L’hanno detto in tanti. C’è una via che porta la storia verso dio e una verso la dannazione.
Tra le molteplici radici ontologiche del comportamento dell’uomo, si può forse ritenere ve ne sia una di grado superiore, una specie di matrice sostanziale delle moltitudini formali. Si tratterebbe della concezione egoistica dell’egoico. Non è un gioco di parole.
A causa di questa concezione, tendiamo a credere che gli uomini siano entità tra loro separate. In questo senso, la nostra concezione degli ego è egoistica. Se così non fosse, cioè se non fosse egoistica, ovvero se la nostra concezione del prossimo non derivasse dalla posizione centrale che l’inconsapevolezza del tutto ci obbliga ad occupare, non avremmo difficoltà alcuna a osservare come e quanto l’altro si muova nel mondo assoggettato alle medesime leggi che tutti sono costretti a rispettare.
La prospettiva ecoistica, non-egoistica, è una nostra disponibilità in ambito evolutivo. Cioè diviene possibile riconoscerne la verità quando ci interessiamo della condizione umana, dei perché essa versi nella sofferenza, perché la storia sia storia di guerre e così via.
Traguardare la realtà, il mondo, noi stessi tutti attraverso il mirino evolutivo, significa interessarsi alla via della bellezza, dell’invulnerabilità, della creatività e dell’amore. Significa aver colto entro il caotico conflitto della nostra condizione lo spazio per emanciparsene. Per realizzare una condizione di vita e dunque di storia alternativa. In grado di farci sentire all’altezza di tutte le situazioni. Per mantenere la rotta evolutiva, l’interessato a questo percorso diviene consapevole che questa appena descritta è un’attività allenabile e che, tra le altre doti da estrarre da se stessi, dovrà divenire acqua, fuoco, terra e aria.
Allenabile, in quanto qualunque intento umano tende al successo attraverso un iter sempre ripetuto e rispettato che si compone di due soli elementi, motivazione e dedizione. La cui consistenza si riflette sempre e subito nella realtà.
Divenire i quattro elementi elementali intende, invece, tanto emanciparsi da quanto crediamo di essere – un nome, un cognome, un ruolo, ecc –, quanto conseguentemente riconoscere che sempre, noi e tutti, in tempi differenti, esprimiamo affermazioni peculiari dei quattro elementi.
Essere acqua allude a prendere la forma utile per perseguire il proprio intento. Il cui aspetto negativo corrisponde ad adeguarsi sic et simpliciter. Essere fuoco comporta il sopraffare senza senso di colpa. Il cui aspetto contrario, se la modalità è inopportunamente dosata, è trovarsi al centro di una terra bruciata.
Essere terra comporta l’irremovibilità, l’insensibilità, il disinteresse. Tutte psicologie utili a non farsi trascinare dove sconveniente. All’opposto, esse implicano modestia spirituale, inettitudine alla crescita. Essere aria è tanto librarsi leggeri sopra le pratiche faccende del mondo, quanto non essere in grado di assolverle quando necessario, pena qualche pena.
Ma tutto ciò è ancora niente se non prodromo del passaggio successivo: riconoscere l’altro come un sé in altro tempo-spazio-forma. Non si tratta di uno scopo fine a se stesso, né inquadrabile in una logica di successo personale; saremmo in contraddizione con l’impianto del discorso.
Avvedersi delle identicità di tutti gli uomini, liberarsi dall’apparente inestirpabile modalità di trovare innumerevoli distinguo tra noi – ma vale anche il suo rovescio, cioè le affinità – è quanto utile per alzare il rischio di realizzare in noi e nel mondo una storia d’amore che tenda a ridurre quella dell’odio. Nel cristianesimo, ma certo in mille altri luoghi, quanto detto è rappresentato dai Vizi e dalle Virtù.
I primi non sono altro che l’espressione, la creazione e il presupposto del mondo duale: ciò che sono io, non sei tu. Ogni vizio, inclusi i sette cosiddetti capitali, implicano una concezione egoistica dell’altro. Comportano separazione. Non solo dall’altro ma dal tutto, o da Dio, secondo il cristianesimo.
Le seconde, indipendentemente da quale specie si voglia considerare tra cardinali, teologali, platoniche, aristoteliche, o altre, implicano una concezione del prossimo come nostro pari. Attraverso la cruna dell’ago delle virtù passa la forza di unione con l’altro e, per estensione, con il tutto. O, secondo il cristianesimo, con Dio.
Lorenzo Merlo
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