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In movimento per ecologie, vivere insieme, economia sostenibile, bioregionalismo, esperienza del se' (personal development).

domenica 5 febbraio 2017

Bioregionalismo e antropologia del paesaggio - Storie comuni di Ferdinando Renzetti


Risultati immagini per Bioregionalismo e antropologia del paesaggio

...inizio una nuova serie di saggi sul paesaggio dal titolo storie comuni, questo primo saggio è diviso in tre parti: il racconto antropologico, il trattato scientifico,  tecnica didattica

storie comuni (etnoarchigroltura)

era da tempo che volevo scrivere “storie comuni”, un breve saggio di
antropologia del paesaggio, attraverso la storia della mia famiglia: la
polverizzazione e frammentazione della proprietà terriera dell abruzzo
collinare adriatico e la fine del sistema socio economico culturale, protratto
dal 1500 fino agli anni sessanta del novecento. le foto ritrovate in una
scatola dentro un cassetto del comò di mia nonna antonietta mi hanno dato
l’ispirazione ideale. quando ero piccolo avevo una percezione diversa del
paesaggio, il sole mi sembrava più giallo, il cielo più azzurro, l erba più
verde e la terra più marrone…

mio nonno giuseppe nasce alla fine dell 800, sulle pendici del gran sasso
orientale, a montebello di bertona, trascorre la sua adolescenza tra piccoli
lavori e pastorizia, soprattutto monticazione, portare al pascolo le pecore
quotidianamente nella vicina piana di voltigno, oggi riserva naturale. agli
inizi del 900 si imbarca su un piroscafo a napoli per new york, dopo la trafila
ad ellis island arriva in california dove rimane alcuni anni. torna in italia
per la prima guerra mondiale, al fronte per tre anni e sopravvissuto alla
frande guerra torna negli stati uniti a lavorare. si ferma a chicago fino alla
meta degli anni 20. torna in italia definitivamente e con il piccolo gruzzolo
messo faticosamente da parte acquista una masseria con un casale probabilmente
del 700 a loreto aprutino vicino pescara. il casale costruito con mattoni cotti
conci pietre di fiume e calce. nella zona erano attive numerose fornaci infatti
la vicina penne e’ definita citta del mattone. il casale addossato al versante
della collina, verso sud  per sfruttare al massimo la climatizzazione passiva
dei muri di mattoni riscaldati dal sole. verso valle il muro e’ più largo, con
contrafforti alla base ad aumentare spinta e staticità. alla fine degli anni 30
inizia la costruzione di una nuova abitazione conclusa dopo la seconda guerra,
costruita sempre con mattoni e altri materiali locali, facilmente reperibili,
sembra ben progettata, in piano con lasse nord sud perpendicolare allarco
solare per ottimizzare il riscaldamento solare sui muri e sulle falde del tetto
nelle varie stagioni. una enorme e lunga stalla con due entrate, una verso ovest
e l altra verso sud, ad areare in modo naturale l’ambiente. al piano terra oltre
la stalla l’abitazione del mezzadro  e sopra la sua abitazione  con un grande
terrazzo verso sud. e’ interessante sapere che con circa 10 ettari vivevano la
famiglia del mezzadro composta da sei persone e quella di mio nonno composta da
altre sei persone. il casale anche se ben protetto a nord da una serie di
stallette e da alberi e siepi aveva una scarsa efficenza termica per via dei
muri poco spessi. l’unica forma di riscaldamento era il camino, in cucina, poi
un lungo corridioio  le camere e il bagno senza servizi. non cera acqua
corrente e neanche energia elettrica arrivate alla fine degli anni 60. l’acqua
si andava a prendere al pozzo, con la conca o alla vicina sorgente, frequentata
da millenni. nella zona sono state trovate numerose testimonianze della vita dei
vestini, antica popolazione italica. questa sorgente negli ultimi tempi e’ stata
ricoperta e il nuovo proprietario ci ha costruito una rimessa  per materiali
edili, sic! alla fine degli anni 50 mio nonno crea un piccolo invaso
artificiale un laghetto, sbarrando con un grande argine di terra un piccolo
torrente. oggi questi laghi non più usati per l’irrigazione dei campi sono
rinselvatichiti divenendo vere nicchie ecologiche per vegetazione spontanea
uccelli e piccola fauna. le stallette erano divise in due blocchi, nel primo la
stalletta dei conigli della chioccia con i pulcini e quella della giumenta con
la puledrina. null’altro blocco galline e gallinacci  i maiali e le pecore.
nella stalla grande buoi vacche e vitelli. tutti gli animali si riproducevano
in fattoria cera il verro per il maiale il montone per le pecore ecc. si recava
spesso al mercato e alle fiere con il suo calesse a vendere piccoli animali
allevati e alberi e piante che innestava. produceva grano vino olio ortaggi
legumi. dietro le stalle un grande letamaio raccoglieva residui organici usati
per concimare la terra, all angolo un piccolo compost toilette. mio nonno
innestava  varietà fruttifere locali e tutti i semi da lui usati venivano
autoriprodotti o scambiati nella rete di protezione sociale di appartenenza. il
grano veniva seminato a mano e trebbiato con le prime macchine trebbiatrici. il
grano aveva una resa minore era più saporito ed aveva più qualità nutrizionali.
mia nonna antonietta faceva il pane con il lievito madre e il formaggio ora
famoso col nome pecorino di farindola. ricavava il caglio dallo stomaco del
maiale unito a varie erbe. il formaggio veniva messo sottolio o nella crusca.
stagionato acquistava un colore giallo rossiccio, dal sapore piccante e
profumatissimo. veniva grattugiato sulle tagliatelle fatte con la chitarra e
condite con ragù di pollo agnello e maiale. così le salsicce conservate in
palle di strutto appese in cantina, dove trovavano spazio passate di pomodoro
marmellate di uva succhi di frutta e pesche in barattolo. alla fine degli anni
50 la famiglia subisce un duro colpo, per una ghiacciata che secco quasi tutti
gli ulivi e per l’improvvisa cecità del nonno giuseppe.
antonietta, mia nonna, conosceva racconti proverbi modi di dire e canti legati
alla mietitura alla raccolta delle olive e alla vendemmia. filava la lana con
il fuso e il lino con il telaio. abbiamo ancora in famiglia le tele filate da
lei. negli anni 60 arrivano dalla citta intellettuali, persone che hanno
studiato, architetti  agronomi e veterinari e portano tante novità, concimi
fertilizzanti antiparassitari di origine chimica nuove tecniche di coltivazione
e allevamento, il cemento armato, la plastica, soprattutto trattori e altri
mezzi meccanici, portano nuovi semi selezionati in laboratorio e scompare la
pratica dellautoriproduzione dei semi, cambia anche la riproduzione degli
animali divenuta scientifica attraverso le provette dei veterinari. arrivano le
nuove fibre dall america, il cotone e il nylon che sostituiscono lino e canapa.
scompaiono i materiali naturali da costruzione, come pietre terra cruda paglia
e canne. si inizia a costruire tutto con il cemento. arriva anche l’asfalto
sulle strade assieme a tubature dell acqua potabile e tralicci dell
elettricita. nel tempo si sono aggiunti anche le tubature del gas, dell acqua
della bonifica per irrigare e i fili del telefono. un sistema a bassissimo
impatto energetico,  dove quasi tutto veniva autoprodotto, funzionava
perfettamente, viene sconvolto, azzerato e trasformato in sistema energivoro
come altri della contemporaneità. alla cultura dominante non interessava il
prodotto agricolo in quanto tale ma solo allargare la rete dei consumatori. un
tempo processi  culturali processi economici e processi naturali stavano sullo
stesso piano ora abbiamo una forte gerarchia piramidale, con i processi
economici che influenzano in modo preponderante i processi culturali e in fondo
quelli naturali. arriva un altra importante novità, la radio nelle cucine rurali
occupando con la televisione successivamente uno dei capisaldi della resistenza
della cultura tradizionale. la cucina, luogo sacro della cultura subalterna
dove quella dominante non era ancora riuscita ad arrivare. con la radio
scompaiono canti balli racconti modi di dire saperi magici giochi filastrocche
e tutto cio che veniva espresso e tramandato oralmente nelle lunghe giornate
invernali attorno al fuoco.

il paesaggio in poco tempo e’ cambiato tantissimo,ricordo che da piccolo negli
anni 60 andavo a pescare nel vicino fiume tavo. il fiume aveva l’alveo molto
largo con una buona portata di acqua, vegetazione a macchia bassa, pochi alberi
per via delle piene annuali. ricordo che si poteva pescare  nelle numerose pozze
tra i sassi. con la captazione a monte e la costruzione della diga, a penne, il
fiume si e’ trasformato in un piccolo torrente senza vita quasi al minimo
vitale di portata. la poca acqua ora scorre in un alveo ridottissimo, poche
pietre  seguito da filari di alberi e siepi, la mancanza di piene annuali ha
sviluppato la vegetazione in altezza lungo l’argine del fiume.

alla fine degli anni 70 sono giunti sempre dalla citta, i figli di quegli
intellettuali arrivati anni prima, erano ecologisti e ambientalisti, con l’idea
forte di proteggere la natura e in particolare uccelli piccola fauna
vegetazione spontanea, dimenticandosi spesso dei contadini e dei pastori che
vivevano in questi territori e li avevano sempre gestiti. mio nonno come altri
contadini aveva sempre rispettato l’ambiente in cui viveva che offriva da
vivere in modo naturale. i contadini vivevano in sinergia e in simbiosi con gli
altri esseri viventi animali e vegetali. ricordo che correvo tra i campi di
grano dietro quaglie fagiani e lepri si potevano facilmente incontrare volpi
faine e tassi. con la rivoluzione verde, così era stata definita la nuova
agricoltura portata dagli scienziati negli anni 60, gli animali erano già
scomparsi per via dei pesticidi antiparassitari e rumori di macchine e
trattori. qualche anno fa sono arrivati dalla citta i figli degli ecologisti e
parlano di agricoltura biologica simile a quella praticata da mio nonno,
agricoltura biodinamica simile alla biologica, si differenzia per  uso dei
preparati naturali volti ad aumentare lo strato di humus del terreno,
permacultura la progettazione sostenibile dell ambiente naturale partendo
dallabitazione  cercando di mettere tutti gli elementi in relazione tra di
loro, ogni cosa ha più funzioni. lo faceva pure mio nonno, da una siepe
ricavava foglie frasche per nutrire gli animali, fibre e piccoli legni per
cesti ed oggetti, bacche ed erbe per curarsi, verdure da mangiare. parlano di
orti sinetgici dove le piante vivono in sinergia tra di loro con l’uomo che le
cura e il cielo che le nutre. anche negli orti tradizionali si combinavano
consociazioni spesso non cera acqua per irrigare e molte piante erano
selezionate e adattate alla secca. oggi i cittadini parlano di dieta vegana, a
base solo di legumi cerali e verdure priva di prodotti di origine animale per
rispetto  della vita naturale e anche perché la maggior causa di immissione
nellambiente di anidride carbonica dipende proprio dagli allevamenti intensivi.
ci sono i vegetariani che arricchiscono la loro dieta con formaggi latte ed uova
e miele. i macrobiotici che basano la loro nutrizione sulla medicina cinese
legata allequilibrio di cibi basici ed acidi e non mangiano solanacee come
peperoni pomodori patate e melanzane perché alterano questo equilibrio. ci sono
i fruttariani che si nutrono solo con frutta di stagione, poi i crudisti che si
alimentano con cibi crudi per non disperdere le qualità nutrizionali dei cibi
nella cottura e anche i brettariani dallinglese breath, respiro. pare che si
nutrano solo di energia cosmica. ecco …mio nonno aveva una dieta quasi
vegetariana: un tempo si mangiava solo verdura e frutta di stagione, molti
legumi e pochissima carne. viene da pensare, senza fare polemiche che sono
movimenti di pensiero arrivati spesso dalla citta e mai nati e cresciutidai
dal basso, dai contadini stessi che si sono visti imporre scelte non loro ormai
da cinquantanni e sempre addotti come responsabili non si sa bene di cosa.
comunque sono filosofie di vita che spesso si possono attuare in società
opulenta come la nostra, solo andando al supermercato, infatti la maggior parte
di questi movimenti hanno portato tante novità ma non sostanziali cambiamenti
alla campagna di oggi. se si trovasse un linguaggio unitario una dieta comune e
un unico modo di coltivare più sano per tutti avremmo maggior possibilta di
incidere nella vita rurale contemporanea. anche perché tutte queste divisioni
sembrano spesso funzionali al sistema consumistico stesso che le manifesta che
tende a differenziare i mercati, saziando in questo modo anche tematiche di
origine etica e filosofica. siamo d’accordo razionalmente sull eliminazione
della carne dalle nostre tavole o quanto meno una forte riduzione ma come
spingere le comunità rurali a rinunciare a millenni di conviviale
socializzazione e allegria legati alla salsiccia simbolo spesso anche di
benessere. per concludere alla fine degli anni 60 mio zio che aveva sostituito
mio nonno, divenuto ceco, alla conduzione della masseria, muore. la famiglia si
e’ disgregata la moglie e la figlia si sono trasferite in citta e anche i
nonni sono venuti a vivere a pescara. la masseria condotta alcuni anni dal
mezzadro e’ stata divisa in numerosi lotti a proprietari diversi. ognuno ha
costruito una casa una casupola una rimessa una strada  addirittura un mulino
in cemento armato. mia madre ha ricevuto in eredita una parte corrispondente a
due ettari adesso io e mia sorella dovremmo ancora dividere in due ulteriori
parti. quindi una masseria in origine di venti ettari dove mio nonno e il
fratello hanno costruito ognuno una casa anche i miei genitori vi hanno
costruito una piccola casa, oggi tutta la masseria frazionata in circa dieci
proprietari il casale del 700 abbandonato ormai  diruto.

questo in piccolo quello che e’ successo al paesaggio del meridione e in
particolare alle campagne dell abruzzo costiero negli ultimi 50 anni. nella
frammentazione della proprietà terriera al territorio più in generale e al
paesaggio. storie comuni a tutti noi. nessuna volontà polemica verso la citta e
i cittadini mi e’ piaciuto raccontare questa storia in modo ironico. sono nato e
cresciuto nella periferia urbana ora vivo al quinto piano di un palazzo nel
centro di pescara tra cultura digitale e pensiero informale. dicevo all inizio
che quando ero piccolo percepivo il paesaggio in modo diverso e quando andavo
in campagna a loreto aprutino, dai miei nonni, entravo nella sfera del magico.
appena arrivato mi recavo nel pollaio raccoglievo tante uova, ancora calde, mi
sentivo ricco con quel cesto pieno di uova poi passavo in rassegna i maialini
che allattavano dalla scrofa, i pulcini con la chioccia, conigli agnelli anatre
pecore mucche. con mia nonna andavo a prendere in cantina la palla di strutto
con le salsicce dentro, quando si apriva la palla la strana crema bianca
rivelava con morbidezza il prezioso contenuto, la salsiccia spalmata morbida
sul pane fatto in casa. la sera nonna antonietta metteva un uovo sotto la
cenere giusto il tempo di far cuocere l’albume , bucavo il guscio e ci infilavo
sottili striscioline di pane con un po di sale. il buio del lume ad olio
l’acqua da bere dalla conca mi sembravano esperienze fantastiche. nel 1966 mi
fermai a giugno una settimana e giocavo con una carrioletta di legno gridando a
squarciagola sulla aja, varica varica varechina. imitando i venditori di
varechina che andavano in giro con i megafoni sul camioncino per le strade
bianche di allora, mi sembrava un lavoro bellissimo! un giorno la nonna preparo
un enorme pentolone di rame al centro dell aja con l’acqua dentro scaldata dal
sole, ecco voleva farmi fare il bagno, nudo, dentro la pentola con tutta la
tribù attorno. sono fuggito terrorizzato, con tutti dietro a inseguirmi. alla
fine rinunciarono all idea. un giorno a andai con mio zio da un suo amico
carmine. viveva in una casa di terra. un vano unico a piano terra, cera il
forno a legna col camino, i pavimenti in mattoni come il solaio, una scaletta
larga di legno portava al piano di sopra, la camera con le travi di legno a
vista. fiabesco! tutta la campagna per me era realtà magica! mio nonno ormai
cieco aveva in camera sul letto una cuffia dove si poteva ascoltare la radio
chiamata galena che funzionava senza elettricità. trascorrevo ore su quel letto
in quella camera profumata del sapore dolciastro dei sigari toscani che fumava
sempre.  emozionante farsi trasportare sul carro trainato dai buoi, nella brina
autunnale il vapore acqueo usciva dalle narici degli animali umili al comando
del fattore. nel silenzio sacro si sentiva il cigolio del giogo e lo sforzo
pacato dei buoi nel trainare il carro carico di sacchi di olive e delle donne
raccoglitrici. ora arrivano nuove forme di pensiero dalle citta agronomi
architetti geologi biologi sociologi antropologi etnomusicologi vengono da me e
dicono: sai forse quello che abbiamo detto a tuo nonno cinquantanni fa era tutto
sbagliato! ora le chiamano bio-tradizioni o agricoltura biotradizionale. la
rivoluzione verde ha presentato il suo conto sotto forma di inquinamento,
riduzione della biodiversita, suoli impoveriti delle sostanze organiche, falde
acquifere che si abbassano aumenti dei prezzi del cibo, lottizzazione  del cibo
e delle sementi, quindi torniamo all agricoltura conservativa che permette di
aumentare la produzione agricola conservando acqua biodiversita e naturale
fertilità dei suoli. il sapere e’ condiviso e la sostenibilita si fonda sul
rinnovamento e sulla rigenerazione della biodiversita. io rispondo che lo
stiamo già facendo! ce’ il movimento dei neorurali che sta salendo dal basso
pian piano, stiamo sperimentando materiali naturali di costruzione ci scambiamo
semi facciamo il pane con farine di grani recuperati e lieviti  madre centenari,
cantiamo e balliamo i canti della tradizione, stiamo ripercorrendo
quotidianamente le tracce lasciate dai nostri nonni e soprattutto coltiviamo.
lo stiamo già facendo! terra terra a roma, ragnatela a napoli con tutti noi
come tanti piccoli ragni a creare una ragnatela sempre più grande.
genuinoclandestino e ancora
lo stiamo già facendo! (storie comuni)

etnoarchigroltura o architettura- agricoltura etnica

letnoarchigroltura o antropoarchigroltura e’ una scienza che studia le forme del
paesaggio partendo dall abitazione. la casa e’ il punto fermo della vita dell
uomo, allo stesso tempo e’ una meridiana e una clessidra. come meridiana solare
indica nel ciclo dellanno la direzione delle semine e da la forma ai campi, nell
immediato contesto della casa. nel ciclo di vita invece attraverso il lavoro
delle generazioni che la abitano, da forma al territorio e al paesaggio. al suo
interno la casa funziona come una clessidra, segnando la vita dell uomo nello
scorrere delle stagioni e degli anni, nei suoi rapporti sociali e naturali più
intimi. in pratica materiali come pietre terra legnami canne vengono
trasformati in abitazioni inserite in modo naturale nel paesaggio che le
circonda. durante il suo ciclo di vita la casa, assorbe tutti i prodotti della
terra. il lavoro dell uomo struttura lo spazio abitativo in rapporto al clima e
ai materiali naturali presenti.  si più usare come metodo di analisi per
schematizzare la forma dei cerchi concentrici, come quando si butta una pietra
in acqua. la casa segue la vita degli uomini nelle diverse generazioni, finche
e’ abitata vive, carica della fatica di chi lha costruita. al centro ce’ sempre
l uomo, visto da vicino, con le tradizioni il modo di muoversi di pensare i
suoni gli amori il cibo. l’unico modo di approfondire la conoscenza e’ di
studiare le radici.

agli inizi degli anni 50 due geografi mario ortolani e piero dagradi pubblicano
i risultati della loro ricerca in abruzzo in “ la casa rurale negli abruzzi” e
“ memoria illustrativa dell utilizzazione del suolo degli abruzzi”
sovrapponendo questi due testi si ottiene la mappa archigrolturale degli
abruzzi negli anni 50-60. in linea generale a una determinata architettura
corrispondono specifiche coltivazioni a seconda dell altitudine delle qualità
del terreno e dalla presenza o meno di acqua. per esempio attorno alla maiella
orientale ci sono una serie di paesi tutti diversi per modalità costruttive e
coltivazioni. lettomanoppello e’ il paese della pietra morbida calcarea della
maiella, usata in blocchetti per costruire case e stalle: attività prevalenti
la lavorazione della pietra e la pastorizia, coltivazioni cereali di montagna
legumi patate ortaggi. manoppello e’ il paese del grano, il nome stesso deriva
da manoppolo fascio di spighe. la presenza rilevante di cave di argilla ha
portato all impianto di fornaci per la cottura dei mattoni. serramonacesca e’
un paese dove si sono mischiati diversi materiali si possono trovare abitazioni
in terra cruda pietra riccia della rocca, pietra della maiella, pietre di fiume
e mattoni cotti, a seconda delle esigenze e delle vicinanze e delle
possibilità. si trovano muri costruiti riciclando tutte le pietre trovate.
attività prevalente pastorizia coltivazioni grano patate legumi ortaggi olive.
roccamontepiano e’ famosa per la pietra riccia o travertino fossile, usata per
costruire abitazioni frantoi stalle e fienili, infatti attività prevalente era
allevamento delle mucche da latte. coltivazionii olive da olio frutta e ortaggi
per l’abbondante presenza di acqua. casalincontrada e’ il paese della terra
cruda. centinaia di case in terra. coltivazioni specifiche sono grano mais
pomodori e peperoni adattati alla secca per la poca acqua presente. pretoro la
roccia dura calcarea e’ scavata e poi usata per costruire sopra vani ipogei.
attività prevalente lavorazione del legno coltivazioni ortaggi legumi patate
olive.   anche a gessopalena i banchi di gesso venivano scavati e usati in
mille modi. questo per dire delle varietà dei materiali presenti in un
territorio di circa 100 chilometri quadrati, naturalmente a ogni materiale e’
stato adattato un metodo e uno stile costruttivo. anche le coltivazioni sono
state adattate nel tempo dalle diverse generazioni. un analisi approfondita ci
darebbe foto rilievi e disegni di stili e tecniche di costruzione cosi come le
coltivazioni specifiche paese per paese, zona per zona.

architetture rurali sempre diverse in relazione al clima ai materiali e al
sapere condiviso, con coltivazioni sempre diverse in relazione alla presenza di
acqua, qualità del terreno, adattamenti e scambi dei semi, nella rete sociale di
appartenenza, un sistema abitazione-coltivazione unico, sempre diverso, anche
dal vicino, sia in senso verticale sia in senso orizzontale. quindi se
adoperiamo il metodo dei cerchi concentrici, al centro mettiamo l uomo e le sue
radici. etnodiversita; poi la casa, archidiversita; di seguito coltivazioni
agridiversita; vegetazione ed altri organismi viventi biodiversita;  qualità e
quantità del suolo,  geodiversita;  correnti d aria e precipitazioni,
climadiversita.

una semisfera trasparente come quelle di vetro che si rovesciano con la neve
dentro.

dagli anni 60 questo sistema archigrolturale e’ stato quasi azzerato, come s
qualcuno si fosse divertito a stendere sulla superficie una mano di vernice
uniforme, sul nostro paesaggio a base di cemento asfalto plastica lamiere ferro
e poche varietà agronomiche vendute dai consorzi. nel tempo la vernice si e’
scolorita e si sta mischiando con i forti colori locali e stanno venendo fuori
nuovi e affascinanti colori. quindi anche se quel sistema e’ andato perduto
possiamo recuperare cio che ancora si ritrova, senza mettere tutto in un
barattolo mischiando e ridiffondendo casualmente. facciamolo in modo
sistematico, senza fare confusione. ognuno mantiene il proprio colore, cercando
magari di riavvicinarsi a quello originario.
ricicliamo, ristrutturiamo, restauriamo!
dal senso di vuoto e dagli spazi ampi degli anni 60
ora viviamo luoghi pieni, merci dappertutto, macchine e costruzioni.
l immensa memoria del mondo e’ satura di cemento ferro lamiere e e plastica.
pensiamo e lavoriamo per sottrazione!

la regola e’ una!
stop al consumo di territorio!
cemento zero!

come quando nevica l aria si pulisce e i rumori sono attutiti.
incredibile come basta un po di silenzio per cambiare cio che
quotidianamente abbiamo davanti agli occhi,
liberariamo la mente e rallentiamo la nostra vita e
contempliamo meglio quanto la realtà quotidiana ci mette davanti

lettura di un paesaggio

la casa di terra e’ stata costruita agli inizi del 900 sul bordo della collina
per preservarla dal ristagno e arearla naturalmente.
la tecnica adoperata e’ quella del massone, impasto di terra bagnata e paglia.
la casa e’ dello stesso colore della terra della collina.
mani sapienti come un gioco di bambini sulla sabbia, hanno trasformato la terra
della collina in una struttura monolitica abitativa, asciugata e seccata dal
sole. nella cultura costruttiva locale non ci sono riferimenti a uno stile o a
un nome di un costruttore quindi architettura come espressione di una volontà
costruttiva corale.

analisi delle tecniche e delle strutture, analisi della zolla, humus sabbia limo
argilla

aria e luce. esposizione del versante della collina, nel nostro caso verso sud
est, rifrazione e incidenza della luce. studio delle correnti

disboscamento e dissodamento della collina.
prima della costruzione sono stati tagliati alberi e si e’ dissodato il terreno
strappando le radici
poi raccolta delle pietre usate per costruire assieme al legname di risulta dal
taglio del bosco

il disboscamento ha portato alla perdita del determinismo vegetativo del
terreno, all asportazione del manto che come un tappeto copriva la superficie
del terreno, successivamente la mancanza di protezione ha portato al dissesto
idrogeologico.
l acqua precipita velocemente a valle, si può dire che tutta l acqua contenuta
nel lago un tempo era trattenuta dalla copertura vegetale della collina.
dilavamento del terreno privato del suo stato vegetale e di humus.
il terreno e’ alimentato artificialmente con concimi chimici

una goccia d acqua che scende dal cielo e’ filtrata dai rami degli alberi scende
di foglia in foglia poi sugli arbusti sottostanti sulle erbe infine sul tappeto
di humus e foglie secche che funziona come una enorme spugna che trattiene
l’acqua piovana

una goccia che precipita sul terreno nudo ,sulla zolla, e’ come lespolosione di
una micro bomba

negli anni 50 e’ stato creato l’invaso artificiale per irrigare i campi. lo
stagno si e’ trasformato nel tempo in una nicchia ecologica come luogo di
rifugio delle comunità vegetale scampata al taglio e della  fauna sopravvissuta
che viveva in simbiosi col bosco

riconoscimento degli alberi, analisi delle foglie, censimento della vegetazione
e della fauna

distruzione delle siepi interpoderali perché scomode ai mezzi meccanici

diffusione dell alberata tosco umbro marchigiana, gli ulivi tutti in fila.
un tempo nella coltura promiscua pochi alberi erano sparsi sul campo in modo
quasi casuale per non creare ombra alle altre coltivazioni. diffusione di
varietà vegetali non autoctone

sostituzione dell antico vigneto italico con sostegni in canna e piante tenute
basse, con il vigneto a schiera e a tendone, capanno.
alle viti del vigneto italico si facevano portare pochi grappoli, quindi più
piante per ettaro.
le viti a tendone portano piu grappoli hanno una migliore esposizione alla luce.
il capanno e’ impattante per il carico chimico rilevante e pericoloso per che
coltiva

coltivazioni di alberi di frutta clonati nei vivai se non trattati
preventivamente danno poca frutta fino a seccarsi.
forte riduzione degli alberi selezionati nel tempo con innesti scambi adattati
lentamente alle qualità organolettiche del terreno

ricerca sulle varietà di frutta antica e sui vitigni autoctoni

si possono formulare analisi estetiche. per esempio: i piani sovrapposti delle
linee ondulate delle colline in contrasto con le spinte verticali delle
coltivazioni. un segno taglia l’immagine in diagonale. la casa punto focale
galleggia sulla collina. la macchia di colore grumoso, lago vegetazione,
risalta le campiture delle arature a grana grossa e la piovosità della materia
terra.

etnoarchigroltura remix

azzurro sconfinato
navigatore definitivo
solido e resistente

cedri in moltitudine
qui dovresti starci tu
dio dell eden

caro amore
guardolontano
cedri non ne vedo
o casupole nel bosco
vedo solo la luna
e le chiedo quando
uscira di nuovo con me

l’unico fiore con le ali e’ la farfalla

ingrassato oleato vivo
senza sansa sancta
solitude major
sulla strada tra gli ulivi
dove e’ sbocciata
una rosa rossa

taglio legna e brucio ceppi
fra un po e’ santantonio

con mantello e cappello
sono ancora più bello

evviva sandandonje abbate
lu nemiche di lu demonje

ce lo godiamo questo sole?
si, me lo metto in saccoccia!

Ferdinando Renzetti


Risultati immagini per (ferdinando renzetti)


Seconda parte dei saggi sul paesaggio anima mediterranea tra ricordi e racconti.

blues apotropaico

dopo la selvaggia conquista del meridione da parte dei sabaudi e la costituzione
del regno d italia, fu costruita la ferrovia lungo la costa adriatica. nel 1863
viene inaugurata la stazione di castellammare adriatico, attorno alla quale si
svilupperà la vita del nuovo borgo. in quegli anni nasceva il mio bisnonno
antonio, nel 1895 nasceva mio nonno ferdinando, nel 1929 mio padre aldo, nella
nuova citta , pescara, appena formata, nel 1960 sono nato io e nel 1994 e’ nato
mio figlio alessio. siamo giunti alla quinta generazione di castellammaresi.
pescara e castellammare erano divisi dal fiume pescara. nel 1927 i due borghi
sono stati uniti a formare una unica citta. pescara ha lasciato il nome mentre
a castellammare si e’ sviluppato nel tempo il nuovo centro. culturalmente sento
di appartenere ancora a castellammare, infatti non mi riconosco nell attuale
patrono della citta san cetteo della vecchia pescara. in origine, castellammare
era composta dal piccolo borgomarina con la chiesa di santandrea e borgo madonna
 con la chiesa della madonna dei sette dolori. le due feste patronali si
svolgono tuttora, quella di santandrea, protettore dei marinai, con la
processione di barche sul  mare, dove l’odore caratteristico e’ quello del
pesce fritto. mentre alla festa della madonna, legata  più a culti agrari, un
tempo vi si svolgeva una famosa fiera degli animali, l’odore caratteristico e’
quello della porchetta e delle noccioline tostate. nella carta dell istituto
geografico militare degli inizi del 900, la zona dove oggi si trova l ospedale
portava il toponimo “renzetti” nel tempo e’ divenuta la piccola via dove sono
nato e cresciuto. oggi rimane la sola scuola elementare renzetti.  la casa dove
sono nato faceva parte di una schiera di abitazioni che chiudeva la citta.
infatti immediatamente dietro l orto giardino di mio nonno iniziava pure la
campagna. mio nonno ferdinando, faceva il ferroviere, in pensione andava tutte
le mattine al porto a pescare, con una vecchia bicicletta nera con i freni a
bacchetta, pescava sgombri cefali aguglie usbane e mazzoline. nel suo orto
aveva costruito una capanna di paglia e canne aveva un pozzo per l acqua e
quello che oggi chiamiamo compost toilette, un bagno naturale dietro un
paravento di canne. ferdinando e’ sempre vissuto nel borgo con la moglie anna.
mio padre raccontava spesso che ferdinando come altri uomini della sua
generazione andava spesso alla cantina a giocare a carte e a bere vino, il
gioco della passatella con padrone e sotto che stabilivano chi dovesse bere e
chi far rimanere a bocca asciutta, andare olmo. infatti ferdinando,
ferdinandino, ndino per gli amici, soprannominato sciampabaril’ oltre al vino
amava le donne la musica e le feste. conosceva parecchi canti filastrocche che
purtroppo nessuno ha raccolto. negli anni 50 i tre figli  maschi hanno
costruito una casa in mattoni a due piani squadrata come quelle disegnate dai
bambini con la porta al centro e le finestre ai lati tipo  occhi. questa casa
affaccia lo sguardo verso sud sulla valle di fosso grande, sul fondo da una
parte la majella e da una parte il gran sasso, concedono tramonti fantastici.
la valle che divide il comune di pescara da quello di spoltore un tempo era la
sede di tratturo, infatti nella mia infanzia passavano ancora le greggi, a
volte i pastori si fermavano a montare gli stazzi. attraversavano la citta sul
ponte nuovo lungo le vie principali lasciando un tappeto di palline nere sull
asfalto. fosso grande era una bellissima valle, ricca di orti, prati
vegetazione spontanea uccelli e piccola fauna. mio padre raccontava che un
tempo si poteva perfino fare il bagno nel torrente. alla fine degli anni 50  a
monte di fosso grande  e’ stata impiantata la discarica della citta e tutta la
zona e’ cambiata, l’acqua del torrente inquinata gli orti scomparsi e la valle
pian piano si e’ riempita di abitazioni capannoni industriali svincoli
stradali. il sistema agropastorale, le cui tracce erano arrivate fino a me e’
andato perduto in poco tempo. qualche anno fa il comune di spoltore ha
restaurato la vecchia fonte tratturale dove le donne andavano anche a fare i
panni. con mio nonno andavo spesso al fosso a fare canne e salici per costruire
i cesti  capanne e altri piccoli oggetti. aveva messo una reticella vicino al
torrente e catturava tante varietà di uccelli che poi metteva in una grande
gabbia, passeri cardellini verzellini usignoli pettirossi che dopo qualche
settimana faceva volare via. nella valle si trovavano anche alcune case di
terra ne rimane ancora qualche traccia sottoforma di rimessa rurale. ferdinando
nel suo orto aveva una grande vigna e quando si faceva la vendemmia era una
grande festa con tutti noi bambini a saltare a piedi nudi sull uva nella vasca
di cemento. il vino pero non gli veniva tanto buono era sempre acidulo e di uno
strano colore vinaccia e lo beveva solo lui. il mostocotto lo sapeva fare e si
usava per i dolci, i caggionetti a natale o quando nevicava per fare il
sorbetto; neve fresca succo di arancia e mostocotto. da un po di tempo faccio
una bevanda che ho denominato etnic cola con acqua frizzante mostocotto succo
di limone o arancia. ho letto da qualche parte che la base iniziale della
cocacola era proprio il caramello del mostocotto portato da un sardo negli
stati uniti. comunque mi piaceva la grande festa della vendemmia, tutta la
comunità vi partecipava, così quando si faceva la passata di pomodori con la
grande callara piena di bottiglie, accesa con la legna sulla piccola aja. a
pasqua nel forno a legna si cuocevano i biscotti e i dolci tipici, il cavallo
per i maschietti e la pupa per le femminucce, con un uovo al centro
propiziatore di fecondità.

per le vie del borgo in quegli anni passavano numerosi personaggi amati da tutti
noi bambini, il ferrovecchio che si annunciava con ferrvecch ferrvecch
feeerrrvveeech! noi piccoli scambiavamo il poco ferro trovato con alcune lire.
il cingiaro, cingiaaarooo! cingiaaaroooo! che raccoglieva stracci vecchi. l
arrotino con la mola a manovella gridava, arrootinooo arrotinnooo! l ombrellaio
aggiustava gli ombrelli con ombrellaioooo ombrellaiiooo! il venditore di
varechina, varica varica varechinaaa varechina deluca! ricordo pure la marca!
il venditore di patate patate! patate! patate di avezzano! passava il gelataio
col piccolo carretto bianco a pedali, si annunciava col fischietto, gelati
gelatiii! aveva solo due gusti crema e cioccolato. il personaggio più buffo era
un ferrivecchi di nome giuseppe portava sempre una maglia di lana grezza,
ingiallita dal tempo e occhiali con lenti come cocci di bottiglia. aveva un
carretto nero a pedali sempre pieno di roba vecchia che spingeva sbuffando
sudando e imprecando. altro personaggio notevole era il pesciarolo prima con la
moto con poche cassette sul portabagagli e la bilancia poi con l’ape. gridava
pesceee! pesceee! pesce fresco! bummalittt paparazzz secceee calamar’! pesceee!
pesce frescooo! altro personaggio particolare era caffo col suo piccolo
banchetto di legno nella piazza della chiesa, aveva un evidente gozzo sul collo
numerosi bubboni sulla faccia, faceva sempre di no con la sua testa enorme, era
un tic! anche quando gli chiedevi quel che vendeva , bruscolini e liquirizia.
un tempo nel borgo e’ venuta a vivere in una casa semi abbandonata una famiglia
detta dei nocellari.  vendevano noccioline tostate alle feste. la casa non aveva
riscaldamento e gli otto figli vivenano praticamente sulla strada. ogni tanto la
mamma li lavava tutti assieme in una grande tinozza e li affilava tutti al sole
ad asciugare. nella piccola piazzetta poi era arrivato ad abitare un gazzosaro
col suo piccolo camion, noi ragazzi rubavamo sempre qualche bottiglietta così
aveva montato un primordiale allarme che faceva un suono buffissimo suscitando
l ilarita di tutti noi ragazzi. per andare alla festa parrocchiale alla madonna
agli inizi di giugno la strada era buia tra filari di querce campi di gran e
miriadi di lucciole il canto dei grilli e l’odore di fieno. alle feste si
faceva ancora il palo della cuccagna, un palo di legno liscio cosparso di
grasso e sapone in cima al quale si trovavano i premi. in genere prosciutti e
salami a quei tempi molto ambiti e appetiti dai giovani. alla festa di
santandrea il palo stava su una barca e chi tentava cadeva nell acqua del
fiume, oggi inqunatissima. questi giochi avevano un grosso richiamo popolare
come le giostre soprattutto autoscontro e catene. noi ragazzi andavamo spesso
con le bici alla discarica, munnizzar, montagna di monnezza, come autentica
avventura dove l’enorme montagna di spazzatura colorata e variopinta e
maleodorante faceva mostra di se a cielo aperto. tra fuochi e fumi di combusta
i camion arrivavano continuamente a scaricare la monnezza di tutta la citta. il
gioco consisteva nel trovare oggetti utili giocattoli da riciclare, era quasi
una gara! era un avventura di tutti i sensi in tutti i sensi e a volte l’odore
era veramente nauseabondo. in genere oltre agli addetti i munnezzari che ci
lasciavano tranquillamente giocare in mezzo alla spazzatura si aggirava una
umanità varia composta da cingiari ferrivecchi e cartonai alla continua ricerca
di materiali da riciclare. tutti personaggi particolari quasi al limite sociale,
vestiti in modo trasandato e pittoresco entrando spesso anche in lite tra di
loro. la strada del borgo era ancora bianca e brecciata, si vede bene in una
foto  dove sto su una macchinina a pedali. quando costruivamo le carrette di
legno con le ruote a sfera si  provavano su strade asfaltate ancora poco
trafficate. al mare si andava tutti assieme i nostri genitori avevano la 600.
sul portapacchi ombrelloni e sdraio, dalla macchina quando si apriva lo
sportello scendeva un nugolo di bambini. per arrivare sulla spiaggia si
percorreva un lungo tratto di dune, sulla riva stelle e cavallucci marini. voce
tipica cocco!
in una foto della mia classe di prima elementare si vede una enorme fratta o
siepe sul retro che seguiva la strada brecciata e polverosa. tutte le strade
avevano fratte di biancospini rovi spinacristi ligustri bisce rospi lucertole.
oggi  e’ tutto cementato e la poca vegetazione residua imprigionata nei piccoli
giardini.

blues apotropaico evoca gli spiriti benevoli del recente passato, voci richiami
e storie da un piccolo borgo di castellanare adriatico.

le foto  conservate dalla mia famiglia testimoniano i  cambiamenti del paesaggio
fisico e mentale in cui sono vissuto in questi anni. una scattata al mare e’
significativa si vedono le dune sul fondo, in alto i bellissimi colli
castellamaresi, non ancora cementificati, spiagge libere pochi ombrelloni. oggi
chilometri di ombrelloni parcheggi e stabilimenti balneari hanno occupato le
dune. la vegetazione spontanea annualmente estirpata dai trattori che puliscono
le spiagge ormai quasi scomparsa. nella foto della macchinina a pedali sulla
strada polverosa colpisce soprattutto il vuoto. quel vuoto in cui mi trovavo
benissimo in quegli anni. oggi quasi soffro di claustrofobia da troppopieno
soprattuttoautomobili, infatti blues apotropaico vuole essere un invito a
riflettere su quel piacevole senso di vuoto e a prendere coscienza del concetto
di limite

abball’ a li terr’

se penso alla parola terra potrei parlare di paesaggi naturali di agricoltura
tradizionale di architettura rurale, la mente spazza via questi miei pensieri o
meglio li fa confluire in uno unico che mi porta nell orto giardino dove mio
nonno mi insegnava a costruìre giochi macchinine e pupazzetti con la terra, a
fare scope e cesti con saggina e vimini, pagliai e capanne con paglia e canne
impastate di terra, aquiloni e girandole per sfruttare l’energia dell aria e
piccoli mulinelli che giravano nei torrenti. il suo frigo era il pozzo (lu
pozz) dove con una piccola fune conservava una bottiglia (buttije) di acqua
sempre fresca. dal pozzo col secchio (lu tragn’) prendeva l acqua per irrigare.
lo guardavo incuriosito anno dopo anno recuperare i semi degli ortaggi che
coltivava (la sumenz)  e poi in primavera costruire la rolla o semenzaio (rol’)
una piccola serra, enorme cesto di canne rettangolare pieno di terriccio e
letame coperto da un telo di plastica trasparente dove metteva i semi a
germinare. spiegava che per fare un buon orto bisognava fare lo scassato (lu
scassat’) rovesciare  la terra in profondità per redistribuire equamente l
humus di superficie  e permettere alle tenere radici degli ortaggi di nutrirsi
meglio nella terra resa più morbida. ero attratto dalla cura con cui
trapiantava le piccole piantine (li piantucce) nel terreno dopoché erano
germinate. quando i frutti erano maturi ero il primo ad assaggiare sul compo
stesso la dolcezza  la fragranza e il profumo di fave (li fav’) e ceci (li
cice). mi insegnava ada ascoltare il canto degli uccelli a riconoscere il
colore delle stagioni e le varietà di alberi nel fosso dove mi portava a
tagliare canne salici e giunchi. mi parlava sempre di un tesoro, un tesoro
segreto, un tesoro nascosto da qualche parte nel suo orto giardino. dopo tanti
anni ho capito l’importanza dei suoi insegnamenti del suo modo di vivere
naturale dei suoiracconti e del suo vero tesoro. si chiamava come me ferdinando
e nella tradizione dell area castellamarese fino alla seconda meta del 900 i
nomi venivano usati spesso nella forma vezzeggiativa quindi “ferdinandino”
abbreviato “ndino” a cui poi nell eta anziana come forma di rispetto era stato
aggiunto il suffisso Zi diventando  zindino. spesso anche altri nomi di cose e
persone seguivano la forma del vezzeggiativo così nell orto un fico basso si
diceva ficuruccio e la stradina viarell’. zindino quando scendeva al suo orto
usava dire : “iull ort” oppure “abball a li terr”. nella tradizione popolare il
sostantivo terra veniva usato al plurale “ le terre” perché vi era intrinseca la
consapevolezza della diversità di fertilità e di morbidezza dei terreni. invece
“abball” letteralmente “giu” verso la valle aveva un corrispettivo in “ammond”
“su” verso il monte. modo di dire caratteristico  era “ammond e ball” nel senso
di perdere tempo andare su e giu senza concludere niente. modo di dire
interessante “ li cos cchiu bbon dill ommene: la terr vicin a lu foss, lu
prusciutt vicin a l oss e lu pel vicin a li coss” naturalmente la terra vicino
al fosso era la migliore per fare l orto per via della presenza di acqua. nell
economia di sussistenza  della famiglia l orto era fondamentale per la
sopravvivenza della stessa. la dieta era quasi vegetariana. il maiale era la
centro della vita della famiglia patriarcale.  mi hanno raccontato che un
contadino  aveva un maiale e un figlio malato così  fece questa preghiera:
“madonna  mi’ almen famm salva’ lu maial”

zindino mi raccontava spesso di una fantasiosa famiglia che viveva
selvaticamente in una capanna nel bosco vicino al torrente. il padre
“zumbafuss” la moglie “ caramell” i figli maschi “ficcanas” e “giracaiol” e la
figlia femmina “leccalecca”. ripensando a questo racconto mi sembra che ogni
figura ricalca un carattere ben preciso. zumbafuss l uomo forte che sapeva
fare, saltare i fossi, pescare cacciare coltivare e saltare… dalle finestre
delle donne. ficcanas’ era terribilmente curioso di tutti i fatti che
risuonavano e ronzavano attorno alle sue orecchie quindi sempre ben informato
di quel che succedeva nel mondo e giracaiol era bravissimo a rovesciare i fatti
a suo piacimento, molto bravo nella comunicazione e nella mediazione. le donne
la moglie caramel sdolcinata silenziosa e paziente mentre la figlia leccalecca
smorfiosa anche se simpatica  e socievole.

quando eravamo piccoli recitava a noi nipoti questa filastrocca tenendoci seduti
sulle  ginocchia, muovendole al ritmo della filastrocca

nicl nicl, nicl nicl, nicl nicl, niclian
tutt li cill li magn lu gran
e lu gran e lu panic
a sti citile li binidice

bella la similitudine tra li citil e li cill, bambini e uccelli, che si nutrono
di grano,  pane e panico, un cereale.
anche in un canto della tradizione popolare teramana castellamarese cantata
dalla donne si celebra l orto:
ji vaje all ort a coje la minducce sgondre ruccucce
e mi mett a parla’, mi mett a parla’, mi mett a canda’
senza ruccucce l amor nzi po fa’

il testo del canto riporta ai vari espedienti che permettevano alle giovani
donne di un tempo incontrare i fidanzati,
tra cui andare alla fonte a prendere l acqua o all orto a raccogliere mentuccia
e altre erbe spontanee
altro modo di dire caratteristico era: “va caca’ allort ça ci cresce la biet”

 marcunusce (mi riconosci)

la notte e’ trascorsa! sono qui seduto sul sagrato della chiesa. la piazza e’
ormai vuota, la notte e’ trascorsa tra le musiche degli organetti delle
grancasse dei rullanti dei tamburi e dei pifferi, residui arcaici delle bande
militari borboniche e napoleoniche e altre note e ritmi provenienti da altri
luoghi del mondo. seguendo il filo segreto della musica dei paesi del meridione
sono giunto ad arsita, paese alle pendici del gran sasso orientale, “a val fino
al canto” la serata e’ iniziata ascoltando i suoni della fisarmonica e i
racconti di giannina  anziana cantastorie. girava per queste contrade  con il
marito marino. allinizio con l’autobus poi la lambretta e infine una ruggente
500. “li candastorie” era  il loro nome d arte o “i camplesi”. immagino il loro
arrivo nelle aie indaffarate e il loro ingresso nelle parche cucine rurali con
pavimenti in mattoni e le travi in legno a vista dei solai dove facevano bella
mostra le rigonfie palle di strutto piene di salsicce e i graticci di canne
pieni di profumate caciotte di pecorino. il repertorio era costituito
soprattutto da storie di santi in particolare santantonio e san gabriele,
ricevendo come ricompensa prodotti della campagna e a volte qualche soldo. gli
ultimi fuochi nella piazza sono stati spenti dalla pistola ad acqua tirata
fuori dal bagaglio esistenziale, una vecchia valigia, dalla cantante degli a
saldarella e ha spruzzato leggerezza e freschezza sulle menti intorpidite dal
sonno e dalla musica. tra le ultime evoluzioni di ma-rio il poeta, nuvola e gli
altri psico-freak di terre di mezzo con la loro poeticità assoluta e
paradossale.

mio nonno materno giuseppe, e’ nato da queste parti nella vicina montebello mia
nonna antonietta materna a vesta vicino farindola. fino al 1928 provincia di
teramo. quindi tradisco una ascendenza etnica di origine teramana. il geografo
franco farinelli ritiene che il medioevo sia terminato negli anni 60 con la
cessazione dei contratti di mezzadria. i miei nonni si sono trasferiti in
seguito a loreto aprutino in una masseria acquistata nel 1925. con i miei
genitori e nonni paterni sono cresciuto nella periferia urbana di pescara, a
nord del fiume ex castellammare adriatico un tempo provincia di teramo. tra
racconti di stazioni treni e ferrovieri. mio nonno paterno ferdinando potrebbe
tradire lontane ascendenze longobarde mentre mia nonna paterna di villamagna
paese nella provincia di chieti area marruccina a forte influenza balcanica.
quindi potrei essere vestino-marruccino-longobardo-balcanico. ora mi chiedo
quale sia la mia musica di appartenenza. non ho mai sentito i miei nonni
cantare o suonare. ecco, nella mia infanzia non ricordo musiche particolari se
non quella delle bande alle feste patronali e la musica leggera della radio e
della televisione. il cantagiro o la musica bit (beat) delle generazioni più
grandi, anche se il ricordo più forte e’ legato in particolare ai lunghi
pomeriggi d estate, trascorsi ascoltando e cantando azzurro di adriano
celentano. nella mia crescita ed evoluzione culturale mi sono trovato man mano
a confrontarmi con la musica pop rock fino al jazz e alla musica fortemente
emotiva del free jazz e della classica contemporanea. da più di un decennio
ascolto la musica popolare di tradizione meridionale. ora quale la musica del
mio futuro! etnicamente chi sono? che appartenenza ho? all improvviso la mia
mente si illumina, nessun legame musicale con questi luoghi e trova un elemento
di continuità e appartenenza con questa comunità nella profumata calda soffice e
fragrante frittella o pizza fritta che anche mia nonna materna sapeva cucinare e
la mia mente trova un percorso e un suo riposo.

anima mediterranea

albergo bellavista, nella piana davanti a me verso ovest un mare di ulivi, oltre
l enorme specchio lacustre di varano, in fondo la striscia di sabbia che lo
separa dal mare. fra un po saro, li! nelle carte antiche lesina e varano erano
ancora mare rappresentate come insenature. sto percorrendo il sentiero tra le
dune sul tombolo di sabbia fra gli eucalipti  il frinire ossessivo delle cicale
impazzite di luce il forte profumo della pineta. sulla duna il il giglio di mare
fiorito tra le ammofile e appena più in la i mucchi inestricabili di legni
tronchi plastiche di ogni tipo sculture aleatorie e silenziose. la pomeridiana
luce accecante riflessa dal mare ….coccoo cocco cocco.. grida il ragazzo con il
suo carretto nel continuo sottofondo della risacca delle onde. la mia mente
assopita dai raggi metabolizza lenta i suoni sincopati dei giri di banda di
girodibanda e bandadriatica…banda…adriatico…allora sono nel posto giusto! la
cassa armonica luminescente dove finiscono le stelline i lustrini e gli astri
lucenti dei strumenti delle bande, ottoni tromboni piatti e grancasse. tutti se
lo chiedono dove vanno a finire le stelle, le stelle cadenti! poeti musicisti
scienziati. nelle piazze le bande svelano i segreti dei suoni e delle luci del
firmamento regalando sorrisi a grandi e piccini. musica di banda, proprio lei,
grande spettacolo dell adriatico e del mediterraneo. in cartellone da lustri,
può contare il maggior numero di spettatori. uno spettacolo fatto di stelle e
stelline bianche rosse argentate: un circo che ci rende tutti più attenti
perché le stelle della banda parlano a modo loro, con il linguaggio degli
strumenti: le note. riunendo teste e strumenti salta sempre fuori la musica
migliore, gran soddisfazione vedere e sentire la propria nota o musica
mescolarsi con altre note e musiche e strumenti, occasione per crescere insieme
e amalgamare emozioni e sensazioni, perché  e’ sempre necessario trovare una
mediazione tra le passioni personali e vedere se immediatamente funzionano.

dove vanno a finire le stelle quando cadono? vanno a finire nelle piazze bianche
e calde del meridione nelle piazze dei piccoli paesi dove ballano i bambini
inebriati di gioia, sulle casse armoniche dove suonano le bande, nei vecchi bar
all angolo dove giocano a carte gli anziani nei vecchi negozi dei barbieri
aperti fino a tardi, sulle quinte architettoniche che circondano le piazze
sulle scalinate di pietra sulle facciate delle chiese illuminate dalle lucine,
vanno a finire sui sorrisi felici dei ragazzi e delle ragazze che cantano
ballano e sognano.. ecco dove vanno a finire le stelle quando cadono!

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Terza parte - dalla tarantella al blues

antropologia del contemporaneo e geografia rurale in questo testo ispirato al
parallelismo tra tradizione musicale afroamericana e tradizione musicale
subalterna meridionale.forse sarebbe più giusto dire dal blues alla tarantella,
visto che paradossalmente ho scoperto prima il blues e poi la tarantella, al
contrario suona meglio. in verita non ricordo se ho scritto prima "dal sogno
americano al sogno meridionale" o "dalla tarantella al blues" avevo pensato a
una terza parte dal titolo "da saviano a malcom x" ma visto il tempo che ho
impiegato a scrivere i primi due, circa ventanni, per ora ho deciso di
rinunciare,

dalla tarantella al blues

il blues ha subito una evoluzione lenta complessa e profonda, dallo spiritual al
blues rurale, al blues urbano, al rithm e blues, al rock e roll, al rock. alan
lomax (1915-2002) e’ stato uno dei personaggi più influenti della cultura
americana del xx secolo con la sua attività di ricerca e divulgazione. tra i
musicisti scoperti e registrati da lomax o con i quali ha collaborato si
possono ricordare jolly roll morton, woody guthrie, bob dylan, muddy waters,
pete seeger, count basie, sidney bechet. enorme e’ stata anche la sua influenza
sul folk revival statunitense e inglese e attraverso le sue registrazioni anche
su tutta la popular music. dal suo archivio i musicisti attingono continuamente
motivi a cui ispirarsi. qualche anno fa il musicista newyorkese moby ha
realizzato un disco di enorme successo “play” riarrangiando con campionatori
elettronici brani registrati dall etnomusicologo. negli anni 50 lomax assieme
al giovane carpitella gira tutte le regioni dell italia effettuando
registrazioni in tutte le isole sonanti. il suo lavoro non e’ riuscito a
influenzare la cultura italiana com e’ successo con quella americana. come ha
scritto lo stesso lomax quando facevo ascoltare questa musica ai mie
sofisticati amici artisti di roma dicevano, questa musica non e’ italiana! e’
il suono barbaro dell africa o di qualche altro posto del genere. facci sentire
il blues! e’ certo che a roma e’ stato introdotto in alcuni circoli di
intellettuali di sinistra che non ne apprezzano il lavoro svolto in italia.
secondo lomax e carpitella la loro ricerca sul campo avrebbe dovuto avere una
parte importante
nella crescita e nello sviluppo di una nuova cultura italiana. i cambiamenti
socio economici e culturali, le difficoltà nel far conoscere i risultati del
loro lavoro e la chiusura del mondo accademico non permettono che cio avvenga.
in seguito le loro registrazioni diverranno la mappa della tradizione dell
etnomusicologia italiana.
la tarantella non ha ancora subito il processo di lenta e profonda
sedimentazione evoluzione che ha subito la musica afro americana. magari fra 50
anni avremo poster pubblicazioni e mostre tematiche dei maestri della tarantella
come oggi già si fa con i maestri del blues. basta pensare a quante
pubblicazioni escono solo nell edicole sul blues e sul jazz, ancora niente
della tarantella. siamo sulla buona strada l anno zero e’ superato siamo già
nell anno uno ed e’ già un altra storia.
dalla puglia alla calabria sale un onda musicale che infiamma e innerva tutto l
appennino centrale dove sono disseminati centinaia di piccoli festival e nuovi
gruppi musicali neo etnici, alcuni gruppi hanno un repertorio tradizionale
eseguito con strumenti tradizionali, altri repertorio vario con strumenti
misti. importante sottolineare che ormai tutti riconoscono la differenza tra
una pizzica un saltarello una tammurriata una tarantella del gargano una
montemaranese e una tarantella calabrese. si sperimentano già interessanti
contaminazioni, in calabria ci sono musicisti che parlano di etno rock e nell
area di roccella di etno jazz, oppure di tarantella contaminata con la musica
nord africana gnawa “taragnawa”. in salento si parla di pizzica sub, tecno
pizzica, pizzica rai, trance o tribal pizzica. ci sono interessanti progetti
musicali a cui partecipano musicisti di tutto il mediterraneo. le gipsy brass
band che girano le citta e le coste arrivate dai balcani negli ultimi tempi
stanno influenzando il repertorio di musicisti e piccole bande, tanto che si
può iniziare a parlare di etno balcan jazz. la musica delle bande agli inizi
del 900 e le luminarie sono il contributo che la modernità ha dato alle feste
tradizionali nel meridione. le bande hanno quasi tutte lo stesso repertorio e
possono essere definite come la vera espressione dell anima musicale
mediterranea. interessante parlare a questo punto delle feste e delle
processioni tradizionali. derivano sicuramente da antichi riti processionali di
origine pagana. il rituale si ispira alla catarsi della tragedia greca ed e’
espressa lungo le vie strette dei piccoli paesi dove risuonano i canti di
devozione. il coro delle donne e’ simile al coro della tragedia greca. le voci
di canti e preghiere si mescolano in lontananza ai suoni della banda in testa
alla processione e amplificata dove più dove meno dai muri delle strette vie in
un unicum musicale tra i più affascinanti dell intero meridione. anche nelle
chiese i lunghi rosari sono recitati in modo iterativo catartico come mantra.
la voce umana emette un suono potente che crea equilibrio e risveglia i sensi.
esiste in natura un suono brillante potente in grado di nutrire energicamente e
di creare equilibrio. lo strumento che permette di creare questa frequenza e’
proprio la nostra voce. ognuno insomma possiede uno strumento interno che se
imparato a suonare crea uno stato di benessere sensoriale. uno strumento che
usiamo molto senza comprenderne le reali potenzialità.
questa lezione sembra sia stata conosciuta bene in tutte le culture tradizionali
dove la voce e’ alla base di ogni espressione, dai canti più gutturali e nasali
dei campi per amplificare la voce e farla arrivare più lontano ai canti più
sommessi dei cori di devozione delle processioni dei rosari ai canti di
passione del giovedì santo o ai canti profani delle questue invernali. oltre la
riscoperta e la conoscenza delle musiche di tradizione, si può un lavoro più
grande su tutti gli altri strati del sapere tradizionale soprattutto su usi e
costumi:

. riconoscere abiti accessori e gioielli tradizionali capirne le tecniche
realizzative e costruttive
. capire il significato magico religioso delle cerimonie e festività
. apprendere danze e canti tradizionali inseriti nel loro contesto calendariale
e socio culturale
. suonare tipici strumenti musicali
. scoprire la poesia del dialetto e del lessico sonoro
. cucinare e assaggiare cibi tradizionali

questo lavoro di didattica va svolto non per ripercorrere modelli espressivi ed
educativi delle culture tradizionali, ma come forma di consapevolezza della
nostra storia culturale. se alcuni modelli funzionano ancora possono essere
adattati alla contemporaneità senza riproporne le modalità solo nella forma
esteriore.

dalla tarantella al blues .2.

dalla solitudine dei campi di cotone della louisiana alla
solitudine dei campi di grano della lucania il canto come forma di protezione di
una umanità ridotta ai minimi termini di sopravvivenza. dallo spiritual al call
song la musica afro americana trova una sua prima forma di libera espressone in
baracche fumose dove viene suonata una musica grezza e puzzolente “funky” dopo
dure e lunghe giornate di lavoro. anche nel meridione dopo i canti di lavoro
della mietitura del grano e dopo la sfrusciatura delle marrocche sull aja, tra
la polvere e il sudore si dava spazio a canti e balli. nella musica nera la
trasformazione avvenne nell appropriarsi da parte degli afro americani degli
strumenti a fiato delle bande dell esercito sudista, in fuga dopo la sconfitta
nella guerra di secessione. nel meridione la trasformazione la portava un
anonimo tirolese di passaggio, nella prima meta dell 800 con il suo organetto.
lo strumento imitato e replicato da un costruttore della marca centrale si
diffuse rapidamente per le sue doti di velocità di esecuzione, suono forte e
squillante, leggero da trasportare, sempre accordato. gli strumenti acquisiti
danno enorme impulso alla creatività degli afro americani che per forza di cose
avevano dovuto rinunciare alla loro cultura di base; nel passaggio avevano
perduto culti musiche e storie orali adottando la nuova religione e
trasmettendo nelle generazioni di schiavitù il ricordo della grande madre
africa solo attraverso la “poliritmia” espressa con le catene già sulle navi
che li trasportavano nel nuovo mondo. per la cultura arcaica e arretrata del
meridione il suono dell organetto e’ stato come un ondata di energia
inarrestabile che ha investito centinaia e migliaia di aie del sud dando nuovo
impulso alla musica delle classi subalterne come la chitarra elettrica per il
rock. in un certo senso le popolazioni meridionali con le tarantelle nelle
diverse aree ballavano già una forma di rock e roll al suono dell
inconfondibile suono dell organetto. nella cultura meridionale con la fine del
latifondo e del regno di napoli cambiano le gerarchie e i rapporti sociali e
mentre la musica afro americana iniziava la lenta evoluzione trasformandosi in
blues e in jazz fino a diventare ai giorni nostri una musica colta espressa e
studiata perfino nei conservatori, la tarantella e’ rimasta tuttora confinata
nelle campagne della nostra mente, non ricevendo ancora lo status di musica
colta come e’ successo all afro americana.

dalla tarantella al blues .3.

nel 1992 la fondazione spoleto scienza organizzo una serie di incontri all
interno del festival dei due mondi con artisti filosofi e scienziati dal titolo
“ che cos e’ la conoscenza”. un seminario dedicato alla creazione musicale fu
tenuto dal noto compositore luciano berio, che tra un brano e l altro di sue
composizioni, eseguite da musicisti, ne spiegava la genesi. nel dibattito
susseguente ci fu una domanda al compositore: nella nostra epoca dove le
massime espressioni della musica afro americana, il free jazz, e la musica
classica contemporanea si toccano, e mentre la musica afro americana ha una
solida base nella mitologia di fondo, la memoria della grande madre africa, la
musica classica contemporanea non avendo una solida mitologia di fondo su cui
poggiarsi, non rischia di sembrare come una nuvola sospesa nel vuoto, come la
vignetta di un fumetto vuota di scritte? berio ci penso un attimo e poi rispose
che in questo modo si entrava in campo antropologico e che comunque la chiave di
volta potevano essere gli strumenti musicali di origine occidentale adottati
nelle loro esecuzioni dalle popolazioni afro americane. ecco dopo ventanni
ripensando alla risposta del maestro mi sembra molto difficile col senno di
oggi separare musica da antropologia anche se la domanda in un certo senso
conteneva già la risposta. infatti gli afro americani nell esodo forzato, nelle
stive delle navi che li trasportavano nel nuovo mondo, stavano suonando già
qualcosa di diverso da quel che suonavano nei loro villaggi, una nuova musica,
portando il ritmo con le catene legate ai polsi, senza l uso di strumenti
particolari. dopo l’adozione degli strumenti abbandonati dalle bande degli
eserciti sudisti, alla fine della guerra di seccessione, l evoluzione della
musica dei neri dafrica e’ continuata fino al blues e soprattutto al rithm e
blues, prima vera espressione musicale della borghesia nera nel suo raggiunto
benessere. poi ci saranno la musica fortemente emotiva e intellettuale della
protesta nera del free jazz fino alle ultime tendenze delle periferie urbane
espresse nella forma di letteratura ritmica metropolitana dell hip hop o poesia
ritmica urbana.

antropologia del contemporaneo

la musica afroamericana esprime attraverso l espressione dionisiaca poliritmica
la memoria dell antica fusione tra uomo e natura, nelle capanne africane, nella
giungla, nella caccia, nel rapporto con i grandi animali
della savana. tutto questo con consapevolezza. alcuni anni fa ho visto uno
spettacolo intitolato “ l ultima cena nella capanna dello zio tom” dove sulla
scena erano presenti contemporaneamente danzatori, poeti musicisti dj master.
per la musica occidentale, nel suono indeterminato e caotico possiamo trovare
un richiamo alla dimensione del lavoro industriale di massa. il suono
predominante in tutto il mondo e’ indubbiamente quello del traffico amava
ripetere john cage (1912-1992). luciano berio invitava a liberare la voce dal
bel suono. la voce e’ sempre la nostra sia quando cantiamo sia quando gridiamo
per chiamare il taxi. il rumore che oggi come mai abita i nostri orizzonti
quotidiani pretende di essere considerato arte. ora in questa lenta evoluzione
la musica afro americana ha sviluppato strutture e linee guida, si e’ dotata di
norme rigide e accademiche si e’ per così dire imborghesita. ha seguito i
dettami della musica occidentale differenziandosi per stili e per autori
riconosciuta universalmente e studiata nei conservatori. nata in luoghi fumosi
sporchi puzzolenti e rissosi e’ finita nei nostri teatri classici dove se
qualcuno bisbiglia durante una esecuzione subito tutti protestano. mentre la
tarantella ha mantenuto la sua integrità culturale, e’ rimasta sempre uguale a
se stessa e quindi più valida anche esteticamente a livello storico
antropologico. un suonatore di zampogna dell aspromonte costruisce il suo
strumento lo accorda e lo suona, quattro passate trasmesse oralmente, senza
niente di scritto, senza nomi di autori stili e quanto altro in una unita unica
con lo strumento i materiali usati e il luogo di vita. questa e’ la forza
intrinseca della tarantella e deve essere trasmessa e condivisa in quanto tale
perché questo e’ il suo autentico valore culturale, trasmesso di generazione in
generazione senza mai perdere i contenuti essenziali. la secessione delle
popolazioni meridionali e’ avvenuta durante la feroce guerra di conquista dei
nordisti piemontesi tra il 1860 e il 1872 definita poi dai vincitori “guerra al
brigantaggio”. sentiamo a proposito che scrive alessandro romano su brigantaggio
e cultura. nel 1860 i savoia mossero guerra agli stati italici per operare una
unita liberale borghese con la forza assoggettando le popolazioni ad una feroce
dittatura e causando uno sconvolgimento economico e sociale di cui ancora oggi
si pagano le conseguenze. trasformando uno dei giardini più belli d europa in
una grande discarica chimica. l idea di unita federale attraverso la concordia
e la pace e il rispetto della cultura e delle tradizioni naufrago miseramente
di fronte alla selvaggia guerra di repressione che insanguino il meridione per
12 anni e si concluse con la morte di 685.000 persone 51 paesi rasi al suolo e
l esodo biblico verso le americhe di milioni di emigranti. pastori e contadini
arrestati con l accusa di brigantaggio venivano rinchiusi semi nudi in recinti
e casali. i briganti tenevano in sordina i ritmi antichi della loro cultura
millenaria intonando motivi a bocca chiusa accompagnandosi battendo il ritmo
con i piedi. come gli afroamericani sulle navi per le americhe. una continua e
instancabile e ossessionante ritmica reazione alla disperata condizione in una
sorta di autoipnosi. un popolo antico discendente dalle popolazioni della magna
grecia alla difesa della propria terra e appartenenza culturale, in questo modo
devastata alle radici dal nuovo stato unitario. lo scontro fu tra due mondi,
due culture, due modi di concepire la famiglia la tradizione la società la
fede. quella del popolo meridionale fu una esigenza un dovere una reazione
ancestrale, una legittima difesa condotta in condizioni disumane per monti
valli boschi per dodici lunghi anni alimentando quella folle e tragica
disperata guerriglia di bande chiamata brigantaggio.(liberamente tratto e
adattato da il popolo dei briganti) ce’ da aggiungere che solo negli ultimi
anni si sta attuando una forma di revisionismo storico di quegli anni di cui si
e’ sempre parlato poco sui libri per l operazione di annebbiamento e oblio
attuata dallo stato sabaudo negli anni successivi e durata quasi fino ai nostri
giorni. per la prima volta fu adoperata la fotografia come arma mediatica da
parte degli invasori con foto di briganti catturati e giustiziati spesso
mostrate e appese nei vari paesi. e’ interessante ascoltare ora la voce di
raiss cantante napoletano degli alma megretta che qualche anno fa rivendicando
e giustificando l uso di modelli espressivi musicali afro americani cantava:
annibale grande generale nero con una schiera di elefanti attraversasti le alpi
con 90.000 uomini africani, annibale sconfisse i romani e resto in italia
meridionale da padrone per 15 0 20 anni. ecco perché molti italiani hanno la
pelle scura ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri un po del sangue
di annibale e’ rimasto a tutti quanti nelle vene, durante la guerra pochi afro
americani riempirono l europa di bambini neri, cosa credete potessero mai fare
in 20 anni di dominio militare un armata di africani in italia meridionale,
figli di annibale. evidente l allusione alla fine della seconda guerra mondiale
quando il jazz torno ad essere suonato in italia dopo l ostracismo culturale da
parte del deposto regime fascista. famosa a tal proposito la canzone
tammurriata nera: ha nat na criatur, ha nat nir, lu chiamm a cir.. citando il
de martino della monogenesi della cultura il ciclo e’ completo con questo
doppio passaggio della tradizione musicale africana prima con annibale e poi
con i soldati afroamericani. il primo passaggio attraverso le alpi il secondo
con un giro più lungo attraverso le americhe. come dicevano gli intellettuali
di sinistra nei salotti romani degli anni 50 dacci il blues, lomax! proprio
questo l’errore che e’ stata anche la fortuna per noi meridionali che
attraverso l uso di moduli espressivi non autoctoni, per lungo tempo, abbiamo
tenuto da parte e preservato i nostri moduli originari rimasti fortunatamente
intatti nell oblio culturale. quindi per il futuro l augurio e’ si quello di
continuare ad apprezzare la musica afroamericana in quanto tale, di sottoporre
parte della musica di tradizione meridionale a un processo evolutivo di
urbanizzazione ed elettrificazione e accademizzazione come per altre musiche,
anche di conservarne parte nella sua totale integrità culturale
consapevolmente. in questa sorta di darwinismo culturale ne annibale ne gli
eserciti nordisti sabaudi francesi ne gli afroamericani dopo la seconda guerra
sono riusciti a cancellarne le tracce per l evidente forza catartica intrinseca
di trasmissione e rappresentazione irrinunciabile per le varie comunità o isolo
sonanti. paradossalmente per una incredibile coincidenza storica la guerra di
secessione americana si e’ svolta nello stesso periodo della guerra al
brigantaggio negli anni 60 dell 800. le forze in campo i nordisti americani e i
nordisti piemontesi erano la parte
progressista mentre i sudisti erano legati a una mentalità arcaica e
conservatrice. in entrambe le guerre hanno vinto i nordisti e mentre per gli
afroamericani si aprivano le porte dell integrazione nella società americana
fino a diventare nel 900 i massimi protagonisti nello sport nella musica nell
arte nella letteratura. per le popolazioni meridionali si aprivano le vie dell
esodo verso il nord verso l’europa le americhe l australia. abbandonando paesi
d origine campagne e masserie tuttora dopo 150 anni ancora incolte e
disabitate, riscattando la loro esistenza con il benessere solo dopo la seconda
meta del 900 con lunghi anni di sacrifici. alcuni meridionali sono tornati a
vivere nei paesi di origine altri solo d estate e saltuariamente, molti hanno
scelto la via dell integrazione nei paesi dove hanno vissuto e fatto nascere i
propri figli. ormai come una specie di esperanto musicale l unica lingua che
può rappresentare tutti noi meridionali nel mondo e’ la tarantella, linguaggio
musicale universale.

dalla tarantella al blues .4.

il gergo delle comics americane e’ spesso modellato su quello dei negri, ricco
di modi di dire ed usi ancora di tradizione africana, dal tempo del loro esodo
di schiavi ed e’ noto che dalle storie africane di animali discendono favole
nordamericane di cui il ciclo disneyano di topolino non e’ che una tarda
progenie. infatti nella squittente efficacia onomatopeica dai fumetti di
topolino divenuto patrimonio di noi ragazzi si riconoscono le parole che
riproducono i rumori delle
quali gli schiavi africani infioravano i loro racconti. ora immergendoci nel
mondo sottomarino della tradizione muniti della bombola di ossigeno dell
entusiasmo, che oggi molto si respira, per ogni cosa spontanea e originaria e
primitiva per ogni rivelazione di quel che con espressione gramsciana si chiama
il mondo subalterno per tutti gli appassionati di tradizioni dialettali, l umile
fede in un dio ignoto agreste e familiare che si cela nei racconti e nel parlare
dei paesani (i. calvino). questo per dire come la cultura afroamericana nella
sua lenta evoluzione integrazione sedimentazione all interno del sistema della
cultura americana sia riuscita a condizionarne in modo preponderante le
modalità espressive, cosa che e’ poco accaduta con la cultura subalterna
meridionale ancora ferma allo status di cultura tradizionale o cultura
popolare. per esempio uno degli artisti più importanti e determinanti alla fine
del 900 americano e’ stato jean.michel basquiat (1960-1988). nella sua opera
artistica e’ riuscito a condensare le varie forme dell espressione culturale
popolare afromericana; nei suoi quadri soprattutto in quella dedicata a max
roach, famoso jazzista, e’ riuscito a unire pittura musica e fumetto. niente di
tutto questo e’ ancora accaduto nel sistema della cultura italiana e lungi
ancora dall accadere. molto colorita e varia e’ anche l espressività gergale
espressa con il movimento del corpo e delle mani soprattuto da parte dei
giovani rappers di colore, modelli espressivi imitati e replicati in tutto il
mondo, nella tradizione meridionale la gestualità e’ legata spesso al cibo
quindi per dire che si e’ mangiato poco, la mano si rotea per dire così cosi o
tanti altri movimenti legati al linguaggio gestuale. bello e significativo
tipico di noi meridionali il gesto che si fa con la mano per esprimere calma
facendo leggermente su e giu con il palmo della mano. simpatico e il gesto
scaramantico e apotropaico delle corna. a livello iconografico tutta la
figurativita passa tuttora per le colorate comunicative e usatissime carte
napoletane di cui tutti conosciamo il significato. come l asso di bastoni il re
di denari e soprattutto l asso di coppe riconosciuto come simbolo dell essere
meridionale spiantato lento e amante del vino e delle donne: liscio a denari
carico a coppe...!

culture resistenti

nel 1962 calvino scrive in l esplosione del neorealismo.. la rinata libertà fu
per la gente al principio smania di raccontare, nei treni che riprendevano a
funzionare, gremiti di persone sacchi di farina e bidoni di olio, ogni
passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse e
così ai tavoli delle mense del popolo, ogni donna nelle code dei negozi; il
grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa di altra epoca ci si muoveva in un
multicolore universo di storie. ecco così noi oggi figli del boom economico
siamo usciti da un periodo in cui abbiamo fatto il grande salto come lo
definiva mao il grande balzo in avanti, noi meridionali ora siamo inclusi tra i
paesi più industrializzati del pianeta, abbiamo fatto veramente un grande salto,
ora, ora che ci siamo fermati a riflettere, quando abbiamo aperto il nostro
bagaglio esistenziale culturale abbiamo trovato un vuoto enorme ci siamo resi
conto che avevamo lasciato qualcosa indietro, qualcosa di molto
importante e ora siamo tornati a prendere quel qualcosa. ecco allora il
pupullare di storie sui treni noi figli di meridionali che parliamo ormai il
milanese o il torinese torniamo nei paesi di origine per il sole le tradizioni
la musica gli strumenti il dialetto con un urgenza unica di comunicare
raccontare storie modi di essere modi di fare alla ricerca di radici e
appartenenza. allora andiamo nei piccoli paesi di origine a parlare con parenti
amici conoscenti in un intreccio di ricordi e conoscenze con le persone che
hanno resistito in questi luoghi lontani nell italia meridionale. tante voci
che si sovrappongono divenendo pian piano una voce unica, un coro, un enorme
coro, il coro di noi meridionali figli del boom. franco cassano in pensiero
meridiano parla di come essere meridionali e progettare un modo diverso di
essere al mondo, valorizzando i ritmi diversi che nascono dal rapporto con il
mare, l andare lenti per riallacciare un rapporto solido con le tradizioni
della propria terra: la modernità non come annientamento della propria identità
culturale ma ricerca reale e autentica dolorosa di un altra identità capace di
interrogarsi sul passato sui propri valori usando il sacro in chiave eretica la
tradizione in funzione rivoluzionaria. un rapporto con gente che sembrano
incarnare un sistema di valori culturali e morali più antico e ammirevole. la
liberazione emotiva e la spontaneità garantita dai modelli tradizionali vengono
vissute come nuovi mezzi di comunicazione ed espressione, per esempio la
riscoperta del dialetto. e’ sicuramente anche una alienazione la mancanza di
storia nella società urbana industriale, la coscienza regionale appena riemersa
per molti e’ anche una consapevolezza più politicizzata di origine marxista che
esalta la cultura subalterna contrapposta alla cultura dominante, critica
ideologica alla modernità globale capitalistica, allora questo grande coro
meridionale come e’ stato per l esplosione del neorealismo puo diventare
cantore di una nuova modernità, la modernità dei nuovi meridionali, riusciti a
riempire il bagaglio esistenziale culturale trovato semivuoto dopo 50 anni
delle valige di cartone legate con lo spago.

nomadismi culturali

gli africani nei loro lunghi spostamenti forzati nelle americhe hanno creato
nuovi ritmi musiche e balli diversi di luogo in luogo: samba e cubia in america
del sud reggae e calipso in centro america blues e jazz in america del nord. gli
zingari rom e sinti hanno girovagato nei loro nomadismi culturali tutta l europa
incontrando di volta in volta suoni locali integrandoli con i loro in
sincretismi musicali continui e originali per esempio il flamenco. gli zingari
non hanno mai scelto la facile via dell integrazione, rimanendo spesso isolati
nella loro diversità culturale. esperti di cavalli gli uomini di erbe e
divinazione le donne, tuttora conservano la loro lingua modi di fare abiti
quotidiani, lunghi pieni di ori, le donne, e comportamenti sociali anche se
spesso emarginati nelle periferie urbane. altri guastatori culturali nell
italia meridionale sono stati le popolazioni di origine balcanica soprattutto
arbresh che hanno attraversato l adriatico dal 1500 a oggi. sono presenti
ancora comunità che conservano il culto la lingua canti feste e rituali di
matrimonio. altri guastatori per così dire negli ultimi secoli, i saraceni
pirati nord africani della marineria turca che effettuavano razzie e saccheggi
lungo le coste. tantissimi toponimi che richiamano i turchi e feste particolari
legate al salvataggio di una comunità locale da parte di madonne e santi.
callara grosso contenitore per bollire e altri termini probabilmente denunciano
se non l’origine almeno la pronuncia turcomanna. molte sedimentazioni nelle
lingue locali, per esempio il semplice nome di giovanni di origine cristiana
nell etnia locale della costa abruzzese e’ pronunciato giu’a’ esclamato in modo
forte e deciso, riassume in un sincretismo linguistico unico lo jean francese il
juan spagnolo e la a aperta di origine araba. cosiccome maria sempre di origine
cristiana diventa nell etnia locale mari’je che denota nel suffisso ri’je una
desinenza di origine tipicamente slavofona o arbresh. ultimi guastatori in
ordine di tempo le popolazioni africane del senegal, i cosiddetti vucumpra, che
hanno diffuso nuovi strumenti musicali soprattutto l onni presente djambe che
risuona in tutte le feste col suo potente suono. i ragni della tradizione che
pizzicavano le donne durante i raccolti del grano e del tabacco sotto al sole
cocente, che rapisce la mente e la porta in un mondo lontano, si nasconde
ancora nei muretti a secco. ora l effetto della pizzicata e’ diverso e ci porta
non in mondi lontani ma lontano da modelli culturali non autoctoni. quindi un
distacco un allontanamento da quelli proposti dalle cosiddetta contro cultura
americana: veramente assurdo che noi meridionali sappiamo tutto di bob dylan e
poco o niente di matteo salvatore, abbiamo studiato e analizzato tutta l
attività guerrigliera di che guevara e non sappiamo nulla di ninco nanco o di
carmine crocco famosi briganti. a parlare spesso di rosa louxemburg o delle
operaie sacrificate in una fabbrica americana agli inizi del 900 e a ignorare
completamente l episodio della rivolta di tricase nel salento, scenario di una
tragica rivolta nel maggio del 1935, una manifestazione di lavoratori che venne
repressa nel sangue con cinque vittime di cui tre tabacchine, raccoglitrici di
tabacco. l effetto della pizzicata ci può portare a studiare e riproporre anche
graficamente con manifesti stampe le figure della storia del recente meridione
ancora poco conosciute. anche con incontri seminari e pubblicazioni dando
spazio anche a storie locali e personaggi minori.

il ragno impoverito

questi sono alcuni dei modelli culturali che si possono proporre , il vero
problema e’ quello legato al mondo rurale e pastorale. attualmente la musica i
balli e gli strumenti sono al vertice della piramide conoscitiva e attirano
come miele tantissimi ricercatori intellettuali e praticanti la vera battaglia
si sta conducendo in basso perché se non si riattivano e riattualizzano vecchi
mestieri legati al sapere tradizionale anche per svincolarsi in parte dalle
energie non rinnovabili sarà tutto inutile. andrà perduta per sempre
l’architettura rurale ecologica dei nostri nonni diversa regione per regione.
andranno perdute tutte le varietà di semenze antiche a favore di quelle
prodotte nei laboratori delle multinazionali. ecco di quel che apparteneva alla
cultura orale ormai e’ stata recuperato quasi tutto, ora lavoriamo su quella
pratica e materiale seguendo gli esempi che abbiamo a disposizione un po
dovunque tenendo presente che la regola fondamentale del fare tradizionale e’
il riciclo e il riuso dei materiali legato anche al risparmio energetico. anche
la nutrizione può seguire i dettami della tradizione ricordando che la dieta
mediterranea era semplice e minimalista povera di grassi animali quasi
vegetariana e che i nostri nonni lavoravano all aria aperta tutto il giorno in
sintonia con le stagioni e il tempo naturale. tutto il sistema sociale era
basato sul senso di protezione di appartenenza della comunità nella rete di
solidarietà che si attuava quotidianamente attraverso lo scambio di aiuto.
quindi tutto il fare tradizionale investiva la sfera dell intelligenza
cognitiva riferita alla tecnica alla conoscenza dei materiali usati legati in
modo specifico al clima del luogo. l intelligenza emotiva perché il fare dava
sensazioni uniche legate a particolari stati d animo o colori della natura per
esempio lavorare la mattina all alba o in condizioni meteorologiche particolari
pioggia fango caldo o altro. l intelligenza sociale il fare era socializzante e
aggregante. per esempio per mietere il grano i canti di lavoro durante il
giorno e i balli la sera sull aja, si lavorava sempre assieme settimane mesi
anni. oggi una mietitrebbia in un giorno fa tutto il lavoro e l operatore sta
tutto il giorno sul trattore ascoltando solo il rumore del motore. non c’
rapporto con la natura i suoi profumi il canto degli uccelli il ronzio degli
insetti gli atri uomini gli animali, i buoi che aiutavano nel lavoro. le
semenze selezionate nel tempo e trasmesse di generazione in generazione e
scambiate nella rete di protezione sociale di appartenenza. i buoi oltre ad
aiutare nei lavori dei campi investivano pure la sfera affettiva, consoni a
ritmi naturali e con il letame che producevano chiudevano il ciclo
ridistribuendo fertilità ai campi. i contadini vivevano in simbiosi con campi e
animali mentre oggi del trattore conoscono solo il funzionamento sopportando il
puzzolente rumore. se si rompe ha bisogno di costose manutenzioni e non produce
letame per arricchire i campi ma arricchisce solo chi vende il petrolio. la
moderna agricoltura intensiva impoverisce tutta la vita biologica dei campi
inquinandola con pesticidi e concimi di sintesi chimica che rilasciano pesanti
scorie difficili da smaltire che hanno portato alla scomparsa della vita
biologica e naturale nei campi, quaglie lepri ragni e tutto quel che vive nei
campi tra le spighe di grano. i pesticidi e i concimi di sintesi impoveriscono
anche il chicco di grano che contiene meno quantità e qualità nutritive di un
chicco di grano coltivato con metodi naturali. alcuni studiosi hanno calcolato
che un tempo da una caloria investita sul campo se ne raccoglievano dieci, oggi
per raccogliere una caloria ce ne vogliono quaranta. come dire che siamo passati
da un rapporto di +10 a -40 la differenza sta tutta nel petrolio che bruciamo.
mentre cio che si produce e si raccoglie sul campo sta all ultimo posto nella
scala dei valori del sistema che vende produce meccanica e petrolio. un tempo
stava al primo posto perché permetteva la sopravvivenza all intera comunità. si
e’ calcolato inoltre che siamo passati nel secolo scorso da un consumo pro
capite di 3 kg di carne all anno a circa 25 kg e a un consumo di legumi da
circa 30 kg pro capite a 5 kg all anno, il rapporto si e’ diametralmente
invertito. ora ci si augura che la “taranta virus” investa anche gli altri
ambiti della conoscenza del
fare tradizionale legato all intelligenza cognitiva sociale ed emotiva e non al
ragno impoverito del fare legato alla meccanica delle macchine e al consumo di
energia fossile non rinnovabile. il ragno della tradizione simbolo di un mondo
più naturale e umano meno meccanico tecnico e artificiale.

taranta virus

le macchine dell abbondanza hanno portato miseria,umanità al posto delle
macchine.
come rame martellato a freddo verdi e dense nuvole acquose galleggiano frammenti
di vecchie bande di paese anime mediterranee

terra senza nome morbide gradazioni tra le malve legame inaspettato
verso una terra tenera e aspra immersa nel tempo senza confini, terra da cui non
riesco a stare lontano

con i suoi ultimi raggi il sole illumina gli intonaci colorati
di questo piccolo borgo uno sguardo verso il cielo cosciente del dono
di questa nuova giornata buona lettura buon viaggio e buon lavoro a te
dalla terra dell uomo


Visualizzazione di saltarellofrisa.jpg


Quarta Parte

paesaggi interiori come codici simbolici condivisi, nuove geografie,
antropologia del paesaggio quotidiano e psicogeografia in questi passaggi di
saggi di paesaggi (allego pure una foto).

Geografia del paesaggio urbano, rurale e di margine

il paesaggio ha sempre accompagnato l uomo nel corso del tempo, chiunque ha
descritto l ambiente si e’ reso conto di far parte di costituire l essenza
stessa del “tutto” che ci circonda. il paesaggio risulta inevitabilmente
percepito attraverso modalità sensoriali esclusive personali. all analisi
oggettiva e’ affiancato uno sguardo sul territorio del tutto individuale.
letterati filosofi artisti scienziati hanno affrontato il problema dell uomo e
dello spazio: come vivere e percepire il mondo in cui viviamo. e’ pur sempre
una visione antropocentrica, in cui le cose fatte dall uomo sono le più belle,
ancor meglio se da un uomo del lontano passato o appartenuto alla cultura
dominante di un determinato periodo. gli studiosi e i ricercatori stanno
gettando molto buio sulla argomento, se continuiamo così, fra un po non se ne
sapra più niulla. basta con gli oscuri orti di specialisti o con le presunte
ambizioni di protesta, stendiamo le coperte sui balconi! esiste una realtà
culturale periferica o sommersa che non ha niente a che fare con il colto o l
accademico. si tratta di un reale sottofondo presente nelle campagne e nelle
periferie urbane che esprime un modo di essere, una visione della realtà, un
sapere diverso e alternativo rispetto ai valori espressi dalla cultura
dominante. l urbanizzazione e l abbandono delle campagne, nel centro sud hanno
impoverito il patrimonio culturale delle classi subalterne ed e’ più difficile
entrare in contatto con questa realtà espressiva. il mondo che vive e ha
significato dietro la cultura popolare e’ diverso dal mondo della cultura
colta, così come e’ diversa la concezione del paesaggio e finanche la maniera
fisica di fruirlo. nella cultura tradizionale il mondo tutto e’ al centro dell
attenzione e il legame tra lavoro e realtà quotidiana e’ ancora molto presente,
anche se in forme diverse e meno dirette. due culture che si esprimono in
maniera diversa e data l inscindibilità di forma e contenuto con tecniche
diverse: impossibile quindi il totale assorbimento dell una da parte dell
altra. cio che interessa sottolineare e’ l aspetto vitale di questa cultura
subalterna, che seppur emarginata ha conservato la sua efficacia il suo ruolo e
come tale si arricchisce di nuovi significati. l unita minima il paesaggio
locale, va considerato come una
dimensione in cui agiscono presenze e assenze; funzioni e segni per una cultura
che li converte in valori per le sue manifestazioni. un paesaggio nel quale
ogni oggetto stabilisce relazioni, quasi a definire una realtà vivente organica
di forme e rapporti. il linguaggio silenzioso e la dimensione nascosta (g
dorfles) indirizza verso una analisi etnologica dei problemi culturali e
sociali posti alla base di un ambiente rurale e marginale, delle costruzioni e
dei frammenti di natura naturale che ancora contiene (microambiente). alcune
periferie cittadine dimostrano la volontà degli abitanti di imprimere una
impronta personale agli spazi a disposizione, dove riescono a sistemare una
capanna, un orto, una sorta di di minuscola abitazione fatta di travi e di
lamiere, di approssimative strutture che denunciano il bisogno da parte di
molti contadini inurbati di dare un impronta forte del loro sapere. un sapere
tradizionale legato a determinati materiali consolidati dall uso, la maggior
parte di risulta perché nella cultura tradizionale non si butta mai niente e
tutto si ricicla. questa impronta apparentemente casuale, trova massima
espressione proprio nell uso dei materiali stessi: sostegni vegetali secchi
come canne salici tronchi e pezzi di legno con lamiere ferri arrugginiti
plastiche bidoni di ogni genere, reti. ravvivati da sostegni vegetali vivi come
rosmarina rosa salvia ligustro in un intreccio unico stupefacente tra tradizione
e modernità. questo sapere tradizionale espresso attraverso i materiali che il
luogo stesso offre, diventa desiderio di intervenire a plasmare lo spazio
circostante di cui si dispone, riutilizzando come modelli di riferimento il
paesaggio di origine, a volte, anche forzandolo adattandolo alla
contemporaneità
(memorizzazione affettiva) soprattutto nell uso dei nuovi materiali. anche le
abitazioni spesso rispecchiano la volontà di agire sulla quotidianità
attraverso l’abbellimento esteriore con l uso di colori vivaci, complicate
ornamentazioni con materiali scelti appositamente. fenomeno legato anche al
realizzarsi di fattori simbolici tali da far che l abitazione abbia dei punti
di riferimento precisi e facilmente individuabili, capaci di creare attenzione
nell area periferica urbanizzata o rurale (manifestazione della presenza). l
abitante tradizionale non smarrisce l attaccamento sentimentale, anche estetico
al proprio habitat, questo gli consente di costituire un suo microambiente entro
il quale svolge buona parte della sua giornata legata a gesti precisi e
consapevoli (corpo quotidiano). il sapere tradizionale permette una maggior
agevolazione dell individuo a quelle che sono le forme formative della ambiente
stesso permettendo quella riconoscibilità di ogni singolo elemento costituito
dal mcroambiente, spesso in altri contesti culturali del tutto perduta. quindi
nella cultura subalterna il proprio ambiente e’ vissuto con notevole interesse
affettivo ed estetico a volte in modo quasi inconsapevole. e’ affascinante come
una tradizione rimane invariata attraverso il tempo anche sotto la spinta di
nuove esperienze: tale continuità culturale ha maggior valore della singola
manifestazione. anche se cambia il luogo e i materiali di riferimento non
cambia l approccio sistemico con lo spazio circostante. l ambiente può
influenzare il comportamento affettivo e’ anche il principio della
“psicogeografia” teorizzata agli inizi degli anni 50 da guy deborde. in quegli
anni deborde si proponeva di studiare gli effetti dell ambiente geografico
sugli individui. consigliava un modo nuovo di vedere l ambiente urbano che
aveva battezzato “deriva”: andate in giro a piedi, senza meta, ne orario,
scegliete man mano il percorso, non in base a cio che sapete ma in base a cil
che vedete attorno a voi. dovete essere straniati, guardare ogni cosa come se
fosse la prima volta. un modo per agevolare questo processo e’ camminare con
passo cadenzato e sguardo leggermente rivolto verso l alto in modo da portare l
architettura al centro del campo visivo. l idea del filosofo e’ ora più che mai
attuale, ma il diffusionismo che ci cela dietro la nuova etica ambientale della
cultura dominante ha sparso derive dovunque nelle aree marginali e rurali. in
questi luoghi e’ l effetto margine e’ più evidente e la vegetazione, spesso
anche di qualità, occupa non lo spazio ma lo spazio negli spazi: copertoni,
lamiere contorte, bidoni arrugginiti, vetri rotti. e’ stupefacente vedere
spuntare tra asfalto e detriti l ormai raro giunco la preziosa liquirizia la
delicata camomilla. in queste zone di margine si trovano residui di ogni sorta,
come se una umanità in fuga avesse avuto fretta di disfarsene velocemente per
alleggerire in qualche modo il suo carico. subito dopo ci si ritrova immersi
nella deriva rurale e osservare gli ordinati reticoli dei campi incontrare le
rigide strutture degli orti, dove attraggono le installazioni dei contadini:
lavandini vasi tubi attrezzi agricoli piccoli e colorati trattori casotti
recinti e piccole siepi. nella deriva rurale l effetto margine si percepisce
maggiormente nelle vicinanze di strade ruderi fossi e piccole discariche dove
la vegetazione autoctona come l umile parietaria la resistente canna palustre l
utile ortica il tenace sambuco resistono all aggressività della vegetazione
migrante: robinia, ligustro giapponese canna di bambù e soprattutto l invadente
ailanto che non ha ancora trovato il suo climax vegetativo. esperimento
interessante arrivare in questi luoghi marginali in perenne movimento dove la
trasformazione e’ sempre di breve durata per evitare di creare noia o rigetto:
luoghi sperduti al confine tra gli ultimi avamposti della citta e la campagna,
deriva rurale o marginale come esperienza straniante e inattesa.

si possono organizzare incontri per creare un momento di riflessione sulla
impronta che attualmente la cultura rurale lascia sulla unita minima di
paesaggio attraverso l organizzazione dei suoi insediamenti. la discussione si
può proporre anche di raccogliere contributi utili a individuare e analizzare
le dinamiche antropologiche naturali storiche economiche e culturali che
tracciano le nuove geografie del paesaggio marginale e rurale

agricoltura dei margini: periferie urbane e orti in citta sapere tradizionale:
tecniche e materiali
famiglia rurale: cambiamenti e confrontti nella società degli ultimi 50 anni
architettura rurale: nuove forme e nuove destinazioni d uso
tradizioni rurali nell ottica contemporanea
percorsi di ecologia rurale

il linguaggio disequilibrante

un fenomeno fondamentale e’ quello che consiste nella
possibilità da parte dei cittadini di intervenire sul proprio habitat, sul
proprio territorio, con mezzi propri, riguardo leventualita di una
ornamentazione autoctona della citta e dei suoi edifici da parte dei singoli
privati. i pericoli e i danni del decoratissimo e degli interventi arbitrari
sulle abitazioni sono certo rilevanti, e la pianificazione sembra l unica via
da seguire. stesso discorso per la vegetazione, ognuno può piantare alberi e
piante dovunque senza rispettare o conoscere principi di ecologia vegetale o
sulla vegetazione originaria del luogo. che va sempre tutelata. e’
indiscutibile il valore di questo genere di interventi in passato come le
decorazioni periodiche di alcune architettura spontanee come a ostuni e altri
borghi del mediterraneo. costiuiscono un complemento caratteristico e
affascinante con lenta sedimentazione di una vita di strada che da sempre era
vita familiare comunitaria che comprendeva azioni rituali festive e teatrali.
questo particolare uso della strada e della piazza come luogo di scambio e
comunicativo per gli abitanti e’ ancora vivo in molti centri del sud e bisogna
dire che tutti conoscono e rispettano il codice collettivo in funzione dei
materiali delle decorazioni e degli stilemi architettonici. le comunità
conoscevano il linguaggio architettonico. la scelta abitativa e la forma d
altra parte dipendevano strettamente dalla funzione, riparare le abitazioni dal
caldo esporle in modo da far circolare aria fresca l estate, e difenderle dai
venti freddi l’inverno. poi erano predisposte alla vita socializzante e
comunitaria. anche l uso di particolari materiali era legato a funzioni
igieniche e anche di luminosità come il bianco della calce. a monte santangel
osul gargano le abitazioni sono state
costruite scavando nel tufo calcareo quindi in parte l’abitazione e’ ipogea, la
parte superiore costruita con il materiale di risulta scavato. le case così
sono fresche destate e calde l inverno e basta un piccolo camino a riscaldarle.
era predisposto sempre un sistema con riciclo dell acqua piovana con una
cisterna scavata nella pietra. la circolazione dell aria era assicurata dalle
finestre nella parte superiore. le abitazioni tutte interconnesse e tutte
attaccate con funzione aggregante socializzante e come in tutte le società
tradizionali era presente un rigido controllo sociale attuato soprattutto dagli
anziani. ora il linguaggio architetettonico collettivo e’ andato quasi perduto
irrimediabilmente e ognuno costruisce abitazioni come vuole e pianta alberi
dove vuole. abbiamo parlato di pianificazione non e’ semplice pianificare il
caos delle aree urbanizzate contemporanee soprattutto per la molteplicità dei
linguaggi che si sovrappongono e per la difficoltà del pianificatore nel
conoscerli tutti. si può parlare di un linguaggio colto urbano, ci si riferisce
all insieme degli edifici delle strutture di una citta. qui e’ dove la
pianificazione e’ più stretta anche nell uso della vegetazione che e’ quasi
tutta di origine antropica. nel centro delle citta si parla un linguaggio
urbano colto che potremmo definire “italiano”. nella fascia che circonda il
centro la pianificazione e’ già meno rigida e ce’ più spazio per l
improvvisazione e la spontaneità. anche la vegetazione e’ già diversa con
presenze di ulivi viti e piccoli orti nei giardini e qualche vecchio albero
sopravvissuto o tracce delle antiche fratte con presenza di biancospino e rosa
selvatica quasi da archeologia forestale. qui si parla un linguaggio urbano
minore: volgare. forse sono i luoghi dove esistono parametri migliori di
qualità della vita urbana e l’architettura spontanea si lega ancora ad esigenze
di vita comunitaria. anche se tutte le fratte che cingevano un tempo strade ed
abitazioni sono state sostituite da chiusi muri di cemento. le case sono basse
e la vegetazione e’ di origine antropica come vi sono resistenze della
vegetazione originaria. nella fascia periferica della citta si parla un
linguaggio urbano marginale: gergo. questa e’ l area più caotica abitazioni
delle più inconsuete tralicci discariche abusive tuguri capannoni artigianali
svincoli di strade superstrade centri commerciali. luoghi gassosi dive il caos
regna sovrano e’ quasi impossibile al pianificatore accostarsi a questi luoghi
sembra che essi si pianifichino da soli seguendo un loro dinamismo interiore.
luoghi anche affascinanti dove l effetto margine e’ preponderante luoghi dove
la vegetazione cresce in modo caotico da quella migrante ailanto robinia vite
americana a quella rurale preesistente come viti ulivi meli peri a quella di
origine antropica eucalipti mimose cipressi dell arizona a quella endemica come
pioppi salici e roverelle in un unicum veramente incredibile. un nuovo genere di
biodiversita di una complessità stupefacente dove agiscono tante dinamiche
contemporaneamente e la vegetazione lotta continuamente per il poco spazio a
disposizione. spazi che col tempo diminuiscono sempre di più per via del
costante consumo di territorio e la cementificazione incontrollata. questa
vegetazione difficilmente troverà il suo climax vegetativo finche il dinamismo
sarà così esasperato. anche se caotica e ridondante soprattutto in primavera
questa vegetazione e’ importante perché svolge l azione di filtro delle
numerose sostanze inquinanti rilasciate da automobili e altre attivita umane.
nella campagna si parla un linguaggiio rurale: dialetto. lo troviamo nei casali
nei borghi antichi dove la scelta della tipologia abitativa risponde a un
sapiente dosaggio di nuove tecnologie e antiche pratiche. il dialetto comunque
si parla sempre lontano dalle vie di comunicazione perché lungo le strade si
parla ovunque la stessa lingua, il gergo. la differenza sta nell effetto
margine dove e’ minore dove e’ più evidente ci sono più contrasti e più
dinamismo. la citta di pescara per via del fenomeno della citta diffusa si
estende a nord e a sud sud e a ovest verso l interno per molti km. pescara
citta di mare ha altri contrasti e altre dinamiche rispondenti al sistema duale
quasi totalmente distrutto, alla spiaggia al mare. le pinete creano piacevoli
contrasti, quella a nord di santa filomena e’ riconosciuta come riserva
naturale anche se di origine antropica perché e’ stata impiantata negli anni 30
per esigenze di bonifica delle paludi gli stagni retrodunali e anche come
cortina frangivento per gli orti diffusi lungo la costa. mentre la pineta
dannunziana a sud della citta e’ autoctona. e’ interessante osservare l effetto
margine in questi luoghi, tra la preesistente vegetazione dunale endemica la
vegetazione di origine antropica della pineta e quella rurale degli orti e la
vegetazione delle zone umide. occorrono dei vincoli ancora maggiori in questi
luoghi sempre erosi dall aggressività e dall ingordigia dei costruttori perché
e’ eccezionale passeggiare in una citta e ammirare piante rare come alcune
orchidee il verbasco niveo la vulpia il silene il convolvolo . naturalmente
sono luoghi poco tutelati quasi abbandonati a se stessi con pochissima cura
della
vegetazione esistente, potrebbero essere giardini stupendi con percorsi
didattici e tematici esistono alcune rimanenze architettoniche, case degli
ortolani si potrebbero restaurare magari ricostituendovi parte degli orti come
piccole fattorie didattiche. interessante sarebbe pure l’esperimento di
ricostituzione di una duna, tutta le serie della vegetazione dalla spiaggia
fino alla ferrovia, per fare si dovrebbe eliminare la strada sulla riviera
costruita proprio sul bordo della duna. in futuro quando si capirà che la
tutela dell ambiente e l unica via possibile esperimenti del genere saranno
attuabili. l importante ora e’ conservare la vegetazione così com e’. immagino
pescara con spiagge e dune senza stabilimenti balneari tutti abbattuti e
sostituiti da piccoli casotti in legno. la riviera tutta pedonalizzata. una
citta giardino fantastica con enormi parchi pinete senza più automobili. come
dicevo non e’ semplce per il pianificatore o i pianificatori lavorare senza le
specifiche competenze e senza conoscere tutti gli specifici linguaggi.

linguaggio urbano colto, italiano
linguaggio urbano minore, volgare
linguaggio urbano marginale, gergo
linguaggio urbano rurale, dialetto

da definire il nuovo linguaggio che riguarda l arredo urbano e extra urbano
come vetrine di negozi edicole panchine scritte insegne pubblicità.

saro sempre quello che sono

un periodo ho vissuto a lungo in una casupola di legno sul mare, la foresteria
del giardino botanico di san salvo, situato tra le dune e l orizzonte marino
nel golfo di vasto o golfo doro per via della luce. a ovest lo ski line della
cittadina del vasto chiude i tramonti, la foresterie composta da una grande
aula didattica e una più piccola con i computer, una stanza con i letti e una
piccola cucina sul retro e verso il mare un grande patio rialzato tipo
terrazza. il giardino mediterraneo si estende per circa tre ettari e ha un
fronte spiaggia di oltre cento metri. un luogo libero dove si può fare yoga far
volare aquiloni, raccogliere erbe spontanee. l area e’ stata strappata alla
lottizzazione e alla balneazione e vi e’ stato portato avanti un interessante
esperimento forse unico nel meridione: la ricostituzione di una duna in un area
a forte incidenza antropica. sulla spiaggia in parte recintata da steccato e non
più trattata con mezzi meccanici la duna si e’ velocemente ricostituita fino a
crescere di oltre un metro in pochi anni. il determinismo vegetativo ancora
molto forte ha dato il suo contributo tappezzando la duna di vegetazione in
poco tempo. il determinismo vegetativo e’ la capacita che ha un terreno di
autoriprodurre la propria vegetazione presente in nuce. per, studiare in
determinismo vegetativo di un terreno basta recintarne un metro quadrato e
contare le specie che ci vivono, almeno per un anno, insommaa osservare quello
che uccide. alcune piante come l ammofila il giglio di mare la margherita la
campanula o convolvolo e il mirto sono state reintrodotte prelevate dalle
vicine dune del molise e della puglia affinché si riproducano spontaneamente in
tutto il golfo. tuta la
duna ora rigogliosa di vegetazione duanle si e’ riempita di vita oltre che di
coloratissimi fiori colorati e ronzanti insettii uccelli tra cui il fratino e
piccola fauna. negli stagni e’ presente la hemis orbicularis la testuggine di
acqua dolce. all interno del giardino ho realizzato due grandi opere di land
art un cesto di canne secche intrecciate di diametro circa 5 metri e altezza un
metro con la vegetazione contenuta che usciva ridondante in larghezza e in
altezza. e poi un altro cesto di 50 metri per lato contenente il canneto con
all interno percorso didattico per ascoltare il fruscio del vento tra le canne.
un cumulo di pietre lucertolarium con ferri narrugginiti trovati nei paraggi
sulla cima. avevo progettato un cuore di materiale vegetale vivo da realizzare
con giunchi e salici e una enorme scultura in pietra sul bordo della duna con i
caratteri sagomati dei semplici e infantili caratteri “io” con al centro dell o
l orizzonte marino guardando la scultura da un ideale punto di vista. “io” come
scoperta dell essere attraverso la luce, il dialogo con il mare. le due opere
non sono state realizzate. col tempo oltre che sulla luce ho iniziato a
concentrarmi sempre di più sui suoni e rumori del mare. montavo sulle strutture
lignee del terrazzo sonagliere realizzate con plastiche raccolte sulla spiaggia
dopo le mareggiate e girandole di diverse grandezze. un giorno sulla spiaggia
ho realizzato una grande installazione performance sonoro visiva. ho montato un
grande telo bianco su un telaio di canne tipo capanno e sui montanti tre grandi
girandole di diverse grandezze che per via del vento giravano in modo vorticoso
producendo tre diversi armonici, poi due grandi sonagliere colorate con
plastiche legni e conchiglie che producevano suoni
discontinui e disomogenei. al centro della scena con un enorme aquilone
producevo suoni di strambate e virate improvvise. quindi diversi livelli di
suoni confluiti in un unica grossa e armonica suonata con materiali naturali.”
concerto per vento e per acqua” orchestra di sabbia tela e plastica.il suono
del mare del vento come sottofondo e per finire gli schiamazzi e il
chiacchiericcio dei bambini impazziti di gioia. la spiaggia era il mio luogo
preferito vi ho trascorso molto tempo a meditare fare ginnastica o
semplicemente ascoltare il mare. la spiaggia e’ le cotono per eccellenza dove
si incontrano l ecosistema marino e l ecosistema terrestre in particolare
quello dunale. l ecotono e’ la fascia di transizione dove si incontrano due
diversi ecosistemi. la spiaggia rappresenta anche il luogo di incontro tra la
terra, la sabbia, l acqua. il mare, l aria , il vento, e il fuoco, l sole. dove
il contatto con gli elementi e’ avvertibile fisicamente e ci si e’ puo
immergere. quel estate dopo la grande abbuffata di musica tradizionale a
caulonia al festival di tarantella power e a serra san bruno festival delle
musiche meridionali e la fragorosa sonorità della festa di san rocco a gioiosa
ionica andai ad ascoltare al festival jazz di rocella ionica michael nyman
band. il giorno dopo partii dalla stazione di roccella con un piccolo trofeo
una lira calabrese acquistata da un costruttore di siderno. conoscevo già i
suoni degli strumenti di tradizione, chitarre battenti, zampogne, ciaramelle o
pipite come sono chiamate in calabria, tamburelli castagnette e organetti. il
suono pieno denso fluttuante catartico e dissonante della lira calabrese mi
colpiva molto. conoscevo già la musica di nyman in particolare la colonna
sonora del film lezioni di piano soprattutto la
scena della spiaggia quando le due donne protagoniste arrivate in nuova zelanda
col piano forte vengono accolte e aiutate dagli aborigeni a trasportare i
bagagli. e’ una scena scecspiriana, da teatro dellassurdo, metafora dell intera
umanità con il piano forte naufragato e insabbiato sulla spiaggia. la scena e’
di una intensità unica con il pianoforte di nyman che segna i fotogrammi in
modo percussivo e dominante. ecco come arrivato sulla spiaggia di san salvo nei
giorni successivi, memore della musica del film, ho iniziato a suonare la lira
seduto sulla spiaggia, quasi sul bagnasciuga in accordo con il suono del mare.
questo mio dialogo con il mare e’ durato lungo tempo quando era mosso e cera
vento forte stavo sulla duna con la lira che strideva e suonava in accordo con
il suono del mare e il vento tra spruzzi di acqua salata e sabbia. questo per
dire come un semplice strumento di legno ha risolto e dato senso al mio dialogo
con il mare. naturalmente non ho mai imparato a suonare la lira!

: a sud

sono già sul treno che viaggia rapido verso sud, da taranto fino a caulonnia
marina il treno scorre lungo la costa ionica come sospeso nel vuoto tra cielo e
mare. la vegetazione spesso ridondante colorati aranceti e profumate pinete, a
volte rada sulla costa argillosa e arsa dove spiccano grossi agavi e file di
solitari eucalipti. a catanzaro lido si cambia treno e si sale su un treno a
nafta per la mancanza della linea elettrica. finalmente arrivo a destinazione.
dalla piccola stazione prendo un pullman che mi porta tra le curve a caulonia
paese a circa 10 km dalla costa. si alloggia nella scuola media dove tra banchi
e cartine geografiche sono stati sistemati i letti. vi si svolgono seminari
stage e corsi di danza tradizionale tamburello e organetto, stile reggino e
ancora etnofotografia durante il festival denominato tarantella power. durante
la settimana di agosto la sera sulla piazza principale piazza mesos dopo i
concerti in programma si esibiscono i suonatori tradizionali con ronde
spontanee di ballo. nella notte si continua a suonare in fondo al paese verso
il mare u sperone spesso fino alla alba. il 24 formata una insolita compagnia
siamoandati a serra san bruno al festival musiche meridionali. ospiti in una
casa a torre del 700 sede dell associazione culturale dei briganti. al piano
terra, la piccola osteria con i tavoli all aperto nella piccola piazzetta,
primopiano cucina magazzino. e secondo piano la sede dellassociazione. nei tre
giorni della rassegna suonatori tradizionali di chitarra battente e zampogne
delle serre calabresi concerti e balli in piazza. alla compagnia si unisce
mimmo ragazzo calabrese fine dicitore e raccoglitore di erbe spontanee che
viaggia con la sua 124 fiat verde acqua. personaggio che sorprende e’ il
musicista danilo montenegro che recuperando la tipica figura del cantastorie ne
rinnova e approfondisce il linguaggio che affonda le sue radici nella
tradizione. nelle sue cantate e nel suono tipico della chitarra battente .
canti e balli legati agli stilemi popolari della calabria con l’inserimento
dello spirito jazz attraverso libere improvvisazioni. concettualmente
esistevano da sempre nella musica popolare ma non abbastanza sviluppate.
proponendo questo nostro blues mediterraneo dove il linguaggio jazzistico
assume un valore intrinsecamente naturale. qui sulle serre calabresi gli
strumenti popolari incontrano gli strumenti tipici della musica jazz. al
rocella jazz si sperimentano più musiche contemporanee tra laboratori seminari
incontri di musiche improvvisate, “esplorazioni”, così le chiamano. infatti il
festival e’ denominato “ rumori del mediterraneo” e quest anno e’ dedicato al
tema le mille e una nota, favole fantasie frottole follie. scendiamo dalle
serre fermandoci nel paese di santandrea sullo ionio famoso per la fanfarra. la
famiglia ranieri e’ depositaria di questa tradizione, ora vivono a torino e
tornano l estate. il capostipite giuseppe ormai novantenne ci racconta degli
strumenti che costruiva a punta di coltello. la fanfara e’ composta da pipita
zampogna rullante e grancassa, percorriamo le vie del paese ascoltando la
tarantella della fanfarra di santanrea alla radio della macchina. siamo a
roccella il festival si conclude questa sera, domani e’ domenica e ce’ la festa
di san rocco a gioiosa una delle feste più fragorose del meridione la
processione dura tutto il giorno tra balli e suonate devozioni al suono di
centinaia di rullanti grancasse tamburelli e organetti. un tipo pensa e dice:
qua sono tutti pazzi! i suoni della chitarra battente e della lira calabrese
sono quelli che si avvicinano per come vengono suonati alla musicalità blues.
spesso i suonatori eseguono poche note tirando fuori dal loro strumento suoni
metallici e dissonanti portando la melodia con voci grezze e nasali cantate d
amore tristi e melanconiche

verso sud
preme dal profondo
una nuova armonia
dalle finestre chiuse
nei pomeriggi caldi

Visualizzazione di DSC01398_1.JPG


La capanna urbana - quinta e ultima parte di storie comuni

capanna urbana come luogo di protezione punto di vista ideale da cui osservare
la citta e quel che succede attorno a noi
casa abitazione citta comunità comunicazione ma quale la vera capanna urbana se
non l automobile dalla quale riusciamo a cogliere le trasformazioni in tempo
reale e il mondo che ci scorre davanti,

uomo casa ambiente comunicazione, informazione in formazione. habitat abito
abitazione abitacolo. capanna urbana come protezione e punto di vista ideale
sulla realtà quotidiana che ci circonda. la vera capanna urbana, abitacolo,
navicella e’ l’automobile dalla quale riusciamo a percepire il vero rapporto
tra l’uomo e lo spazio circostante: processi territoriali geografia antropica e
antropologia del quotidiano. saggio scritto qualche anno fa in salento, a
melpignano, durante un convegno “dia.logos” sull idea di comunità ideale.
allora ecco segni di luogo segni di terra, luoghi teatro, comunicazione verbale
e non verbale attraverso l’incontro per ricostituire tutti assieme uno affianco
all altro un “core” dove trovare senso di protezione comunità e appartenenza,
chi sa puo decidere prima e meglio specialmente nella comunicazione. la
quantità di messaggi che quotidianamente bombardano la nostra mente e i nostri
occhi e’ ormai a livelli tali che e’ quasi impossibile tener dietro agli
sviluppi delle tecniche e al modificassi degli stili. nell universalità della
comunicazione così come si e’ venuta configurando negli ultimi decenni. il
mondo e’ diventato non solo più piccolo ma i suoi abitanti stanno cominciando a
capirsi attraverso codici visivi e organizzazione dei media. non solo, lo
sviluppo dell economia globale e l appiattimento delle differenze
socio-economiche sta portando come conseguenza un crescere e un dilagare di
modi comunicativi sempre più basati su elementi linguistici e visivi di
raffinata apparente semplicità e di lucida precisa finalizzazione. informarsi
quindi e’ diventato non solo un dovere ma un esigenza assoluta: il consumo di
idee e immagini e’ tale che occorre una stimolazione e una verifica critica
continua. i messaggi vincenti stanno nella semplicità e nella qualità formale e
anche sostanziali. i rapporti tra i contenuti della comunicazione e la loro
visualizzazione non possono essere stravolti , pena la perdita di credibilità
dei messaggi stessi.
segni di luogo quando uomini e donne convenuti stanno sulla scena ecco che la
parola prende il sopravvento, inizialmente quella del luogo comune, del buon
senso profuso, poi finalmente le identità faticosamente definite si stemperano
fino a scomparire e ridurre costoro a semplici ingranaggi di un “meccanismo
dialogico” condannati a comunicare questi uomini e donne dovranno entrare per
forza nel gorgo dell indeterminato dove si nega cio che si e’ appena finito di
affermare, dove si dice contemporaneamente si e no. la vita si dissolve allora
in una nebbia di insignificanza, come se nulla fosse stato mai detto, finche
nessuna parola ci sembra più essenziale.

ed ecco un ragazzo povero e assillato che non sa che fare nella vita. eccolo
inseguito per anni si traveste da contadino e legge le sue poesie a una banda
di rapitori. e’ la storia di un uomo, in un territorio di confine. un uomo un
tempo e un equilibrio vacillante sospeso e immobile che danza silenzioso in un
giardino che non e’ in nessun luogo ed e’ ovunque

le parole sono un dono, sono la memoria e la speranza, sono il conforto la viva
presenza, per questo vi invitiamo a sedervi alla nostra tavola e dividere con
noi questo poco vino e ad ascoltarci e tutto quello che possiamo offrirci ne
più ne meno nel luogo dell incontro.

segni di terra

il tema del paesaggio trova un contesto di antica memoria quando la cosciente
presenza dell uomo si ravvisa nel ruolo di tutore discreto e garante nella
conservazione degli elementi naturalistiche ambientali e culturali. la ricerca
per forza di cose antropocentrica ha la possibilità di agire all interno di un
contesto in un territorio che vede l uomo misurato alla natura e viceversa in
una dimensione da reperire all interno dell universo contemporaneo. una ricerca
adatta a rilevare e rivelare le inquietudini e la bellezza che la natura riserva
all analisi esaltata dallo sguardo che trasporta in una dimensione estetica e
operativa del tessuto naturale e ambientale.

luoghi selezionati in una dimensione naturale attraverso cui costruire uno
spazio del fare tematico culturale.

luoghi teatro

dell acqua: goccia torrente
del cielo: luce nuvole
della terra: zolla collina
dello sguardo: veduta panorama
della vegetazione: filo d erba bosco
della fauna: insetto mammifero

luoghi come sentieri naturali ma anche artistici e virtuali per finalizzare l
esperienza sul territorio come attività di ricerca per rimarcare gli spetti più
caratterizzanti che ne strutturano l identità e ne sottolineano le potenzialità.

la via della terra

le distinzioni di sorta e le definizioni sulla moderna agricoltura sono
classificazioni ove il confronto dagli ignavi reso dogma, e’ disaggregante
termine numerico e non condivisa umana fatica. credere nella libera
informazione anche se a giudizio negativo. pensare alla campagna come una plaga
anarchica senza inquisizioni o opposte fazioni. interiormente ricca, stimolata
da severa e attenta critica. lottare per un collettivo in grado di esprimere
ancora oggi solidarieta contadina a chi da madre natura non e’ stato premiato,
e’ un sogno? (teobaldo)
emerge una grande varietà di esperienze e di realtà che coniugano l agricoltura
in modo diverso dal passato e indicano in qualche modo una tendenza nuova, una
attenzione verso aspetti qualitativi sociali ambientali e culturali che forse
un tempo caratterizzavano l agricoltura dei nostri nonni. una ridefinizione del
rurale che consente di stabilire i tanti nodi del fare agricoltura oggi o di
vivere il territorio e le reazioni del contestorurale e sociale da parte dei
cosiddetti “neo-rurali”

un esempio l agricoltura naturale o agricoltura zen o agricoltura del non fare
di masanobu fukuoka ormai famoso soprattutto per la semina con palline di
argilla. il frutto più amaro della grande diffusione della monocoltura del
pensiero unico e’ l idea che l attuale modello di società consumistica
competitiva e individualistica sia l unico possibile. un mondo migliore non
solo e’ possibile ma e’ già in embrione si tratta solo di innaffiare i semi
buoni.

alcuni parametri stabiliti dall unione europea servono a valutare la
sostenibilita ambientale di una campagna. un indicatore valuta la presenza di
siepi e filari di alberi che limitano l evaporazione dell acqua creano zone di
biodiversita e corridoi ecologici dove si annidano specie utili di flora e
fauna. un altro indicatore decisivo e’ la rotazione delle colture elemento
utile per la salvaguardia del territorio cosiccome la presenza di un sistema
irriguo appropriato.

danza ciclica

il bel contadino pianta la cosa
quando la pianta la pianta così
ne pianta un po e poi si riposa
poi si rimette le mani così

capanna urbana 2

che succede nella citta del mare? sogni e forme arcaiche dialogano dove tutto e’
sacrificato al consumo. nei luoghi dove dovrebbe esprimersi l immaginario
collettivo, dove lo scambio umano e sociale dovrebbe manifestarsi liberamente,
tutto e’ sacrificato all esposizione e alla mercificazione anti ecologica,
sinonimo di regressione antropologica contro l avanzamento aggressivo del
cemento e la repressione quotidiana del verde e del blu la musica dei colori
vuole ristabilire armonie perdute. i sogni possono rinascere dalle immagini
perdute e mentre la bianca spuma del mare rifluisce sulla lunga e desolata
spiaggia portando via il sapore di plastica e i cartoni fradici, di nuovo verso
l orizzonte il mare appare più vicino al cielo dove il verde e il blu rendono
vita ai nostri nuovi sogni una citta che possa definirsi tale non può che
essere opera di una collettività per la collettivita. il continuare a costruire
senza tenere in alcuna considerazione essenziali necessita sociali e culturali
determina disagio crescente. la mancanza più negativa e’ quella di non avere un
“core” che fa di una comunità una comunità e non un semplice aggregato di
individui, per contrastare il segno negativo che imprime alla collettività una
direzione centrifuga, riducendola ad un insieme privo di coesione e unita. non
più insieme ma l uno accanto all altro. il centro della citta crogiolo caotico
di cartelli manifesti pubblicitari automobili parcheggiate i manifesti affissi
dappertutto senza criterio: le auto in sosta sui passi carrabili nei cortili
sulle aiuole in doppia fila. il cammino del pedone sbarrato persino sui
marciapiedi da moto motorini. bisognerebbe riportare urgentemente un ordine in
questo caos seguire esigenze e soluzioni per una citta moderna che permettano
al cittadino di essere un cittadino consapevole nella sua citta.

la casa migliore e’ quella vuota

Josef albers(1888-1976) pragmatico austero elegante riuscì a trapiantare il
bauhaus in america portando il proprio credo riduttivo e pragmatista
applicandolo al lavoro, come a ogni singolo aspetto della vita quotidiana, dall
arredamento della casa alla scelta degli abiti da indossare. era convinto che il
vero ruolo dell arte fosse quello di rendere consapevoli. così insegnava ai suoi
studenti ad aprire gli occhi e riconoscere la vera natura dei materiali, le
relazioni tra forme e colori. diceva : l arte e’ ovunque! mantenete le vostre
case leggere, arredatele il meno possibile, vi renderanno liberi.

auroville

sud est dell india a sud di chennay, madras, febbraio 1968 si inaugura
auroville, citta sperimentale, estensione fisica del pensiero di sri aurobindo
illuminato guru dello yoga integrale. nella piazza principale sotto una grossa
pietra un gruppo di persone provenienti da diverse nazioni unirono una manciata
della loro terra di origine a significare l unione tra uomini e appartenenze. un
primo passo verso l’abolizione dei confini. una citta sperimentale dove il
profitto personale non era accettato e veniva promossa la decisione comunitaria
a tutti secondo i bisogni. in questa atmosfera non potevano che nascere
abitazioni altrettanto sperimentali che
esprimessero un progetto di futuro comunitario. fantasia allo stato puro, anche
un sogno realizzato. allora pareti circolari soffitti curvati travi di legno di
palma intonaci in terra e sabbia. nel tempo auroville ha richiamato schiere di
architetti artisti illuminati alla ricerca di sperimentazione urbanistica. la
spirale e’ la forma della citta’ archetipo di energia che si dipana dal
matrimandir , edificio creato per la meditazione al centro del villaggio. al
suo interno vi e’ una grande palla di cristallo centro della spirale occhio
rivolto verso il cosmo cattura i raggi di luce. la vegetazione e’ fonte di
continua rigenerazione spirituale e un ruscello rilassa la mente con il suo
suono rumore lo scopo e’di vivere in pace e ciascuno si assume le proprie
responsabilità per il bene del villaggio

dia.logos
visione d insieme come nodi e tessere che possono espandersi sul territorio in
un percorso di coinvolgimento e partecipazione della collettività, la
partecipazione non delega,
la decisione rimane nelle mani dei governanti eletti perdare le giuste direttive
piani strutturali quinquennali che portano ad azioni strategiche con verifiche a
lavori svolti.
verifiche per sicurezza sostenibilita partecipazione
beni comuni di cittadini e abitanti: acqua e rifiuti, energie rinnovabili,
scuole, solare diffuso, turismo consapevole

bene comune ragionevole follia

laboratorio urbano aperto, processi informativi, percorsi partecipativi per
appartenenze innovative ed evolutive

zero cemento!
stop al consumo di territorio

autodeterminazione delle comunità resistenti disseminazione attraverso percorso
di conoscenza e diffusione dei valori territoriali locali
mappe della quotidianità frutto del percorso di riflessione svolto dai ragazzi
delle scuole
i giovani cittadini interpretano e amano il territorio locale

borgo slow citta fast anche se unita di misura che collega borgo e citta e’ il
livello dei consumi spesso più
alto nei borghi perché gli abitanti si spostano ogni giorno in macchina per
raggiungere i luoghi della vita sociale, con consumo di energia tempo e
territorio. nello spostamento, se occorre un ora per andare un ora per tornare,
sono due ore al giorno, 24 ore ogni dodici giorni, un mese all anno trascorso in
macchina, in una famiglia di 4 persone, sono 4 mesi l anno, sprecati per
cosiddire del proprio tempo, solo per spostarsi, tempo trascorso in macchina o
sui mezzi pubblici. spesso nei borghi non ci sono isole pedonali e le auto
girano dovunque e le strade strette senza marciapiedi mettono a rischio
lincolumità di chi sceglie di muoversi a piedi.

criticita
agricoltura tradizionale abbandonata
architettura rurale quasi perduta
vegetazione antropica e migrante senza controllo muretti a secco sgretolati
senza manutenzione consumi uguali a quelli della citta se non superiori
ingredienti del cibo anche nella cucina tradizionale provengono dalla grossa
distribuzione industriale

nel sole di settembre
una nuova meridionalista
nelle terre di ferdinando

Ferdinando Renzetti

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