STOMP
Teatro dell’Aquila – Fermo
24 aprile 2018 h21
La musica del quotidiano
Un pubblico vivace come non t’aspetti - perché abbondantemente adulto, non giovanissimo - gremisce e fa venir giù dall’entusiasmo il bel teatro, negli applausi finali. E durante lo spettacolo asseconda con divertita complicità e discreto senso ritmico la straordinaria comunicativa degli interpreti.
Della compagnia - Stomp - che con ovvi ricambi si esibisce in tutto il mondo dall’inizio del secolo scorso - nascita a Brighton, Inghilterra, e lancio a Broadway - tutto il dicibile è stato detto, evidenziati e studiati tutti i richiami - colti e folclorici, contemporanei e vintage, esotici e metropolitani – sottesi alle creazioni del gruppo: le reminiscenze flamenche (del “tablao flamenco”) e della clog dance forse olandese che si fa con zoccoli di legno; le allusioni a Fred Astaire e al tip-tap statunitense; i ritmi tribali e le danze afro; le citazioni dalla Pop Art di Deschamps; e poi gli scampoli di circo, di hip hop, break-dance, heavy metal, lotta giapponese kendo, e chi più ne ha…
Forse troppo, e si fa torto allo spettacolo, la cui cifra è piuttosto l’assoluta originalità: competenza musicale tradotta in sapiente “drammaturgia del suono”; geometrica distribuzione dei ruoli e rigorosa sincronia nell’apparente caos; perfetta coordinazione e preparazione atletica; audacia acrobatica e fantasia; il tutto coagulato nella prorompente presenza scenica degli interpreti, capaci di creare senza dialoghi né battute personaggi dall’umorismo incontenibile del cinema muto.
Soprattutto, ogni cosa è comunicazione sonora qui, dove la creazione musicale nasce da materiali e oggetti tra i più diversi e imprevedibili ma legati da
un tratto comune: l’appartenenza al quotidiano, al ritmo martellante del nostro presente, quello domestico e quello urbano, quello delle periferie industriali e delle riciclerie, del nostro compulsivo consumo e del nostro spreco.
Così bidoni e barattoli, scope e tubi d'aspirapolvere, carrelli di supermarket, pentole e coperchi, lavelli da cucina e guanti di gomma, scatole di fiammiferi e accendini, gomme di camion e altro creano quella che qualcuno ha chiamato “una maestosa sinfonia urbana”; e gli oggetti vivono per due ore un proprio sogno musicale, poetico a suo modo, che nella possibilità di creare suono, ritmo, quindi musica, li riscatta dal grigiore, dalla bruttezza accettata e ovvia dell’utensile casalingo, dello scarto industriale, del materiale da discarica. Per un tempo breve tutti loro saranno, come nella favola, la zucca e i topini trasformati dalla fata madrina - qui, gli otto atletici energumeni in sdrucite vesti da lavoro - nella principesca carrozza per il ballo a corte.
E il corpo anch’esso, diviene strumento: mani che battono, piedi che coi pesanti anfibi percuotono il pavimento (lo “stomp”, appunto) creano il ritmo e generano la “musica”, e il richiamo al flamenco è nel suono che si fa dialogo e rimando continuo fra gli interpreti e nel movimento che lo accompagna con intensa fisicità.
Sull’enorme pannello metallico che invade il fondale i musicisti-mimi-danzatori- acrobati-eccetera, inerpicati e imbracati con cinghie, “suonano” - come su un’incredibile batteria/vibrafono - pentole e coperchi, tubi e secchielli, cerchioni e segnali stradali. Enormi bidoni metallici creano il finale in un crescendo percussivo tra l’orgiastico e il tribale, il suono penetra in ogni fibra del corpo, scuote come corrente elettrica, nessuno di quegli oggetti è più utensile o materiale urbano, tutto è suono, ritmo, corporeità prorompente e dionisiaca. Controindicato agli emicranici.
Da scommetterci, che una volta a casa metà almeno di noi spettatori ha provato a suonare una pentola o una sedia, o il tubo dell’insospettabile aspirapolvere…
Nessun commento:
Posta un commento