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domenica 26 ottobre 2014

Il limite del limite - Fra discriminazione e sopportazione


Con il trascorrere del tempo ho constatato di avere esaurito la mia sopportazione (Infatti, se la cerco non ne trovo più) nei confronti delle persone che invocano con esasperante noiosa e tenace insistenza "il rispetto delle regole", a qualsivoglia livello considerate. Se è solo il "rispetto delle regole" ciò che si richiede, si ricordi che qualunque feroce tirannide è sufficiente allo scopo. Invece, se vogliamo osservare più in dettaglio il problema, ne possiamo scoprire interessanti altri aspetti.

Anzitutto, le uniche regole rispettate in modo automatico sono quelle naturali: il rispetto delle regole imposte dalla forza di gravità non è una scelta, bensì un fenomeno, come evidenziato dal fatto che chi provi ad uscire dalla finestra del sesto piano precipita a terra, lo voglia o no.


Le regole "sociali", invece, sono convenzioni, ovvero risultati di scelta, e le scelte si compiono dipendentemente dalle motivazioni.


L'unica motivazione psichicamente sana per una scelta è data da comprensione e accettazione spontanea per intima convinzione: scelgo di rispettare la regola del verso di percorrenza stradale (tutti i veicoli viaggiano sul proprio lato destro, salvo che in Inghilterra tutti sul proprio sinistro) perché è logica, e mostra di rispondere razionalmente all'esigenza di minimizzare il rischio di incidenti e i danni che essi comportano (e l'istinto di autoconservazione collabora spontaneamente allo scopo).


Esistono naturalmente altri metodi per generare una scelta: ad esempio la coercizione, sotto minaccia di punizione.


Il metodo coercitivo tramite minaccia può funzionare comportamentalmente, ovvero indurre il risultato concreto richiesto. Tuttavia esso è pischicamente malsano, causando paura, risentimenti, inimicizia, conflitto, ed altre conseguenze mentalmente assai negative. Ciò significa che qualunque risultato positivo costruisca da un lato, parimenti vi corrispondono indesiderabili risultati negativi da un altro.
Infatti, la società in cui ci troviamo a vivere, ampiamente fondata sulla coercizione realizzata dall'abitudine a sorvegliare e punire, è caratterizzata da radicale e diffusa malsanità psichica, insoddisfazione mentale, instabilità emozionale, carenza affettiva, sfiducia nella sincerità e nella verità.
Tutto ciò non è razionale, non è intelligente, non è utile.


E' ampiamente preferibile favorire la comprensione dei sentimenti profondi, dell'intelligenza, dell'analisi di motivazioni e finalità di ogni pensare ed ogni agire, in modo da poter vivere in una rete di relazioni (inclusa quella con se stessi!) soddisfacentemente fondata sulla integrità individuale tra sentimento, pensiero ed azione, presupposti necessari alla felicità del vivere. Solo a partire dall'integrità individuale tra psiche interiore e comportamento esteriore si può realizzare una rete relazionale che sia simultaneamente coerente (ovvero non autocontradditoria) e soddisfacente per l'anima dei suoi membri.


Non ha alcun senso utile organizzare i comportamenti, se essi non rispondono al bisogno di benessere interiore: non si può ignorare la vita interiore profonda dell'anima senza pagarne costose gravi conseguenze, mentre è possibile beneficiare ampiamente di ogni forma di sincera integrità interiore ed esteriore degli esseri umani.


La superficiale finzione adattiva costa cara (e non di rado: molto), mentre la sincerità interiore profonda paga con larghezza.


Tutto dipende, dunque, da quanto valore si voglia riconoscere, oltre che alla funzionalità, anche alla felicità del vivere. Senza felicità, un vivere meramente funzionale non ha grande valore (e spesso, invece, comporta non poco disvalore). E numerosissime storie di vita stanno a testimoniarlo.
Infelici ? No, grazie: non ne vale la pena.


Sarvamangalam.

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