Il
pendolo dell’amore
Mi
ha sempre colpito una frase attribuita a Simone Weil che ho letto per
la prima volta su un foglietto affisso alla porta della cucina nella
casa di un amico. La grande scrittrice e filosofa francese scriveva:
“L’amore è un esercizio di attenzione e di distacco”. Tutte le
volte che mi soffermo a riflettere su questa frase, il mio pensiero
comincia a lavorare alacremente offrendomi nuovi spunti e ambiti di
riflessione. Rappresenta per me un continuo stimolo. A dir la verità,
non amo parlare dell’amore, tanto meno scrivere. Rare sono state le
volte che ho scritto qualcosa sull’amore: qualche poesia giovanile
e negli ultimi anni alcune riflessioni. Per una sorta di pudore
preferisco osservarlo stupendomi dell’incredibile diversità con
cui viene vissuto.
L’amore,
una parola fin troppo abusata, non di rado, è stato banalizzato e
mercificato, ridotto a melensa superficiale, a sentimento da
ostentare. La riflessione su di lui accompagna da sempre la storia
dell’umanità - non potrebbe essere altrimenti - ma il suo vero
banco di prova, è l’esercizio, le sue infinite modalità, con cui
esso si manifesta e si concretizza, dando luogo ad una molteplicità
di implicazioni e relazioni altrettanto infinite.
E
come in tutte le cose sotto questo cielo, non basta essere animati da
buone intenzioni, o saperle abilmente comunicare, ma c’è sempre
bisogno, nei limite del possibile, di atti concreti. Perché anche e
soprattutto l’amore non può restare un’icona, confinata nei
cieli dell’utopia e ostaggio di un’ideale vagheggiato che forse
ci commuove, ma resta sterile. Egli non può rimanere inerte perché
la sua azione è capace di trasformare continuamente l’esistente. A
volte in modo rapido e impetuoso, altre volte più lentamente e in
silenzio. Comprendere la portata di questa forza primigenia e
creatrice sarebbe impresa ardua, quasi impossibile.
Un
limite oggettivo alla comprensione che dovrebbe suggerire all’uomo
l’assunzione di un atteggiamento improntato all’umiltà perché
l’amore, non lasciandosi possedere, è sempre oltre il nostro
orizzonte cognitivo. La sospensione del giudizio, non senza una
buona scorta di pazienza, è indispensabile se si vuole osservare
meglio le sue dinamiche e al limite disporsi ad accoglierlo per
lasciarsi attraversare dalla sua energia vitale. Ma la sua intima
essenza non è nella nostra disponibilità, non sappiamo né come, né
quando, né dove nasce. Come un fiume carsico affiora nella nostra
vita all’improvviso e altrettanto repentinamente si nasconde. Resta
un mistero.
Tuttavia
non possiamo esimerci dall’onere e dalla responsabilità che
comporta la sua comprensione, seppur parziale, e vestire i necessari
panni della temperanza, inclini come siamo a formulare giudizi e a
sentenziare in modo frettoloso e presuntuoso.
L’esperienza
dell’amore appartiene a tutti. Non c’è vita, per quanto
malvagia, che non contenga un briciolo d’amore e, al contrario, non
c’è esperienza, per quanto intrisa di bene, che non contenga
l’ombra del male. Siamo umani!
Sull’arte
di amare, donne e uomini hanno saputo donare all’umanità
insegnamenti preziosi e illuminanti, direi sublimi. Un patrimonio
inestimabile, dalla letteratura, alla poesia, all’arte…, ci è
stato consegnato. Saperlo custodire e tramandare è anche la forma
più alta e coerente di gratitudine verso chi ha contribuito ad
accumularlo.
Ritornando
all’aforisma di Simone Weil, esso prefigura un movimento che, come
in un pendolo, oscilla tra l’attenzione e il distacco. Pur
rendendosi disponibile al cambiamento, l’animo umano dovrebbe
restare fisso al suo perno, ancorarsi al centro di se stesso, e non
confondersi con il suo moto oscillante. Un oggettivo esercizio, la
cui misura, però, non può che essere soggettiva. Non ci può essere
distacco se prima non ti sei “avvicinato” al punto da cui poi ti
devi “ritrarre”. Non c’è amore se prima non c’è attenzione.
Un richiamo che ci spinge ad aguzzare lo sguardo per osservare meglio
i suoi percorsi.
Una
presenza vigile che non si deve lasciar distrarre dalle sirene di
turno, dalle mode e da tutto ciò che tenta di alterare la percezione
del reale e sappia, al tempo stesso, mirare all’essenziale,
distinguendo il necessario dal superfluo. Ciò che fa bene all’amore
e lo vivifica, da ciò che lo illude e lo avvelena. Ma in questo
avvicinamento verso l’amore, che funge da magnete attraente, c’è
una soglia che è bene non oltrepassare. Quale? Difficile stabilirla!
Il
rischio che si corre è che l’uomo potrebbe confondersi con esso.
Non più strumento o servo inutile, direbbe qualcuno, ma autore e
fonte dell’amore fino ad identificarsi. Un attaccamento, quasi
morboso, che condizionerebbe negativamente l’amore impedendogli di
fluire liberamente.
Si
può essere travolti da questa forza, specie quando diventa passione
o si fa talmente oblativa fino a dimenticare il diritto – dovere di
amare se stessi. L’attrazione verso l’amore, se non è
accompagnata dalla saggezza, si potrebbe trasformare in eccesso di
zelo, addirittura in fanatismo!
Forse
anche per queste ragioni, la Weil suggeriva, oltre all’attenzione,
un sano distacco. Un allentamento della tensione tanto più urgente
quanto più necessario per recuperare quella dimensione tale che
permetta all’uomo di trasformare il suo atteggiamento verso l’amore
e di dilatare la sua comprensione.
Quando
il distacco non è sinonimo di disimpegno o peggio di fuga, potrebbe
favorire e apportare all’amore quell’intelligenza che gli manca
quando a guidarlo sono solo le sue emozioni, spesso fugaci. Da una
certa prospettiva alcune cose si vedono meglio, altre no. Un distacco
che potrebbe generare serenità ed equilibrio, indispensabili
all’amore quando è sottoposto a prove difficili.
Ma
anche il distacco non è immune da rischi, soprattutto se avviene a
scapito dell’attenzione perché potrebbe favorire un sentimento di
lenta estraniazione. Il passo verso l’indifferenza è breve. Mi
verrebbe da dire: “Possiamo anche distaccarci dall’amore per
evitare che il suo fuoco ci divori e ci consumi in modo irreparabile,
ma si badi a non perderlo mai di vista, sempre pronti ad
riaccoglierlo e a lasciarci ispirare dalla sua azione generatrice”.
L’amore
si collocherebbe in questa creativa dialettica, in questa
entusiasmante ginnastica, che Simone Weil chiamava esercizio, non
privo di rischi, in cui l’ attenzione e il distacco non vengono mai
meno. Dovrebbero convivere in equilibrio, perché se nella vicinanza
si possono scorgere meglio i dettagli, solo da lontano si potrebbero
cogliere l’ampiezza e il contesto dove esso si dispiega. E’ forse
sta proprio in questo itinerario la ricerca del giusto atteggiamento
che permette all’amore, che sgorga nell’animo dell’uomo, in
modo sempre imprevedibile, di generare i suoi frutti maturi.
Michele Meomartino
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