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sabato 9 marzo 2019

Il mondo nuovo di Aldous Huxley - Recensione



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Trovo questo sia un libro seminale. La lettura è stata piacevolissima per la trama e per lo spazio che ha dato alla mia riflessione. Tra i libri distopici, lo preferisco a 1984 di Orwell. Ci sono elementi che mi hanno inquietato per la visionarietà dell’autore Huxley nel descrivere tratti di un mondo che appare simile a quello nostro contemporaneo o a quello a cui stiamo tendendo. 


Il mondo nuovo descritto dall’autore si impernia su una società in cui tutti gli uomini sono felici e “sedati” perché accontentati nei loro bisogni superficiali e incapaci di “sentire”, di provare emozioni perché queste ultime potrebbero sconvolgere lo status quo e renderli instabili. Società di uomini creati in provetta, distinti tra soggetti Alfa, Beta, Delta e addestrati a non pensare criticamente, a non leggere, a maturare pensieri precostituiti attraverso l’ipnopedia, ossia il costante bombardamento di pensieri inculcati durante il sonno ai bambini in modo che essi “imparino” ad incarnare quello che il sistema vuole siano.

Ad opporsi a questo mondo un “Selvaggio”, figlio del mondo vecchio nel quale ancora c’erano madri e padri, un appassionato lettore di Shakespeare che si impatta con il mondo nuovo asettico, non capendone le dinamiche e stupendosi dei tratti desolati di quella realtà, reclamando il “diritto di essere infelice”.

C’è un personaggio nel romanzo a cui l’autore lascia emettere una delle citazioni più suggestive e pregne di significato che abbia ritrovato in questo volume, la seguente:

“Dove ci sono guerre, dove ci sono giuramenti di fedeltà condivisi, dove ci sono tentazioni a cui resistere, oggetti d’amore per i quali combattere o da difendere, là certo la nobiltà e l’eroismo hanno un peso. Ma ai nostri giorni non ci sono guerre. La massima cura è posta nell’impedirci di amare troppo qualsiasi cosa.”

"Il mondo nuovo" di  Aldous Huxley.  Un libro importante, di una poderosa bellezza.


Elisabetta Cassone

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Brave New World (1932) marked a turning point in Huxley’s career: like his earlier work, it is a fundamentally satiric novel, but it also vividly expresses Huxley’s distrust of 20th-century trends in both politics and technology. The novel presents a nightmarish vision of a future society in which psychological conditioning forms the basis for a scientifically determined and immutable caste system that, in turn, obliterates the individual and grants all control to the World State

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