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lunedì 24 marzo 2014

Fermo - In scena al Teatro dell'Aquila Operette Morali di Giacomo Leopardi - Recensione


Fondazione del Teatro Stabile di Torino
Operette Morali di Giacomo Leopardi
adattamento e regia di Mario Martone
Fermo  - Teatro dell'Aquila  18 / 19 marzo 2014  h 21


Mortali, destatevi. Non siete ancora liberi dalla vita.
(G.Leopardi, "Cantico del Gallo Silvestre")

Visualizzazione di Immagine 128.jpg

      Sul palco, davanti al sipario chiuso, una sedia vuota e un
coccodrillo acquattato: aria più sorniona che truce, come si conviene
a un lucertolone di plastica, senza spargimento di sangue tornerà
dietro le quinte a missione compiuta.

     Inganniamo l'attesa compilando diligenti il questionario
consegnatoci all'ingresso (tra i desiderata indichiamo di getto -
sommersi da cappotti e sciarpe - "attivare il servizio guardaroba" e
"più puntualità"); invano, perché non vedremo qualcosa o qualcuno che
li raccolga all'uscita. Di sicuro siamo noi a non aver trovato, siamo
anzianotti. Pazienza.

     Intrigante l'dea di una trasposizione drammaturgica delle
Operette Morali, operazione a cui il corpus parrebbe prestarsi in
virtù della struttura variegata, della pluralità dei registri, la cui
organicità risiede nel fine che è quello di irridere alle
mistificazioni antropocentriche, respingere "ogni illusione
riparatoria rispetto all'infelicità dei mortali" (che sia il mito del
progresso o la prospettiva religiosa), accogliere senza infingimenti
la tragica umana consapevolezza del vero.

      E tuttavia sarà un crescente senso di delusione a insinuarsi col
procedere dello spettacolo e a fissarsi come l'impronta più netta
della serata. Indubbia la fedeltà ai testi e sicuro il professionismo
degli interpreti, ma la complessità argomentativa e i registri
stilistici che dei Dialoghi compongono la poderosa struttura
scoloriscono appiattendosi nella trasposizione scenica e molto si
perde del registro lirico e del potente afflato tragico che permeano
l'opera.

    Se il comico è funzionale nei Dialoghi alla rappresentazione del
tragico, e l'ironia prevale anche nel dipanarsi di temi filosofici
dolorosi e terribili, chi abbia amato - fra gli altri - il "Dialogo di
Federico Ruysch e delle sue mummie", troverà imperdonabile l'averlo
reso una sorta di happening di zombies dalla faccia verdastra;
imperdonabile che del "Coro dei morti", stanza di canzone che apre il
Dialogo, si perdano la tragica potenza - Che fummo? Che fu quel punto
acerbo che di vita ebbe nome? - e la limpida intenzione filosofica nei
versi poco distinguibili cantati dal Coro dietro il sipario chiuso
(pur se di qualche suggestione emotiva).

   Complici sono forse le scene poco efficaci (benché di Mimmo
Paladino) unite a non indovinati espedienti (un po' da recita
scolastica): i globi luminosi in testa alle personificazioni della
Terra e della Luna nel Dialogo omonimo; il testone di gallinaceo di
modello carro-viareggino per il Cantico del Gallo Silvestre; il
pupazzone con nicchia su cui, nel Dialogo della Natura e di un
Islandese è poco ieraticamente appollaiata la Natura stessa coi piedi
penzoloni: resta poco del respiro tragico con cui quella "forma
smisurata di donna [...] di volto mezzo tra bello e terribile" afferma
le leggi di un inesorabile materialismo ("Tu mostri non aver posto
mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di
produzione e distruzione"), la propria totale indifferenza alle sorti
umane e la marginalità dell'uomo nell'universo ("...Se anche mi
avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne
avvedrei") e lascia irrisolte le disperate domande di senso
dell'Islandese.

Ed è un peccato che proprio il personaggio Leopardi/Tristano del
"Dialogo di Tristano e di un Amico", con la sua sfida all'ottimismo
del secolo, sia quello più in ombra di tutti.

      Ci sono eccezioni. La "Storia del genere umano", efficacemente
trasferita dal narratore esterno a un canuto severo Giove narrante,
mantiene integra la dimensione mitica e allegorica entro la quale si
dispiegano le vicende di una umanità tragicamente destinata alla più
completa e consapevole infelicità. Il "Dialogo di Plotino e di
Porfirio" conserva il tono dolente e pensoso del confronto fra i due
neoplatonici, che alla rivendicazione del suicidio da parte di
Porfirio come rimedio alla condizione esistenziale - "contro natura"
perché votata all'infelicità - oppone con Plotino/Leopardi una morale
che da filosofica si fa sociale e solidaristica ("Viviamo, Porfirio
mio, e confortiamoci insieme") anticipando l'altissimo tema civile
della "Ginestra". Nel Cantico del Gallo Silvestre, neppure la
viareggina testa di pennuto riesce ad oscurare la desolata visione di
un universo proiettato verso il nulla, quando "un silenzio nudo, e una
quiete altissima empieranno lo spazio immenso".

      Improbabile, insomma, che il Leopardi di questa sera abbia
innamorato di sè lo studente avventuratosi in teatro dietro minaccia
del prof... Se aggiungiamo Dustin Hoffman, milionario piazzista della
Regione Marche per interposto Leopardi, cominciamo a capire perché sul
recanatese Colle dell'Infinito stiano per schiaffarci un Bed & Breackfast.

Sara Di Giuseppe

faxivostri.wordpress.com

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