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domenica 10 agosto 2014

Finto volontariato umanitario - Aiutare chi sta lontano ed ignorare chi ci sta vicino




Spesso mi capita di vedere gente che pratica o ambisce a fare del
volontariato internazionale, non occuparsi di bisogni o problemi di
chi sta nella porta accanto o addirittura nella propria casa e
famiglia. Sono cose che non dovrebbero escludersi a vicenda, ma andare
per il mondo sembra attrarre molto di più. Mi domandavo incuriosito il
perché di questo fenomeno, non raro da osservare.


Noto che molti si sentono gratificati nel darsi da fare anche in giro
per il mondo, abbracciare nobili cause, sentirsi paladini di grandi
ideali umanitari, difensori di solidarietà di ogni genere: da quella
verso gli esseri umani sofferenti, a quella verso gli animali
abbandonati e bisognosi di aiuto. Pur apprezzando  questi valori,
e stimando coloro che li incarnano e li fanno propri con dedizione,
fatica e sacrificio personale, a volte mi sorgono delle riflessioni
dopo avere notato alcune contraddizioni evidenti in questi volontari.


Lungi da me il volere generalizzare, ma osservo che taluni di questi
praticanti il volontariato sono completamenti disattenti alle realtà
di fatica della propria famiglia, del proprio vicino, dei conoscenti
della cerchia ristretta in cui vivono. E’ come se i disagi di chi sta
loro intorno fossero poca cosa rispetto alle grandi difficoltà di chi
è distante, delle tragedie di chi vive in paesi lontani. Credo, forse
provocatoriamente, che anche in questo caso ci sia lo zampino
dell’ego. Mi sovviene di riflettere che amare l’umanità in quanto
tale, occuparsi delle grandi cause, sia più gratificante per l’ego che
dare una piccola a mano a chi ci sta accanto. Mi sembra che possa
inorgoglire di più contribuire a salvare qualcuno in qualche posto
difficile, lontano da casa, che portare un sacco di spazzatura, o fare
qualche lavoretto utile in casa, o tenere in ordine la nostra stanza…
per alleviare la fatica di nostra madre o di nostro padre, per fare un
piccolo esempio. E di esempi se ne potrebbe fare tanti in questo
senso. Se guardassimo con onestà dentro di noi potremmo vedere quanto
siamo distratti rispetto a queste incombenze che ci circondano. Perché
noi guardiamo sempre altrove. Questo ci fa sentire migliori, ci fa
sentire impegnati in qualcosa di veramente significativo. Non abbiamo
lo sguardo che si posa sulle sofferenze e stanchezze contigue, sul
dolore che urla nel silenzio dei nostri pianerottoli, nelle nostre
strade. Insomma, noto che l’ego si sente più utile e importante se fa
le cose in grande: azioni che possono essere notate e messe in qualche
modo in mostra. Che la nostra vanità spirituale trova nutrimento
maggiore nel fare del bene a chi è lontano piuttosto a chi è vicino.


Magari questo vicino, paradossalmente, non lo salutiamo nemmeno.

Claudio Prajnaram

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