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lunedì 13 ottobre 2014

"Il pendolo dell’amore" di Michele Meomartino

Il pendolo dell’amore


Mi ha sempre colpito una frase attribuita a Simone Weil che ho letto per la prima volta su un foglietto affisso alla porta della cucina nella casa di un amico. La grande scrittrice e filosofa francese scriveva: “L’amore è un esercizio di attenzione e di distacco”. Tutte le volte che mi soffermo a riflettere su questa frase, il mio pensiero comincia a lavorare alacremente offrendomi nuovi spunti e ambiti di riflessione. Rappresenta per me un continuo stimolo. A dir la verità, non amo parlare dell’amore, tanto meno scrivere. Rare sono state le volte che ho scritto qualcosa sull’amore: qualche poesia giovanile e negli ultimi anni alcune riflessioni. Per una sorta di pudore preferisco osservarlo stupendomi dell’incredibile diversità con cui viene vissuto.

L’amore, una parola fin troppo abusata, non di rado, è stato banalizzato e mercificato, ridotto a melensa superficiale, a sentimento da ostentare. La riflessione su di lui accompagna da sempre la storia dell’umanità - non potrebbe essere altrimenti - ma il suo vero banco di prova, è l’esercizio, le sue infinite modalità, con cui esso si manifesta e si concretizza, dando luogo ad una molteplicità di implicazioni e relazioni altrettanto infinite.

E come in tutte le cose sotto questo cielo, non basta essere animati da buone intenzioni, o saperle abilmente comunicare, ma c’è sempre bisogno, nei limite del possibile, di atti concreti. Perché anche e soprattutto l’amore non può restare un’icona, confinata nei cieli dell’utopia e ostaggio di un’ideale vagheggiato che forse ci commuove, ma resta sterile. Egli non può rimanere inerte perché la sua azione è capace di trasformare continuamente l’esistente. A volte in modo rapido e impetuoso, altre volte più lentamente e in silenzio. Comprendere la portata di questa forza primigenia e creatrice sarebbe impresa ardua, quasi impossibile.

Un limite oggettivo alla comprensione che dovrebbe suggerire all’uomo l’assunzione di un atteggiamento improntato all’umiltà perché l’amore, non lasciandosi possedere, è sempre oltre il nostro orizzonte cognitivo. La sospensione del giudizio, non senza una buona scorta di pazienza, è indispensabile se si vuole osservare meglio le sue dinamiche e al limite disporsi ad accoglierlo per lasciarsi attraversare dalla sua energia vitale. Ma la sua intima essenza non è nella nostra disponibilità, non sappiamo né come, né quando, né dove nasce. Come un fiume carsico affiora nella nostra vita all’improvviso e altrettanto repentinamente si nasconde. Resta un mistero.

Tuttavia non possiamo esimerci dall’onere e dalla responsabilità che comporta la sua comprensione, seppur parziale, e vestire i necessari panni della temperanza, inclini come siamo a formulare giudizi e a sentenziare in modo frettoloso e presuntuoso.
L’esperienza dell’amore appartiene a tutti. Non c’è vita, per quanto malvagia, che non contenga un briciolo d’amore e, al contrario, non c’è esperienza, per quanto intrisa di bene, che non contenga l’ombra del male. Siamo umani!

Sull’arte di amare, donne e uomini hanno saputo donare all’umanità insegnamenti preziosi e illuminanti, direi sublimi. Un patrimonio inestimabile, dalla letteratura, alla poesia, all’arte…, ci è stato consegnato. Saperlo custodire e tramandare è anche la forma più alta e coerente di gratitudine verso chi ha contribuito ad accumularlo.
Ritornando all’aforisma di Simone Weil, esso prefigura un movimento che, come in un pendolo, oscilla tra l’attenzione e il distacco. Pur rendendosi disponibile al cambiamento, l’animo umano dovrebbe restare fisso al suo perno, ancorarsi al centro di se stesso, e non confondersi con il suo moto oscillante. Un oggettivo esercizio, la cui misura, però, non può che essere soggettiva. Non ci può essere distacco se prima non ti sei “avvicinato” al punto da cui poi ti devi “ritrarre”. Non c’è amore se prima non c’è attenzione. Un richiamo che ci spinge ad aguzzare lo sguardo per osservare meglio i suoi percorsi.

Una presenza vigile che non si deve lasciar distrarre dalle sirene di turno, dalle mode e da tutto ciò che tenta di alterare la percezione del reale e sappia, al tempo stesso, mirare all’essenziale, distinguendo il necessario dal superfluo. Ciò che fa bene all’amore e lo vivifica, da ciò che lo illude e lo avvelena. Ma in questo avvicinamento verso l’amore, che funge da magnete attraente, c’è una soglia che è bene non oltrepassare. Quale? Difficile stabilirla!

Il rischio che si corre è che l’uomo potrebbe confondersi con esso. Non più strumento o servo inutile, direbbe qualcuno, ma autore e fonte dell’amore fino ad identificarsi. Un attaccamento, quasi morboso, che condizionerebbe negativamente l’amore impedendogli di fluire liberamente.

Si può essere travolti da questa forza, specie quando diventa passione o si fa talmente oblativa fino a dimenticare il diritto – dovere di amare se stessi. L’attrazione verso l’amore, se non è accompagnata dalla saggezza, si potrebbe trasformare in eccesso di zelo, addirittura in fanatismo!

Forse anche per queste ragioni, la Weil suggeriva, oltre all’attenzione, un sano distacco. Un allentamento della tensione tanto più urgente quanto più necessario per recuperare quella dimensione tale che permetta all’uomo di trasformare il suo atteggiamento verso l’amore e di dilatare la sua comprensione.

Quando il distacco non è sinonimo di disimpegno o peggio di fuga, potrebbe favorire e apportare all’amore quell’intelligenza che gli manca quando a guidarlo sono solo le sue emozioni, spesso fugaci. Da una certa prospettiva alcune cose si vedono meglio, altre no. Un distacco che potrebbe generare serenità ed equilibrio, indispensabili all’amore quando è sottoposto a prove difficili.

Ma anche il distacco non è immune da rischi, soprattutto se avviene a scapito dell’attenzione perché potrebbe favorire un sentimento di lenta estraniazione. Il passo verso l’indifferenza è breve. Mi verrebbe da dire: “Possiamo anche distaccarci dall’amore per evitare che il suo fuoco ci divori e ci consumi in modo irreparabile, ma si badi a non perderlo mai di vista, sempre pronti ad riaccoglierlo e a lasciarci ispirare dalla sua azione generatrice”.

L’amore si collocherebbe in questa creativa dialettica, in questa entusiasmante ginnastica, che Simone Weil chiamava esercizio, non privo di rischi, in cui l’ attenzione e il distacco non vengono mai meno. Dovrebbero convivere in equilibrio, perché se nella vicinanza si possono scorgere meglio i dettagli, solo da lontano si potrebbero cogliere l’ampiezza e il contesto dove esso si dispiega. E’ forse sta proprio in questo itinerario la ricerca del giusto atteggiamento che permette all’amore, che sgorga nell’animo dell’uomo, in modo sempre imprevedibile, di generare i suoi frutti maturi.

Michele Meomartino


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