LUBBITILLU,
RACCONTO D’AMORE GASTRO-BOTANICO
“E’ lubbitillu,
chillu chi crisci là suttu li piantoni! E te lu magni?” Ecco
la chiave di volta della mia lunga epopea all’inseguimento della
misteriosa verdura greca.
Chissà, forse vi è
capitato nei ristorantini greci se ci siete stati, di ordinare la
Horta. Horta significa misticanza, e quindi ce n’è di vari generi.
Ma poi col tempo si impara a chiedere se hanno la Horta Vlitta, un
particolare tipo di “cicoria” locale, che è troppo buona… Dal
sapore delicato e leggermente ferroso, meno tanninica dello spinacio
e meno acquosa della bietola, non è amara come la cicoria e profuma
leggermente di carciofo. Si mangia all’agro e le sue foglie hanno
una consistenza tenera ma corposa che da una certa soddisfazione
primordiale, un po’ come il cavolo nero, che quando sta in una
zuppa sembra ci sia la carne.
Questo l’assunto
edonistico che ha mosso la mia curiosità. Alla base di tutto c’era
una domanda: ma possibile che non si trovi in Italia? Con chiunque ne
parlassi alzava le sopracciglia o il mento in segno di fatalismo. Ma
poi nell’orto retrostante uno di questi ristorantini, ho potuto
finalmente intavolare una discussione aperta con la forma botanica di
quelle favolose verdure. Come quando si incontra una star in
borghese, sono rimasta attonita per un po’ ad osservare la Vlitta
in campo: i prodigi gastronomici a volte si riassumono in una grande
semplicità!
Infine ho notato
nell’aiuola davanti al ristorante una … Vlittina!
Non aveva le foglie grandi come l’altra e sembrava spontanea. Dopo
aver rafforzato i collegamenti tra Vlittona e Vlittina con una più
attenta osservazione, ho ritrovato la vlittina nel giardino della
casa dove abitavo sull’isola di Serifos. Allora sono andata dal
proprietario dell’orto, valoroso contadino superstite dell’isola,
e gli ho chiesto, se si mangiava come quell’altra anche la cugina
selvatica. Mi ha subito risposto di sì, andavano raccolte cime e
foglie prima che spigasse ed era ancora più saporita. Questa tappa è
culminata con un prodigioso contorno di Vlitta tiepida ed una salsina
di aglio e mentuccia liberamente tratta dalla tradizione del carciofo
alla romana. Non ho ancora avuto il tempo di provare a farci un
ripieno per i ravioli, accostandola con la ricotta o con un formaggio
di capra fresco, ma sono abbastanza sicura del risultato…
Adesso questa verdura mi
aveva compenetrata ed avrei riconosciuto la sua andatura da centinaia
di metri, me la sentivo già sotto i denti e mentre rientravo in
Italia esploravo avida i bordi delle strade in cerca di conferme…
ERA OVUNQUE! Un bel giorno mi sono rifornita di due buste abbondanti
di vlitta in un uliveto umbro. Ma volevo chiarire gli ultimi dubbi,
ero molto curiosa di conoscere il parere dei contadini e delle nonne
della zona. Così gli ho mostrato l’erba di cui andavo parlando, ed
è giunta la sentenza: “E’ lubbitillu, chillu chi crisci là
suttu li piantoni! E te lu magni?”. Questo il commento del
padre di Alba, ma la figlia ha soggiunto: “Bitillu in dialetto
significa piccola bieta, e quindi può darsi che la mangiassero in
passato, anche se l’usanza si è persa”. Così siamo risaliti
all’etimologia latina, Blito: ancora oggi il nome greco e quello
umbro se ne discostano poco, poiché βλυττα
in greco si scrive con la B, Bieta e Bitillu hanno lo stesso
radicale.
Questa pianta altro non è
che Amaranto nostrano. Proprio così, è il cugino europeo
dell’eroico amaranto Latino Americano che in questo periodo sta
sconfiggendo le coltivazioni OGM della Monsanto, affrontando
valorosamente gli erbicidi e invadendo i campi di mais transgenico.
Mentre i popoli latino americani lo coltivano soprattutto per i semi,
noi che abbiamo piante più piccole possiamo mangiarne le foglie.
Pare siano addirittura più ricche di proteine della soia!
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Sei GRANDE! Per me era un mistero. Grazie
RispondiEliminaComplimenti,hai dato sostanza ad un alimento selvatico,invasivo e delizioso.
RispondiEliminaPeraltro l'appellativo evlite' in greco è destinato alle persone inutili ed invasive.