in cambio ed in anticipo, mia nonna ha fatto per lei per 10 anni, fino a che non se ne è andata, e lo ha fatto in fretta - un mese appena con un'influenza che ne portò via tanti quell'anno - la cuoca e la baby sitter ed anche di più).
Come tanti neonati forse per qualche secondo non ho pianto e non ho neanche respirato. Devi sentire prima l'ossigeno che cala nel sangue, quell'ossigeno che fino a un minuto prima ti arrivava attraverso il cordone ombelicale che ora è stato tagliato (che bello che deve essere ora nascere, non te lo tagliano subito ma ti mettono sulla pancia di tua madre con ancora il cordone attaccato, siete due, ma siete UNO, neanche tu Viola quella fortuna lì, ma io ci ho provato).
Quindi è arrivata la sculacciata a testa in giù, di prassi allora in questi casi. Capivi subito che la vita poteva anche essere dura......... e allora si che ho pianto.
Mio padre, Fausto, appena mi ha vista ha esclamato : "Che brutta!"
Mio padre e mia madre dopo avermi raccontato diverse volte questo momento non proprio entusiasmante della mia vita, mi rassicuravano dicendo che dopo mezz'ora - un'ora, ero già "bellina".
Tutta questa premessa per dire che , se sono uscita nel mondo alle 7 e 30 di mattina, la discesa deve essere iniziata almeno nella serata del giorno precedente, quindi il 23 settembre, cioè ieri, 51 anni fa. Quindi è giusto che la festa duri per due giorni.
Così come la nascita è un processo che dura per un certo periodo di tempo (ore), così, anzi, a maggior ragione, lo è la gravidanza (mesi) e dato che la gravidanza dura circa 9 mesi e siccome io sono nata a termine, mi piace pensare che, essendo nata il 24 settembre, sia stata concepita il 24 dicembre, notte della vigilia di Natale.
Mia madre all'epoca era infermiera in ospedale e doveva fare turni di notte e festivi. Quella notte, essendo sposata da poco più di un anno, sarà forse stata dispensata almeno dal turno prefestivo notturno. L'amore l'avranno fatto di notte (c'era quel cerbero di mia nonna Annetta in casa con loro) ben chiusi dentro la loro camera sul letto che ancora oggi esiste ed è a Treia.
Lei raccontava che dopo un anno e mezzo di coito interrotto le venne il dubbio che potessero anche essere una coppia non fertile e quindi propose a mio padre di "fare la prova" dicendo "magari stiamo tanto attenti per niente!"
Ma a me, oggi, piace pensare che, per festeggiare il Natale, mia madre abbia pensato che quel giorno era buono per cercare un figlio anche lei, maschio o femmina che fosse.
C.R.