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lunedì 25 marzo 2019

Vegetarismo e l’etica del possibile…

Una idea morale utopica, come quella vegana ed antispecista, ha un grande appeal attrattivo su molti animalisti. Come tutte le idee aldilà della portata attuativa nella società corrente rischia però di diventare un’altra forma di “ismo”, una filosofia religiosa che cerca attraverso i suoi adepti di elevare la coscienza con il solo risultato di contribuire a ulteriormente dividere la società umana in “credenti” e “infedeli”. Insomma la filosofia vegana manca di capacità attuativa e come tutte le filosofie e religioni resta un ideale alla portata di pochi “eletti” disgiunti dal contesto.
Ritengo personalmente che per andare verso una consapevolezza della comune appartenenza e della pari dignità e complementarietà della vita, insomma delle reciproche relazioni fra specie, sia importante che vengano riconosciute le differenze per poter allo stesso tempo riconoscere l’eticità naturale senza forzare la natura.

L’astrazione del pensiero trasformato in “morale” non aiuta la manifestazione di una spontanea “compassione” che si manifesta in un interspecismo maturo.

Tutti gli esseri viventi attingono e si originano dalla comune matrice che differenziandosi ha assunto le innumerevoli forme, ognuna complementare e relata alle altre, ognuna con alcuni aspetti evolutivi utili al mantenimento della vita ed alla ulteriore propagazione e fioritura di nuove specie.

L’uomo non è l’ultima parola in natura e questo deve essere sempre presente nella considerazione di chi si pone il “problema” del bene collettivo.

La vita si nutre della vita, su questo non ci sono dubbi, d’altra parte vediamo che esiste un certo equilibrio anche nel modo in cui questo costante e collettivo alimentarsi avviene. I microorganismi svolgono funzioni essenziali come base alimentare degli organismi più complessi e contribuiscono al riciclaggio della materia morta.

Le piante procurano ossigeno e forniscono cibo agli animali ed allo stesso tempo ricevono humus e sostanze organiche utili in cambio. Gli animali aiutano la propagazione delle piante, e qui non mi riferisco semplicemente agli insetti che facilitano l’impollinazione, bensì a tutte le specie di erbivori che sfogliando le piante senza ucciderle fan sì che esse affondino vieppiù le radici nella terra.

Le piante producono frutti appetibili ed i semi vengono diffusi in altri spazi dagli animali. L’eccesso di erbivori viene calmierato con la presenza di predatori e fra erbivori e predatori c’è una armonia di co-presenza. Essi aumentano e decrescono sulla base delle necessità finali delle piante nell’ambiente.
Tutti sanno che i leoni quando aggrediscono un branco di antilopi, ricevono dalle antilopi stesse un “tributo” in forma dell’animale più malandato del gruppo, una specie di “offerta/sacrificio” che tra l’altro ha la funzione di mantenere sano il branco. 
Insomma la natura pur nella sua apparente crudeltà è saggia e materna. Si occupa di tutti gli aspetti e nulla trascura per i suoi figli. Al contrario ove manca l’interscambio, come ad esempio nelle nostre periferie urbane in cui sono aumentati indiscriminatamente alcune specie avicole e terricole per la mancanza di idonei “calmieratori”.

Anche l’uomo per migliaia di anni ha rispettato questa “etica naturale” contribuendo a mantenere la vita sul pianeta in equilibrio. Solitamente l’uomo, come tutti gli animali frugivori, non ha bisogno di alimentarsi direttamente delle carni di altri animali. Vedasi le scimmie antropomorfe nostre cugine che fanno un uso insignificante di carne, assumendo solo piccole quantità di insetti o piccoli animaletti della foresta a mo’ di integrazione alimentare, quando necessario. Altrettanto fanno i cinghiali e gli orsi. 
Però, ad esempio, gli orsi che si sono spostati al polo nord ovviamente hanno modificato la loro dieta sino a renderla totalmente carnivora e così è avvenuto per l’uomo che nella sua lenta occupazione del pianeta e spostandosi sempre più dall’habitat tropicale originario ha dovuto pian piano modificare in parte o totalmente le sue abitudini alimentari, per necessità di sopravvivenza.

La scoperta dell’agricoltura molto ha comunque contribuito per riportare l’uomo alla sua dieta originaria. Fermo restando che a seconda della latitudine la dieta varia in base al reperimento di risorse alimentari, vediamo che oggigiorno le capacità produttive, senza voler ricorrere alla chimica od agli OGM, garantirebbero all’uomo nutrimento sufficiente non solo i 6 miliardi di individui che siamo ma per almeno 10 volte tanti…. E qui veniamo al punto dolente… L’uomo avendo perso un contatto diretto con la natura ha utilizzato le sue capacità tecniche e la sua capacità di sottomettere (e sottomettersi) per assoggettare la sua stessa specie ed anche le altre ad un dominio utilizzativo e speculativo che non tiene conto della pari dignità di tutti gli esseri viventi.

L’uomo ha diviso la società umana in “schiavi” produttori di ricchezza (per l’uso di pochi “padroni”) e le specie animali in “oggetti di mercato” da sfruttare ignominiosamente come merce. I grandi finanzieri ed i produttori del denaro, staccati dal contesto umano, galleggiano razzisticamente sul resto dell’umanità e fingono di fornire ai loro sottoposti un benessere privo di valore, in forma di cibo sanguinolento e crudele e malsano proveniente dagli allevamenti intensivi e dai macelli.

Questo meccanismo è non solo la causa della distruzione del pianeta, per il consumo di tutte le risorse e per l’avvelenamento degli elementi naturali, ma è anche causa della perdita totale dell’anima originaria, della naturale e rispettosa correlazione fra esseri viventi e habitat….

Mi rendo conto di aver toccato un argomento che a questo punto con l’etica propugnata dai cosiddetti animalisti viaggia in una sorta di parallelismo antagonista….

E’ vero che le abitudini alimentari vanno modificate in funzione di un ritornò alla naturalità.. ed è anche vero che non si può separare l’uomo dagli altri animali. Il muto aiuto è necessario per la reciproca sopravvivenza e per la comune crescita karmica. Gli spazi naturali vanno recuperati senza forzature e la specie umana non deve necessariamente saltare da “dominante” a “in estinzione”. Riscoprire il significato della fatica, del reciproco aiuto, della simbiosi mutualistica senza prevaricazioni… insomma vivere in una Pace Interspecista è la chiave della nostra e “loro” sopravvivenza.

Bisogna stancarsi del “vizio” in cui siamo costretti a vivere ed iniziare a recuperare la capacità di procurarci il nostro cibo senza dover ricorrere al mercato e senza doversi vendere ai “padroni del mondo”. La rivolta è necessaria, lo sforzo è necessario….
Mi rendo conto di non poter esaurire l’argomento con un singolo scritto… intanto ho buttato lì alcune riflessioni.
Paolo D’Arpini

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