Da anni il problema dell’eutanasia continua a suscitare dibattiti e riflessioni spesso molto sofferti. Di certo, per potersi avvicinare in modo costruttivo al problema dell’eutanasia occorre innanzitutto affrontare, consapevolmente e concretamente, lo scopo per cui la vita esiste.
Il genoma umano contiene in sé un progetto che dovrebbe realizzarsi nell’arco di circa 100 anni: tutto il percorso è già predisposto geneticamente ed è definito dalla scienza “ontogenesi biologica”. La morte, come logica conclusione del processo ontogenetico, in nessun caso nega la vita, poiché un processo così intelligentemente programmato ha lo scopo di far nascere in coscienza un individuo che prima non esisteva. Quindi la nascita della coscienza è lo scopo per cui l’ontogenesi biologica esiste. Parallelamente all’ontogenesi biologica va dunque considerata l’ontogenesi psicologica, ovvero la realizzazione del progetto potenziale del genoma umano.
A poco serve nascere biologicamente se l’individuo non sviluppa un Io che deve sfruttare il tempo e lo spazio per sperimentarsi, arricchirsi e gestire creativamente il proprio cervello ed il proprio corpo al fine di realizzare una coscienza capace di sopravvivere alla morte stessa. L’energia non si crea né si distrugge ma si trasforma e, nelle sue varie forme, trasdotta dagli organi di senso, viene dinamicamente integrata in una forma di conoscenza che dà vita alla coscienza.
La fisiologia può spiegare le ragioni per cui nel processo ontogenetico si verificano quelle patologie che producono il dolore, la sofferenza e la degenerazione del meraviglioso progetto che ogni essere umano rappresenta nell’arco della propria esistenza, e allo stesso tempo può mettere in evidenza gli elementi di prevenzione in grado di eliminare quelle sofferenze che nascono soprattutto dalla grande ignoranza che impera sulla conoscenza della vita. Non è la vita che soffre, ma un corpo devastato da migliaia di inquinamenti sia biologici che psicologici, e le interpretazioni che se ne danno sono spesso arbitrarie e consentono decisioni pseudo-terapeutiche non motivate dalla fisiologia stessa. Più gravi sono i danni che si provocano al processo fisiologico della vita di un essere umano, più gravi sono le conseguenze di tali danni.
La morte, come abbiamo visto, è la logica conseguenza dell’ontogenesi biologica che dovrebbe fisiologicamente partorire una coscienza capace di godere di tutto ciò che la circonda e trasmettere la propria “ricchezza”. La grande confusione che aleggia nella psiche umana impedisce la vera nascita della persona e la paura che scaturisce da ciò che non si conosce genera spesso il rifiuto della vita. Occorre comprendere che il corpo è solo un mezzo attraverso il quale la coscienza dell’individuo dovrebbe relazionarsi all’ambiente nel pieno rispetto delle leggi che regolano la fisiologia dell’ecosistema. Il rispetto delle leggi fisiche e biologiche previene la patologia, la sofferenza, il dolore nonché la paura della morte. Molto è stato fatto per favorire e potenziare l’espressione dell’essere umano, ma il potenziamento dell’essere umano non deve violare tali leggi, poiché ogni violazione prevede una sanzione: malattia, ansia, angoscia, paura…
L’eutanasia non può essere legittimata dalla non conoscenza della vita, poiché il dolore e la sofferenza sono strumenti attraverso i quali l’individuo prende coscienza dei propri errori esistenziali o contribuisce alla presa di coscienza altrui al fine di favorire la qualità della vita e la prevenzione del dolore e della sofferenza stessa. Spesso i malati terminali, dopo lunghe lotte e conflitti con il dolore, raggiungono stati di sublimazione che consentono loro di accedere a quella “spiritualità” che nell’arco della loro esistenza non avevano mai potuto percepire. L’energia che dà vita alla coscienza dovrebbe raggiungere quella sublimazione prima di liberarsi da un corpo non più utile all’evoluzione dello spirito dell’individuo.
Michele Trimarchi - (luglio-settembre 2003)
Da anni il problema dell’eutanasia continua a suscitare dibattiti e riflessioni spesso molto sofferti. Di certo, per potersi avvicinare in modo costruttivo al problema dell’eutanasia occorre innanzitutto affrontare, consapevolmente e concretamente, lo scopo per cui la vita esiste.
Il genoma umano contiene in sé un progetto che dovrebbe realizzarsi nell’arco di circa 100 anni: tutto il percorso è già predisposto geneticamente ed è definito dalla scienza “ontogenesi biologica”. La morte, come logica conclusione del processo ontogenetico, in nessun caso nega la vita, poiché un processo così intelligentemente programmato ha lo scopo di far nascere in coscienza un individuo che prima non esisteva. Quindi la nascita della coscienza è lo scopo per cui l’ontogenesi biologica esiste. Parallelamente all’ontogenesi biologica va dunque considerata l’ontogenesi psicologica, ovvero la realizzazione del progetto potenziale del genoma umano.
A poco serve nascere biologicamente se l’individuo non sviluppa un Io che deve sfruttare il tempo e lo spazio per sperimentarsi, arricchirsi e gestire creativamente il proprio cervello ed il proprio corpo al fine di realizzare una coscienza capace di sopravvivere alla morte stessa. L’energia non si crea né si distrugge ma si trasforma e, nelle sue varie forme, trasdotta dagli organi di senso, viene dinamicamente integrata in una forma di conoscenza che dà vita alla coscienza.
La fisiologia può spiegare le ragioni per cui nel processo ontogenetico si verificano quelle patologie che producono il dolore, la sofferenza e la degenerazione del meraviglioso progetto che ogni essere umano rappresenta nell’arco della propria esistenza, e allo stesso tempo può mettere in evidenza gli elementi di prevenzione in grado di eliminare quelle sofferenze che nascono soprattutto dalla grande ignoranza che impera sulla conoscenza della vita. Non è la vita che soffre, ma un corpo devastato da migliaia di inquinamenti sia biologici che psicologici, e le interpretazioni che se ne danno sono spesso arbitrarie e consentono decisioni pseudo-terapeutiche non motivate dalla fisiologia stessa. Più gravi sono i danni che si provocano al processo fisiologico della vita di un essere umano, più gravi sono le conseguenze di tali danni.
La morte, come abbiamo visto, è la logica conseguenza dell’ontogenesi biologica che dovrebbe fisiologicamente partorire una coscienza capace di godere di tutto ciò che la circonda e trasmettere la propria “ricchezza”. La grande confusione che aleggia nella psiche umana impedisce la vera nascita della persona e la paura che scaturisce da ciò che non si conosce genera spesso il rifiuto della vita. Occorre comprendere che il corpo è solo un mezzo attraverso il quale la coscienza dell’individuo dovrebbe relazionarsi all’ambiente nel pieno rispetto delle leggi che regolano la fisiologia dell’ecosistema. Il rispetto delle leggi fisiche e biologiche previene la patologia, la sofferenza, il dolore nonché la paura della morte. Molto è stato fatto per favorire e potenziare l’espressione dell’essere umano, ma il potenziamento dell’essere umano non deve violare tali leggi, poiché ogni violazione prevede una sanzione: malattia, ansia, angoscia, paura…
L’eutanasia non può essere legittimata dalla non conoscenza della vita, poiché il dolore e la sofferenza sono strumenti attraverso i quali l’individuo prende coscienza dei propri errori esistenziali o contribuisce alla presa di coscienza altrui al fine di favorire la qualità della vita e la prevenzione del dolore e della sofferenza stessa. Spesso i malati terminali, dopo lunghe lotte e conflitti con il dolore, raggiungono stati di sublimazione che consentono loro di accedere a quella “spiritualità” che nell’arco della loro esistenza non avevano mai potuto percepire. L’energia che dà vita alla coscienza dovrebbe raggiungere quella sublimazione prima di liberarsi da un corpo non più utile all’evoluzione dello spirito dell’individuo.
Michele Trimarchi - (luglio-settembre 2003)
Comunicazione di Gilberto Di Benedetto *:
RispondiElimina"Il Professor Michele Trimarchi, fondatore della NeuroPsicoFisiologia, Presidente dell’International Society of Neuropsychophysiology, Preside della Facoltà di Neuropsicofisiologia, ha completato il suo percorso biologico ontogenetico nelle prime ore del 29 gennaio scorso, liberando così la sua Bellissima Energia Cosciente.
Definire il significato di una vita è per molti estremamente complesso. Non per Michele Trimarchi.
Nelle sue riflessioni sull’eutanasia chiariva in pochi, semplici concetti, che la morte non nega la vita, che lo scopo della vita è la “nascita” della coscienza e l’una è lo scopo dell’altra, scopo raggiunto il quale si estingue il motivo biologico dell’esistenza del corpo. E questo vuol dire che si trasforma in energia pura.
L’integrazione delle scienze è stata una componente essenziale nelle teorie Neuro Psico Fisiologiche messe a punto dal Professor Trimarchi e anche in occasione di questo evento egli chiude il cerchio chiarendoci che questo è il passaggio a quella forma di esistenza fisica che è l’energia. Il compimento del progetto.
Consapevoli di questo, i suoi allievi, quelli per i quali è stato un riferimento, un mentore, continuano a considerarlo tale e gli rendono omaggio consapevoli che la sua energia rimane inattaccabile al tempo e allo spazio.
Grati per la ricchezza del suo dono, fatto di condivisione di una via per raggiungere la coscienza di ciò che ci circonda." (* Psicologo Psicoterapeuta - gilberto.dibenedetto@gmail.com)
Tanto di cappello al prof. Trimarchi.
RispondiEliminaAggiungo solo un commento a quando dice " Il rispetto delle leggi fisiche e biologiche previene la patologia, la sofferenza, il dolore nonché la paura della morte. "
Avrebbe dovuto dire: "Il rispetto delle leggi spirituali, che si riflettono sulla terra come leggi fisiche e biologiche, previene .......", poiché è dalla mancanza di rispetto delle leggi eterne ed universali che derivano tutti i nostri problemi e sofferenze umane e animiche, dal momento che ci allontanano dalla Fonte della Vita.
Quanto più ci si allontana dal fuoco, tanto più ci si raffredda e si tende a restringersi, a raccogliersi in se stessi. Allo stesso modo, quanto più ci si allontana da Dio,
tanto più si perde energia vitale e quindi ci si ammala e si soffre.
Infatti lo dice anche la saggezza popolare, quando dice: "L'occhio è lo specchio dell'anima".
RispondiEliminaInfatti, nell'iride si rispecchiano tutte le malattie passate, presenti e future/le tare ereditarie, e avvisandoci che l'iride è lo specchio dell'anima, il proverbio ci vuol dire che le malattie sono una conseguenza dei nostri pensieri, parole e azioni contrari alla Legge Universale dell'Amore, sintetizzata nei 10 Comandamenti di Dio e nel Discorso della Montagna di Gesù, cioè di quelli che in Occidente chiamiamo peccati.