Avremmo a che fare con la paura di essere trucidati in qualunque momento da qualche cosiddetto terrorista, grossolanamente rappresentato in qualche vignetta da un mujahiddin tajiko (1), se non avessimo sfruttato le terre dei suoi avi, se non li avessimo resi schiavi, se non avessimo praticato su di loro il diritto di vita e di morte, se non avessimo provato a tenerli a bada con embarghi, signoraggio e interessi bancari, se avessimo rinunciato alla loro condiscendenza soltanto perché avevano ciò che ci serviva, se avessimo preso coscienza di cosa significhi occupare territori e utilizzarli come fossero nostri, come fece il colonialismo, se riconoscessimo cosa possa aver significato averli invasi con lingua, usi e costumi importati e imposti, se volessimo riconoscere la portata dell’annichilimento delle tradizioni locali, dello sfruttamento della società, anche schiavistico, per l’arricchimento personale, per l’invadenza di merci e mercati che ne hanno condizionato e controllato l’economia, per la cultura locale fagocitata dalla comunicazione globale, se non li minacciassimo permanentemente con le armi e altri mezzi, se avessimo le consapevolezze che la nostra biografia non è la sola, vera e unica biografia umana, se avessimo anche quella che è così anche per l’etica, le abitudini, le verità, se cioè fossimo in grado di accettare che altre forme sociali non fondate sui diritti umani possano e debbano poter esistere, se ci fosse chiaro che essere passati dall’illuminismo ci ha portati a dimenticare dimensioni umane che altri non hanno dimenticato, se avessimo preso coscienza che l’esportazione della democrazia è vignetta ben più drammatica e provocante di quella con il capello tajiko, se gli avessimo lanciato qualche messaggio di assunzione di responsabilità (papa san Wojtyla a parte) per ciò che abbiamo compiuto nel passato, se su quella imperterrita volontà di dominio e dichiarato senso di superiorità avessimo accennato ad un mea culpa, se invece di considerarli inferiori li considerassimo alla pari, se ci fossimo chiesti che considerare inferiori l’altro comporta la legittimazione di chi a sua volta percorre la stessa sopraffacente traccia, questa volta contro noi?
Vorrebbero questi signori agire per conquistare il mondo se godessero del nostro rispetto? Compirebbero efferate gesta se avessero gli eserciti e la forza subdola dei servizi segreti, nonché denari per corrompere e tecnologia per controllare e agire, come invece abbiamo avuto ed ampiamente e deliberamente impiegato noi per dominarlo davvero questo mondo? Per averne il mercato, per allargare la forbice tra miserabili e oligarchie finanziarie?
In tutto lo sgomento, legittimo, doveroso, necessario, di tanta intelligencijia convocata ad esprimere la propria opinione sentita in tutte le emittenti da ieri dopo i fatti di Parigi (2), non ho sentito alcuna battuta dedicata alle origini della storia. Nessuna battuta seria che implicasse l’assunzione di respon- sabilità e quindi l’apertura verso la sola linea di pacificazione possibile.
A parte lo sgomento umano per il quale anche io sono Charlie, si è assistito alla ripetizioni della ricetta utile alla frittata finale. Perché chi ha fede non si cura di sé come è invece tipico del soldato occidentale. Chi ha fede vive oltre la storia, non si cruccia della sofferenza né del progresso. Questi sono argomenti di chi l’ha persa, la fede. Noi combattiamo strenuamente contro la morte fino a proibirne l’eutanasia, contro la vecchiaia fino alle mostruosità della chirurgia e della clonazione. È solo alla nostra parte del mondo che interessa identificarsi con il progresso tecnologico, convinto che avere e potere di più sia la via della soddisfazione e della libertà.
Non c’è paragone tra le forze che le parti possono esprimere. O li annientiamo o il loro cuore sparpagliato nei corpi musulmani del mondo sarà sempre più forte di qualunque ufficio dal quale controllare droni-bombardieri. Torneranno negli uffici, uccideranno ancora, avranno il massimo dell’audience mondiale e soprattutto, non si fermeranno. Non lo faranno perché non hanno un comandante con il quale noi cercheremmo di scendere a patti, disponibile a laute corruzioni. Hanno se stessi e in se stessi la loro fede. Loro non ripetono e perpetrano la parola del profeta, loro sono la parola del profeta. E una parola è vero, che non dice di uccidere, ma dice la verità che quei corpi coraggiosi con- dividono integralisticamente. Quella verità che i valori occidentali stanno mietendo come mondine a settembre. La contaminazione opulenta di quei valori sta corrompendo e inficiando la loro umma (3) identitaria. È per loro quindi una questione di sopravvivenza. E come tutti noi reagiscono con i mezzi che hanno.
Così, come la nostra medicina cura gli effetti ma non è capace di riconoscere le cause, così come vede la malattia ma non il malato, anche in faccende di politica internazionale la nostra visione è analitica, pungente, parcellizzante, apparentemente acuta, sostanzialmente di ottusa arroganza, sostanzialmente lontana dall’angolo circolare dove risiede il Tutto. E via con la bomba atomica... che lanciata da noi, è giusta.
vedi anche: http://www.massimofini.it/articoli/blog
- Noi bombardiamo. Loro esportano guerra
- Perché non avrei allegato Charlie Hebdo al Fatto
Lorenzo Merlo
xex@victoryproject.net
1 Vedi ad esempio la vignetta di Stephane Charbonnier, direttore del settimanale satirico Charlie Hebdo al momento dei fatti. Ancora più grossolana e fuorviante la didascalia dove si richiama impropriamente un “talebano armato”. I talebani, prevalentemente pashtun, ormai in grande misura non più afghani ma pakistani, non si identificano con il cappello tajiko e soprattutto non hanno mai, con una sola eccezione, compiuto azioni terroristiche internazionali.
2 A Parigi, la mattina del 7 gennaio 2015, tre persone armate irrompono nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo urlando Allahu akbar [Dio è il più grande, nda]. Uccidono 10 tra redattori, vignettisti, direttore e due poliziotti, di cui uno finito da vicino dopo averlo ferito. Cinque i feriti.
3 Comunità, in questo caso, musulmana. he fare con la paura di essere trucida
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