Presentazione



In movimento per ecologie, vivere insieme, economia sostenibile, bioregionalismo, esperienza del se' (personal development).

lunedì 31 dicembre 2018

LA STORIA DEI TRE MONACI CINESI CHE RIDONO A CREPAPELLE


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I nomi di questi saggi non vengono ricordati, perché non li rivelarono mai a nessuno. In Cina sono conosciuti semplicemente come i tre monaci che ridono.
Costoro non facevano altro che ridere: entravano in un villaggio, si mettevano in mezzo alla piazza, e iniziavano a ridere. Piano piano altre persone venivano contagiate da quella risata, finché si formava una piccola folla, e il semplice guardare quelle persone faceva scoppiare dal ridere tutti i presenti. Alla fine tutti gli abitanti venivano coinvolti dalla risata collettiva. A quel punto i tre monaci si spostavano in un altro villaggio.
La risata era la loro unica predica, il solo messaggio.
Non insegnavano nulla, nel senso letterale del termine: si limitavano a creare quella situazione. Erano amati e rispettati in tutta la Cina: nessuno aveva mai fatto prediche o sermoni simili!
Essi comunicavano che la vita dovrebbe essere solo e unicamente una risata. E non ridevano di qualcosa in particolare: si limitavano a ridere, come se avessero scoperto lo «scherzo cosmico».
Quei monaci diffusero gioia infinita in tutta la Cina, senza usare una sola parola. Con il tempo invecchiarono e uno di loro, un giorno, presso un villaggio, morì. L’intero villaggio si chiedeva come avrebbero reagito gli altri due: almeno in quella circostanza ci si aspettava che avrebbero pianto. Era una cosa che valeva la pena vedere, perché nessuno riusciva ad immaginarsi quei monaci in lacrime. Il villaggio si riunì. E cosa videro? I due monaci superstiti che, accanto al cadavere del loro amico, ridevano, e ridevano a crepapelle. Per cui tutti gli abitanti del villaggio chiesero: «Per lo meno spiegateci questo!» Per la prima volta parlarono e dissero: «Ridiamo perché quest’uomo ha vinto. Ci siamo sempre chiesti chi tra noi sarebbe morto per primo, e lui ci ha battuti. Stiamo ridendo della nostra sconfitta e della sua vittoria. Inoltre, ha vissuto con noi così tanti anni, insieme abbiamo riso e ci siamo divertiti.»
Non potrebbe esistere un addio migliore: possiamo solo ridere!
L’intero villaggio era comunque triste, ma poi si accorsero che non solo quei due stavano divertendosi, ma sembrava che sorridesse anche il terzo, il monaco morto. Prima di morire aveva detto ai suoi amici: «Non cambiatemi le vesti!» (per convenzione, quando un uomo moriva, il corpo veniva lavato e gli abiti cambiati) «Non lavatemi, perché sono sempre stato pulito. Ho riso tanto nella mia vita, che nessuna impurità si è mai accumulata in me, addirittura non sono mai stato toccato da impurità. Non ho raccolto polvere: la risata è sempre giovane, fresca e pulita. Per cui, non mi lavate e non cambiatemi le vesti!» Per rispetto delle sue ultime volontà, dunque, non gli cambiarono l’abito. E Quando il corpo del monaco fu posto sulla pira funebre per essere bruciato, si accorsero d’improvviso che nei vestiti aveva nascosto dei fuochi artificiali. Pum, pum, pam! L’intero villaggio si mise a ridere, e i due monaci rimasti dissero: «Furfante! Sei morto, e ti sei fatto anche l’ultima risata!»
MORALE
Esiste una risata cosmica, allorché si comprende lo scherzo cosmico: la vita è un grande gioco divino – Lila in sanscrito. È la risata più elevata: solo un Buddha può ridere in quel modo. E quei tre monaci dovevano essere stati tre Buddha.
La risata, l’autoironia, la capacità di cogliere il lato divertente delle cose: ecco l’arte più preziosa da coltivare. Non per sfuggire ai problemi. Non per nascondersi dietro l’ennesima maschera e far finta di niente. Ma per darsi una ricarica, per disidentificarsi dalle difficoltà della vita ed evitare di farsi sopraffare. Ma anche per non prendersi troppo sul serio, per cambiare il punto di vista e liberarsi da una visione triste della realtà.

Storia dedicata alla memoria di Gianni Riefolo da parte di Vittorio Marinelli. 

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Grazie a Raffaele Cavaliere per il contributo

domenica 30 dicembre 2018

LA STORIELLA DEL GLIFOSATO

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 Leggete e diffondete  per ritardar l’arrivo del prete
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ORA E’ L’ORO DEL RENO
(la storiellina è del GLIFOSATO
un diserbante molto rinomato;
col dentifricio protegge il tuo palato
nel COLGATE, ad esempio, è utilizzato)
 
Napolitan (*) nomò la senatrice:                    (*)chi della democrazia ha fatto strame
abbellir dee ciò che MONSANTO dice:                e ci ha fatto affogare nel letame.
e nel Presepe, ricordo di Betlemme,
con mirra e incenso, l’oro è OGM.

Passan le Alpi, volan gli aquiloni,
sotto le ali nascondono i milioni
che, atterrati, diverran prebenda
per chi e per che non v’è chi non l’intenda.
 
Poscia che acquisto fecero i tedeschi
ritorneran dispensator di teschi            (**)la più grande società chimica tedesca
chè la MONSANTO, ditta americana,    (3)la spada usata da Orlando, paladino di
BAYER(**)procurò la Durlindana(3)      Carlo Magno re dei franchi
 
Se il cancro segue (4), non è pericolosa?  (4)un giudice della California l’ha sentenziato
Perché quinquennio ancor l’orribil cosa?   condannando la MONSANTO a risarcire i
Già due milioni sono i firmatari,                   parenti della vittima (giardiniere colpito da fate spallucce o vi fingete ignari?                        tumore).
 
Questo, lettore, è dono dell’Europa(5).    (5)perché gli europarlamentari hanno
Tu lo prendi nel cul mentr’altri scopa.         approvato un quinquennio ancor di strage?
Battiamoci perché il GLIFOSATO            Se il prodotto è cancerogeno, perché i
sull’italico suol non venga usato.          tedeschi devono guadagnare anche su questo?
 
Oppur è il tuo cervel modificato?
AVVENNE A SENATOR DI QUESTO STATO.
 
Luigi Caroli 

giovedì 27 dicembre 2018

Appello per l'applicazione della Costituzione


 Risultati immagini per No nel referendum del 2016.

Non possiamo sottovalutare quanto sta avvenendo nelle istituzioni del nostro paese e neppure l'assenza di un vero confronto politico.
Il parlamento è ridotto a votificio, con l'uso di decreti, voti di fiducia, testi sconosciuti votati a scatola chiusa come sta accadendo sulla legge di bilancio. 
Speravamo in una svolta dopo la deriva istituzionale nella precedente legislatura e la vittoria del No nel referendum del 4 dicembre 2016. Invece il governo espresso dalla coalizione giallo-verde sta rifacendo gli stessi errori, con un crescendo preoccupante. Per riassumere in un concetto la nostra richiesta alla nuova maggioranza:   Fermatevi !
Consentite un confronto politico di merito, non prendetevi la grave responsabilità di continuare su una deriva, fin troppo in continuità con gli errori precedenti, che porterebbe a mettere in discussione aspetti centrali della nostra Costituzione e a creare un distacco ulteriore tra rappresentati e rappresentati.
Sarebbe un grave errore rimettere al centro del dibattito politico le modifiche della Costituzione. La Costituzione della nostra repubblica, nata dalla Resistenza al nazifascismo, merita rispetto ed è l'architrave del nostro assetto istituzionale. Singole modifiche della Costituzione com'è previsto dall'articolo 138 sono possibili, ma non possono e non debbono essere piegate a interessi di parte e ad esigenze momentanee.
La Costituzione è un bene comune a tutti noi, nessuno può stravolgerla a proprio piacimento. Quando ci si è provato i cittadini hanno respinto i tentativi di stravolgimento e se dovesse essere ancora necessario il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale è pronto, se necessario, a rientrare in campo per impedire stravolgimenti costituzionali, fino ad impegnarsi in campagne referendarie. Tutti farebbero bene a ricordare che all'inizio del 2016 il No era dato al 20 % ma alla fine il voto No è arrivato al 60% e il 4 dicembre 2016 ha vinto. 
Chiediamo di fare conoscere le proposte di modifica della Costituzione e di poterle discutere con il tempo necessario. In particolare chiediamo di aprire una riflessione preventiva sulle proposte di attuazione dell'attuale (nefasto) articolo 116 della Costituzione per bloccare ogni tentativo di differenziare diritti fondamentali dei cittadini italiani per regioni, pensiamo a salute, istruzione, ambiente, condizione di lavoro, pensioni.
La trattativa in corso tra Governo e Lombardia, Veneto, Emilia è del tutto nascosta ai cittadini. Chiediamo di conoscere, di poter esprimere opinioni. Non solo noi ma tutti i cittadini italiani, avviando una grande operazione di trasparenza. Questo va fatto ora perché le decisioni istituzionali rischiano di essere irreversibili.
Invece è necessario affrontare ora, senza ritardi, la modifica della legge elettorale, che deve essere cambiata sulla base di due principi: sostanziale rispetto della proporzionalità e garanzia che i cittadini potranno scegliere direttamente tutti i deputati e i senatori chiudendo il triste periodo dei nominati dall'alto.
Vi inviamo alcuni scritti che hanno cercato di esporre le  ragioni delle nostre critiche e la richiesta di poter conoscere, discutere, modificare le proposte.
A gennaio preciseremo obiettivi e modalità di iniziativa del Coordinamento.

p. la Presidenza
 

lunedì 24 dicembre 2018

Gesù nel tempio di Gerusalemme e la moneta "impura"


"Ogni tanto dalle "sacre" scritture traspare uno spiraglio di luce.." (G.V.)

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Qual era la moneta con la quale venivano riscosse le decime e versate le offerte nel Gran Tempio di Gerusalemme all’epoca di Cristo?

Secondo quanto stabilito dai sommi sacerdoti, in osservanza delle norme religiose giudaiche, queste non potevano essere pagate mediante le varie monete coniate dai popoli non-ebrei, in quanto considerate  impure.

Per ovviare al problema, naturalmente, e con il consenso (o su iniziativa?) delle autorità religiose medesime, si era ben pensato di offrire ai fedeli-pellegrini, un appropriato servizio di cambiavalute nell’area antistante il Tempio, previa, va da sé, appropriata percentuale sul cambio –più o meno adeguato- delle monete stesse.

Si era sempre alle solite: CAMBI DELLA MONETA E MURO DEL PIANTO, PIANTO SUL MURO, MURO DI PIANTO, PIANTO DI MURI, PIANGO SEMPRE DI PIU’ COSI’ CREDERAI A TUTTO QUELLO CHE TI METTO DA VEDERE… ECC.

Per MITEZZA o mansuetudine, non deve ritenersi un atteggiamento remissivo verso ogni provocazione, bensì il TERMINE MEDIO (non matematico) fra due opposte reazioni ad essa, in conformità alla sua definizione e circoscrizione come stabilita una volta per tutte da ARISTOTELE, (Ut ait Philosophus).

Essere miti non equivale a dover sopportare ogni cosa, compreso l’insopportabile, perché si cadrebbe nel vizio deleterio dell’indolenza, mentre lasciarsi prendere dall’ira per ogni sciocchezza, è ugualmente riprorevole, rappresentando l’eccesso opposto.

La virtù della MITEZZA consiste quindi nella capacità di assegnare il giusto valore a quei fatti che devono suscitare in noi una dovuta reazione di sdegno e di conseguenza un’ira che sarebbe disonorevole non provare.

Essere mite, corrisponde quindi all’avere il retto senso di adirarsi nelle situazioni che lo richiedono, e con i veri responsabili dei fatti che in quelle situazioni si determinano.

Alla luce di queste doverose premesse, andiamo ora ad analizzare l’episodio evangelico della CACCIATA DEI MERCANTI DAL TEMPIO OVVERO LA PURIFICAZIONE DEL TEMPIO, come riportato in Mc 11, 15-19; Mt 21, 12-17; Lc 19, 45-48; Gv 2, 12-25; nella versione più specifica nei dettagli che ne dà la mistica Maria Valtorta, nella sua complessa opera (Il Poema dell’Uomo-Dio), da considerare con attenzione e senza pregiudizi, fosse anche solamente per le osservazioni di carattere geografico e geologico del Medio Oriente antico nonché i riscontri storici ed archeologici in essa riportate, con una dovizia tale di particolari riscontrabili, da non poter certo essere attribuiti alle fantasie di una mente esaltata dal fanatismo.

Coloro i quali vorranno avere la bontà e la pazienza di leggere il brano fino in fondo, noteranno come l’autrice descriva lucidamente UNA BORSA NERA, OPERAZIONI DI STROZZINAGGIO, INTERESSI, USURA E USURAI, TRUFFA, INGANNO, VIOLENZA (E RAZZISMO INTER-RAZZIALE CONTRO I NON-GIUDEI i.e. CONTRO I GALILEI, tanto per rammentare i loro VIZI ORIGINALI a tutti quelli della loro razza che esercitano l’arte del FRIGNAMENTO ANTIRAZZISTA per mestiere da… sempre)

53. La cacciata dei mercanti dal Tempio. Gv 2, 12-25

Vedo Gesù che entra con Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, Filippo e Bartolomeo, nel recinto del Tempio. Vi è grandissima folla entro e fuori di esso. Pellegrini che giungono a frotte da ogni parte della città.

Dall'alto del colle, su cui il Tempio è costruito, si vedono le vie cittadine, strette e contorte, formicolare di gente. Pare che fra il bianco crudo delle case si sia steso un nastro semovente dai mille colori. Si, la città ha l'aspetto di un bizzarro giocattolo, fatto di nastri variopinti fra due fili bianchi e tutti convergenti al punto dove splendono le cupole della Casa del Signore. Nell'interno poi è... una vera fiera. Ogni raccoglimento di luogo sacro è annullato. Chi corre e chi chiama, chi contratta gli agnelli e urla e maledice per il prezzo esoso, chi spinge le povere bestie belanti nei recinti (sono rudimentali divisioni di corde o di pioli, al cui ingresso sta il mercante, o proprietario che sia, in attesa dei compratori). Legnate, belati, bestemmie, richiami, insulti ai garzoni non solleciti nelle operazioni di adunata e di cernita delle bestie e ai compratori che lesinano sul prezzo o che se ne vanno, maggiori insulti a quelli che, previdenti, hanno portato, di loro, l'agnello.

Intorno ai banchi dei cambiavalute, altro vocio. Si capisce che, non so se in ogni momento o in questo pasquale, si capisce che il Tempio funzionava da... Borsa, e borsa nera. Il valore delle monete non era fisso.

Vi era quello legale, di certo vi sarà stato, ma i cambiavalute ne imponevano un altro, appropriandosi di un tanto, messo a capriccio, per il cambio delle monete. E le assicuro che non scherzavano nelle operazioni di strozzinaggio!... Più uno era povero e veniva da lontano, e più era pelato. I vecchi più dei giovani, quelli provenienti da oltre Palestina più dei vecchi.

Dei poveri vecchierelli guardavano e riguardavano il loro peculio, messo da parte con chissà che fatica in tutta l'annata, se lo levavano e se lo rimettevano in seno cento volte, girando dall'uno all'altro cambiavalute, e finivano magari per tornare dal primo, che si vendicava della loro iniziale diserzione aumentando l'aggio del

cambio... e le grosse monete lasciavano, tra dei sospiri, le mani del proprietario e passavano fra le grinfie dell'usuraio e venivano mutate in monete più spicciole. Poi altra tragedia di scelte, di conti e di sospiri davanti ai venditori di agnelli, i quali, ai vecchietti mezzi ciechi, appioppavano gli agnelli più grami.

Vedo tornare due vecchietti, lui e lei, spingendo un povero agnelletto che deve esser stato trovato difettoso dai sacrificatori. Pianti, suppliche, mali garbi, parolacce si incrociano senza che il venditore si commuova.

«Per quello che volete spendere, galilei, è fin troppo bello quanto vi ho dato. Andatevene! O aggiungete altri cinque denari per averne uno più bello».

«In nome di Dio! Siamo poveri e vecchi! Vuoi impedirci di fare la Pasqua, che è l'ultima forse? Non ti basta quello che hai voluto per una piccola bestia?».

«Fate largo, lerciosi.» Viene a me Giuseppe l'Anziano. Mi onora della sua preferenza. «Dio sia con te! Vieni, scegli!»

Entra nel recinto, e prende un magnifico agnello, quello che è chiamato Giuseppe l'Anziano, ossia il d'Arimatea. Passa pomposo nelle vesti e superbo, senza guardare i poverelli gementi alla porta, anzi all'apertura del recinto. Li urta quasi, specie quando esce coll'agnello grasso e belante. Ma anche Gesù è ormai vicino. Anche Lui ha fatto il suo acquisto, e Pietro, che probabilmente ha contrattato per Lui, si tira dietro un agnello discreto. Pietro vorrebbe andare subito verso il luogo dove si sacrifica. Ma Gesù piega a destra, verso i due vecchietti sgomenti, piangenti, ndecisi, che la folla urta e il venditore insulta.

Gesù, tanto alto da avere il capo dei due nonnetti all'altezza del cuore, pone una mano sulla spalla della donna e chiede:

«Perché piangi, donna?».

La vecchietta si volge e vede questo giovane alto, solenne nel suo bell'abito bianco e nel mantello pure di neve, tutto nuovo e mondo. Lo deve scambiare per un dottore sia per la veste che per l'aspetto e, stupita perché dottori e sacerdoti non fanno caso alla gente né tutelano i poveri contro l'esosità dei mercanti, dice le ragioni del loro pianto. Gesù si rivolge all'uomo degli agnelli:

«Cambia questo anello a questi fedeli. Non è degno dell'altare, come non è degno che tu ti approfitti di due vecchierelli perché deboli e indifesi».

«E Tu chi sei?».

«Un giusto».

«La tua parlata e quella dei compagni ti dicono galileo. Può esser mai in Galilea un giusto?».

«Fa' quello che ti dico e sii giusto tu».

«Udite! Udite il galileo difensore dei suoi pari! Egli vuole insegnare a noi del Tempio!». L'uomo ride e beffeggia, contraffacendo la cadenza galilea, che è più cantante e più ricca di dolcezza della giudiaca, almeno così mi pare.

Della gente si fa intorno, e altri mercanti e cambiavalute prendono le difese del consocio contro Gesù. Fra i presenti vi sono due o tre rabbini ironici. Uno di questi chiede:

«Sei Tu dottore?» in un modo tale da far perdere la pazienza a Giobbe.

«Lo hai detto».

«Che insegni?».

«Questo insegno: a rendere la Casa di Dio casa di orazione e non un posto d'usura e di mercato. Questo insegno».

Gesù è terribile. Pare l'arcangelo posto sulla soglia del Paradiso perduto. Non ha spada fiammeggiante fra le mani, ma ha i raggi negli occhi, e fulmina derisori e sacrileghi. In mano non ha nulla. Solo la sua santa ira. E con questa, camminando veloce e imponente fra banco e banco, sparpaglia le monete così meticolosamente

allineate per qualità, ribalta tavoli e tavolini, e tutto cade con fracasso al suolo fra un gran rumore di metalli rimbalzanti e di legni percossi e grida di ira, di sgomento e di approvazione. Poi, strappate di mano, a dei garzoni dei bestiai, delle funi con cui essi tenevano a posto bovi, pecore e agnelli, ne fa una sferza ben dura,

in cui i nodi per formare i lacci scorsoi divengono flagelli, e l'alza e la rotea e l'abbassa, senza pietà. Sì, le assicuro: senza pietà.

La impensata grandine percuote teste e schiene. I fedeli si scansano ammirando la scena; i colpevoli, inseguiti fino alla cinta esterna, se la dànno a gambe lasciando per terra denaro e indietro bestie e bestiole in un grande arruffio di gambe, di corna, di ali; chi corre, chi vola via; e muggiti, belati, scruccolii di colombe e

tortore, insieme a risate e urla di fedeli dietro agli strozzini in fuga, soverchiano persino il lamentoso coro degli agnelli, sgozzati in un altro cortile di certo.

Accorrono sacerdoti insieme a rabbini e farisei. Gesù è ancora in mezzo al cortile, di ritorno dal suo inseguimento. La sferza è ancora nella sua mano.

«Chi sei? Come ti permetti fare questo, turbando le cerimonie prescritte? Da quale scuola provieni? Noi non ti conosciamo, né sappiamo chi sei».

«Io sono Colui che posso. Tutto Io posso. Disfate pure questo Tempio vero ed Io lo risorgerò per dar lode a Dio. Non Io turbo la santità della Casa di Dio e delle cerimonie, ma voi la turbate permettendo che la sua dimora divenga sede agli usurai e ai mercanti. La mia scuola è la scuola di Dio. La stessa che ebbe tutto Israele per bocca dell'Eterno parlante a Mosè. Non mi conoscete? Mi conoscerete. Non sapete da dove Io vengo? Lo saprete».

E, volgendosi al popolo senza più curarsi dei sacerdoti, alto nell'abito bianco, col mantello aperto e fluente dietro le spalle, a braccia aperte come un oratore nel più vivo della sua orazione, dice:

«Udite, voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: (Deuteronomio 16, 18-20; 18, 1-2; 23, 20-21) "Tu costituirai dei giudici e dei magistrati a tutte le porte... ed essi giudicheranno il popolo con giustizia, senza propendere da nessuna parte. Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché i donativi accecano gli occhi dei savi ed alterano le parole dei giusti. Con giustizia seguirai ciò che è giusto per vivere e possedere la terra che il Signore Iddio tuo ti avrà data". Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: "I sacerdoti e i leviti e tutti quelli della tribù di Levi non avranno parte né eredità col resto di Israele, perché devono vivere coi sacrifizi del Signore e colle offerte che a Lui sono fatte; nulla avranno tra i possessi dei loro fratelli, perché il Signore è la loro eredità". Udite, o voi di Israele! Nel Deuteronomio è detto: " Non presterai ad interesse al tuo fratello né denaro, né grano, né qualsiasi altra cosa. Potrai prestare ad interesse allo straniero; al tuo fratello, invece, presterai senza interesse quello che gli bisogna".

Questo ha detto il Signore.

Ora voi vedete che senza giustizia verso il povero si siede in Israele. Non nel giusto, ma nel forte si propende, ed esser povero, esser popolo, vuol dire esser oppresso. Come può il popolo dire: "Chi ci giudica è giusto" se vede che solo i potenti sono ispettati e ascoltati, mentre il povero non ha chi lo ascolti? Come può il popolo rispettare il Signore, se vede che non lo rispettano coloro che più dovrebbero farlo? È rispetto al

Signore la violazione del suo comando? E perché allora i sacerdoti in Israele hanno possessi e accettano donativi da pubblicani e peccatori, i quali così fanno per aver benigni i sacerdoti, così come questi fanno per aver ricco scrigno?

Dio è l'eredità dei suoi sacerdoti. Per essi, Egli, il Padre di Israele, è più che mai Padre e provvede al cibo come è giusto. Ma non più di quanto sia giusto. Non ha promesso ai suoi servi del Santuario borsa e possessi. Nell'eternità avranno il Cielo per la loro giustizia, come lo avranno Mosè e Elia e Giacobbe e Abramo, ma su

questa terra non devono avere che veste di lino e diadema di incorruttibile oro: purezza e carità; e che il corpo sia servo allo spirito che è servo del Dio vero, e non sia il corpo colui che è signore sullo spirito e contro Dio.

M'è stato chiesto con quale autorità Io faccio questo. Ed essi con quale autorità profanano il comando di Dio e all'ombra delle sacre mura permettono usura contro i fratelli di Israele, venuti per ubbidire al comando divino? M'è stato chiesto da quale scuola Io provengo, ed ho risposto: " Dalla scuola di Dio ". Si, Israele. Io vengo e ti riporto a questa scuola santa e immutabile.

Chi vuol conoscere la Luce, la Verità, la Vita, chi vuole risentire la Voce di Dio parlante al suo popolo, a Me venga. Avete seguito Mosè attraverso i deserti, o voi di Israele. Seguitemi, ché Io vi porto, attraverso a ben più tristo deserto, incontro alla vera Terra beata. Per mare aperto al comando di Dio, ad essa vi traggo.

Alzando il mio Segno, da ogni male vi guarisco. L'ora della Grazia è venuta. L'hanno attesa i Patriarchi e sono morti nell'attenderla. L'hanno predetta i Profeti e sono morti con questa speranza. L'hanno sognata i giusti e sono morti confortati da questo sogno. Ora è sorta. Venite. "

Il Signore sta per giudicare il suo popolo e per fare misericordia ai suoi servi ", come ha promesso per bocca di Mosè».

La gente, assiepata intorno a Gesù, è rimasta a bocca aperta ad ascoltarlo. Poi commenta le parole del nuovo Rabbi e interroga i suoi compagni.

Gesù si avvia verso un altro cortile, separato da questo da un porticato. Gli amici lo seguono e la visione ha fine.

G. Bonconte Montefeltro - montefeltro@hotmail.it 

sabato 22 dicembre 2018

Le domande e le risposte sull'amore di Maria Bignami e di Caterina Regazzi


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A casa dell'amica Maria Bignami spesso si tengono incontri per condividere idee ed emozioni riguardo a vari argomenti che toccano tutti e, qualche settimana fa, l'argomento scelto era stato "l'Amore". Un argomento da "niente"...!  

Non sapendo ancora se ci sarei potuta andare, qualcosa aveva cominciato a frullarmi per la testa.


Intanto Maria mi aveva mandato per mail alcune domande sull'Amore, eccole: "Nelle tue relazioni, quando ti senti Amata? E tu come esprimi l’Amore? E negli eventi che vedi accadere, quand’è che senti nel cuore quella sensazione che definisci Amore?"

Non so se ho risposto alle domande, ma questi sono stati i pensieri che sono scaturiti dalla mia mente.

Nonostante tutti nel profondo del Cuore abbiamo la nostra "dose" di Amore (dose pressoché illimitata - è una delle poche cose che non si consumano, non finiscono, non sono mai carenti, se si è capaci di tirarla fuori, invece che lasciarla illanguidire, dove sta -nel Cuore, appunto), l'Amore non tutti riusciamo ad esprimerlo e a manifestarlo come potremmo e, a volte, come vorremmo. Si fa tanto parlare di Amore universale, amore incondizionato, amore disinteressato, ma... chi è che riesce veramente in questo?
Ho pensato a quello che è per me l'Amore. Del resto, solo questo posso esprimere. Non posso dire quello che l'Amore è per gli altri, né quello che dovrebbe essere in assoluto.

L'Amore, per me, è strettamente legato alla Gioia, o al desiderio, all'aspirazione alla Gioia. Quello che mi da Gioia, io lo amo. Ma cos'è che mi da gioia? Provo a fare un breve elenco, non esaustivo:
Mi da gioia stare in mezzo alla Natura, una Natura il più possibile sana, con aria pulita, acque limpide, verdi prati e folti boschi, sole raggiante, ma anche pioggia (possibilmente non acida) o nebbia avvolgente o neve candida, animali liberi di vivere la loro naturalità, piante e fiori ricchi nella loro biodiversità e integrati fra di loro. La Natura mi da Gioia, benessere. Amo la Natura.

Mi da gioia stare con persone che condividono i miei pensieri, i miei ideali, ma mi da gioia anche stare con persone diverse con le quali ci sia rispetto e apertura e desiderio di uno scambio, senza prevaricazioni, offese e sensi di superiorità. Amo gli esseri umani.

Mi da gioia stare con il mio compagno, Paolo, con mia figlia, Viola, anche se a volte con qualche difficoltà. 


Mi da gioia sapere di fare parte di un insieme che chiamo il Tutto, l'Assoluto, Dio,  e che le mie azioni e i miei pensieri non sono "miei"...  anche se purtroppo spesso me ne dimentico!  

In realtà mi rendo conto che quello che sto esprimendo è un amore egoistico, un amore per me stessa, in fin dei conti. Non è certo amore disinteressato né tantomeno universale. Posso dire di amare l'umanità nel suo complesso? Posso dire di amare la Vita così come essa mi si presenta, con le sue gioie (appunto), ma anche con le sue delusioni, i suoi dolori, le sue difficoltà, che sono poi le MIE difficoltà, di un  essere umano che ancora non ha raggiunto un buon livello  di consapevolezza (questa bella parola con la quale  ancora mi confronto)? Rispondere SI o NO a questa domanda che senso ha? Credo che finché non si è capaci di rispondere SI a questa ultima domanda non si possa dire di essere veramente capaci di amare, compresi se stessi. 

Caterina Regazzi

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Maria ha dato il suo contributo sull'argomento con questa bella Poesia:

L’AMORE
Che cos’è per te l’Amore
lo vorrei proprio sapere
ascoltar quelle parole
che fluiscono dal cuore.
Per qualcuno è quel sentire
che non sa ben definire
come un luminoso raggio
infinito è il suo linguaggio.

Chi lo esprime con parole
di sostegno nel dolore
con un gesto generoso
o uno sguardo silenzioso.
C’è chi dice che l’Amore
abbia a fianco un’alleata
molto stretta è l’amicizia
il suo nome è la Giustizia.
Non si posson separare
sempre unite a conciliare
questo loro stare insieme
dappertutto fan del bene.

Forse c’è chi può pensare
a chi ha fatto tanto male
che si debba giustiziare
e una pena far pagare.
E se invece in tribunale
fosse giudice il Signore?
qual sarebbe la sentenza?
non necessita cercare
tu sai già che è dentro al cuore.
Se qualcuno vien ferito
e si sente risentito
può sanare quel dolore
con l’aiuto dell’Amore.
E chi sta dall’altra parte
forse non si rende conto
col suo grande contributo
d’aver dato tanto aiuto.
Se ti trovi in un contesto
e non percepisci Amore
con la Luce puoi cambiarlo
attingendolo dal luogo
che proviene sai da dove.
Osservando la natura
piante, mari ed animali
se siam presi da stupore
lo possiam chiamare Amore.
Camminando nella vita
può succeder di cadere
se in Amore resterete
presto voi vi rialzerete
Nello stare ad osservare
vedo dentro in molti cuori
tanto Amore imprigionato
che vuol esser liberato.
Tutti sanno come fare
ed è semplice imparare
basta stare ad ascoltare
quello che ci detta il cuore.
Vi confido, l’intenzione
è portare riflessione
che se ci rendiamo conto
quanto Amore abbiamo dentro
no, non più elemosinare
e se siam disposti a dare
questo ci farà arricchire
Per finire vorrei dire
e di questo ne ho le prove
quando noi doniamo Amore
quello allevia ogni dolore.

Maria Bignami



Natale 2018. Buone Feste di Gioia e Amore a tutti!

lunedì 17 dicembre 2018

Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise - CONFERMATO DIVIETO DI CACCIA IN AREA DI PROTEZIONE ESTERNA



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Con decreto del 27 settembre 2018, n. T00220, il presidente della Regione Lazio disciplinava l’esercizio venatorio nell’area di protezione esterna del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, senza il parere obbligatorio dell’ISPRA ed aprendo la caccia anche ai non residenti nelle aziende turistico-venatorie e faunistico-venatorie, in violazione della legge n. 394 del 1991. Le associazioni ENPA, LAC, LAV e WWF, assistite dall’avvocato Valentina Stefutti, impugnavano tale decreto al TAR insieme al calendario venatorio del 2018-2019. Il 23 ottobre il Presidente della sezione I quater del TAR del Lazio accoglieva la richiesta di sospensione cautelare monocratica relativamente al detto decreto (vedi newsletter n. 115). 


Ma il 13 novembre, con ordinanza collegiale n. 6863 pubblicata il 14 novembre, lo stesso TAR del Lazio respingeva la domanda di sospensione cautelare del calendario venatorio, con il risultato di permettere di nuovo la caccia nella zona di protezione esterna del suddetto Parco anche ai non residenti (newsletter n. 121). 

Le associazioni si appellavano allora al Consiglio di Stato (sezione terza) il cui presidente Frattini con decreto monocratico del 22 novembre 2018 ha nuovamente sospeso il decreto della Regione che consentiva la caccia, e la caccia è stata quindi nuovamente vietata nell’area di protezione esterna del Parco stesso. Infine, con ordinanza pubblicata il 14 dicembre, il Consiglio di Stato (sezione terza), in sede collegiale, confermando il decreto monocratico, ha accolto l’istanza cautelare ed ha quindi sospeso il decreto del Presidente della Regione Lazio del 27 settembre 2018 n. T00220. La Regione Lazio è stata inoltre condannata a pagare le spese del duplice grado del giudizio cautelare, liquidate in € 4.000,00 oltre agli accessori come per legge, a favore delle associazioni ricorrenti.

Carlo Consiglio  - info@carloconsiglio.it 

venerdì 14 dicembre 2018

Bologna. Paolo Conte “Cinquant’anni di azzurro” - Recensione

PAOLO CONTE
“Cinquant’anni di azzurro”
Teatro Europaditorium – Bologna
11 dicembre 2018    h21

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L’amore è uno stregone

… l’amore è uno stregone un fuoco
isterico magnifico
carezza di una mano che semplifica
(“Elegia”- P.Conte, 2004)

     

        “La vecchiaia può portare anche un po’ di follia”, dice in un’intervista recente. Vero, se come la sua - classe ’37 - è abitata dal genio; se vi troviamo intatti la poesia e l’ironia, la fantasia e il realismo magico di un indomito ”novecentista errante” per il quale il tempo forse non esiste; se quella sua musica distilla ancora sull’attualità frettolosa melodie e ritmi saldamente radicati nell’identità culturale europea del ventesimo secolo.

        I suoi “50 Anni di Azzurro” sono anche qui, condensati in quest’ora e mezza, nel teatro al completo, nella voce sghemba dello chansonnier, fra il pubblico che alla prima nota riconosce ogni brano nei geniali arrangiamenti e si abbandona alle sue vibrazioni o l’appoggia a momenti del proprio vissuto.

        E tutto il meglio è già qui, in quel percorrere stili e generi e ricomporli in lampi di prestigiatore. Forse perché è anche pittore, Conte disegna in testi e in note il suo reale e il nostro: sciabolate di luce, ellissi di parole, abbozzi che aprono all’immaginario e sembrano piantarti lì in sospeso, come certi gatti o certi uomini / svaniti in una nebbia / o in una tappezzeria; l’ascoltatore è servito, a quel filo può agganciare la sua “toponomastica privata”, srotolarne un capo e riavvolgerlo a piacimento, ritrovarvi commozioni e allegrie, un tempo fatto di  attimi / e settimane enigmistiche

        Sul grande palco niente effetti speciali, niente dei barocchismi con cui i mediocri di successo farciscono il nulla. La sobria sapienza delle luci basta a dar risalto ai musicisti superlativi alle sue spalle, ai solisti che a turno lo affiancano in preziosismi senza ostentazione; lui, è il maestro che sembra suonare in un club per pochi amici, la voce ruvida e scoscesa che conosciamo, trascolorante dal recitativo al canto e viceversa, lo sberleffo gracchiante ma elegante del kazoo (il buffo strumento che “dopotutto è rimasto la mia orchestra preferita”); e l’orchestrazione sontuosa che nel conclusivo Diavolo Rosso si dilata in una frenesia di percussioni e corde, in superbi assolo di sax e poi di violino e poi di fisarmonica ad evocare voci dal sole e altre voci… altri abissi di luce / e di terra e di anima… 
Musicisti talmente “storici” e in tale simbiosi che non stupirebbe se oltre a suonare vivessero anche insieme, e che in quindici formano un’ orchestra vera e completa.

        Le parole dondolano pigre tra poesia e prosa, sublime e quotidiano, o rapide volteggiano nel recuperare il cielo ad alta quota, maliziose occhieggiano dietro la porta del pomeriggio.
La musica le contiene in tanghi e milonghe dall’eleganza di zebra, in blues che virano in tango, rumba o “allegria del tango”, e in jazz naturalmente (“Sono un ragazzo del dopoguerra, la generazione degli amanti del jazz”); ne fonde il meglio in accordi, arrangiamenti, tempi e risonanze, evoca più che descrivere, e sempre va a smuoverci qualcosa nel profondo.

        Poesia allo stato puro, è stato detto della musica di Conte; ma anche che non c’è bisogno di chiamarlo poeta e di dargli questa pesante aureola in più…  E certo non servono etichette al multiforme troviere che in musica disegna il colore di un’epoca, e di questa il quotidiano e l’altrove, il tinello marron e le palme inquietanti e inquiete, la provincia “universale” coi suoi umori e i suoi miraggi d’evasione, dove i ballerini aspettan su una gamba / l’ultima carità di un’altra rumba.

        Che siano enigmatici ed ellittici o realisticamente ancorati allo spazio fisico - un tram, un albergo, un taxi più un telefono più una piazza… - nei testi affiorano memorie e attese, il duplice binario del sogno e del quotidiano su cui la vita corre, deragliando a volte.
        Ci si incontra - ci si ama forse - ma  sempre l’amore balena come distanza da colmare, viaggio da intraprendere o fuga - Via via, vieni via di qui / niente più ti lega a questi luoghi… - È gioco d’azzardo - perché volersi e desiderarsi / facendo finta d’essersi persi - è sogno o intuizione come la notte, come il Mocambo; l’amore è uno stregone: cerca rifugio nella lontananza, lo sovrasta il presagio della delusione - certe parole sanno di pianto / sono salate, sanno di mare… E l’atto d’amore è un eros effimero, lampo fuggitivo senza storia.

        È sobrio e caldo il congedo di Conte dal suo pubblico che in piedi lo applaude; una comunicazione intima e profonda ha pervaso tutto il concerto, ogni parola in più sarebbe di troppo. Bisognerebbe tutelarlo come patrimonio dell’umanità un incontro così, assaporato nello spazio accogliente e arioso di un teatro, in composto entusiasmo senza scalmanati chiassosi feedback da star a pubblico.

        Ci resta quella musica, la sua, quei cinquant’anni di azzurro che “puoi portarti in tutti i viaggi come un libro prediletto di poesie”.

Sara Di Giuseppe       faxivostri.wordpress.com     letteraturamagazine.org


mercoledì 12 dicembre 2018

Sezano, 6 e 7 aprile 2019 - L’urgenza di costruire una rete informativa libera e indipendente



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Cari amici e partners questo è un invito a partecipare al Convegno che si svolgerà a Sezano al Monastero del Bene Comune il 6-7 Aprile del 2019. Una partecipazione attiva e propositiva. come spiegato nel breve documento di inquadramento che trascrivo qua sotto...” (O.T.)



Attivisti e giornalisti indipendenti, l’urgenza di costruire una rete

Monastero del Bene Comune, Sezano (VR)  6-7 Aprile 2019

In questo momento di crisi il vecchio mondo delle violenza (economica, sociale, mediatica, interpersonale) sta, speriamo, dando i suoi ultimi colpi di coda attraverso una preoccupante deriva razzista e fascista che investe molti paesi; il nuovo mondo si esprime e cresce, ma non trova ancora il suo spazio. I media tradizionali credono ancora di essere il famoso quarto potere, ma sono sempre più al servizio della speculazione finanziaria e di quel modello socio-culturale costruito da una minoranza accentratrice ed affarista. 

Ma  esiste anche una tendenza informativa e mediatica: un’altra voce, un nuovo modello che è iniziato dalle prime radio libere, dai fogli di quartiere e da altre forme di divulgazione di prossimità e oggi è cresciuto consolidando un nuovo concetto di informare e fare informazione, grazie all’avvento di Internet e delle reti sociali. Questa tendenza si manifesta anche nei tanti giornalisti che non accettano le regole del mercato, ma rivendicano la loro professionalità e indipendenza, denunciano la violenza in tutte le sue forme e promuovono forme di aggregazione e lavoro basate sul consenso, la reciprocità e la collaborazione.

Se per un verso queste nuove tendenze sono capaci di rilevare e raccogliere le espressioni, le aspirazioni e le esigenze di umanità, solidarietà e rispetto dei diritti umani di tanta gente, per un altro talvolta mostrano difficoltà nel fare rete, nel parlare e comunicare tra loro, nuocendo così fortemente al rafforzamento e alla crescita di un’informazione indipendente.

Occorre dotare questa informazione indipendente di strumenti sinergici adeguati per dargli potere e presenza e per renderla la voce di chi non ha voce, in una stretta relazione con gli attivisti, che a loro volta hanno spesso problemi a  coordinarsi tra loro e rischiano di scoraggiarsi davanti all’avanzare della violenza, alla criminalizzazione della solidarietà e alla difficoltà a far conoscere iniziative e posizioni.

In questo senso ti invitiamo ad essere copromotore insieme a Pressenza del Convegno Attivisti e giornalisti indipendenti, l’urgenza di costruire una rete che si svolgerà al Monastero del Bene Comune il 6 e 7 aprile prossimi. Il Convegno è ancora in fase di costruzione ed ogni contributo, idea, proposta organizzativa è molto gradita ed incentivata.

Olivier Turquet