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sabato 20 gennaio 2018

Grottammare Paese Alto - Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche - Recensione

Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche
di e con Vincenzo Di Bonaventura
e con Simone Cameli

Associazione Culturale Blow Up
Ospitale delle Associazioni -  Grottammare Paese Alto  -  16 gennaio 2018  h21.15

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        Sono il suo magister vagans, dice Di Bonaventura nel presentare Simone Cameli, il valido partner di questa sera, attor giovane “nato con il teatro”. Un po’ come lui, Vincenzo, cresciuto alla scuola della mitica famiglia dei Carrara di Vicenza i quali - racconta  - lavoravano sulla Commedia dell’Arte e la cui matriarca dalla taglia poderosa, Argia Laurini, interpretava con magnificenza solo ruoli maschili.

        Viaggia intorno al grande Fritz, per gli amici Nietzsche, lo spettacolo del nostro attore oggi non-solista: recital che è anche fiesta, condivisione, cunto - dice - preparato in 4 ore (!) e ora è qui, tutto a memoria…
E come sempre ti stravolge, puoi aver fatto i compiti a casa piuttosto bene ma sempre hai davanti qualcosa che è nuovo, che incontri per la prima volta anche se è la millesima.

        E’ dialogo fra i due attori, il percorso nel visionario filosofare del Nietzsche de La Gaia Scienza e dello Zarathustra, frutto ambedue di magico equilibrio fra i poli di euforia e depressione, “oscillazioni del pendolo della pazzia che si era già messo in moto e non si sarebbe più fermato” (Sossio Giametta).

        I toni sapienti, ironici, lirici, appassionati degli Aforismi, il parlare ispirato, altissimo, poetico e profetico di Zarathustra, rimbalzano da una voce all’altra in una folgorante tensione argomentativa che non dà tregua, e l’italiano è non meno potente dell’originale tedesco, un “tedesco spumeggiante” nella definizione di Rolf Hochhut.

        Universo, ebraismo, cristianesimo: momenti centrali di una riflessione che dalla certezza della “morte di Dio” cerca per l’umanità un mondo nuovo, finalmente liberato dagli errori di cui è permeato tutto il pensiero occidentale e cristiano.

        L’Uomo folle de La Gaia Scienza annuncia e grida la morte di Dio, siamo stati noi a ucciderlo. Anche Zarathustra, separandosi dal vecchio eremita incontrato nella foresta, quando fu solo disse al suo cuore: è possibile? Questo santo vecchio nella sua foresta non ha ancora udito che Dio è morto!

        Gott ist tot è il problema schiacciante: il Dio che è morto non è il dio della Bibbia, è l’intero pensiero occidentale e con esso il pensiero cristiano presente in ogni cosa - nella metafisica, nella religione, nella filosofia, nella scienza, nella morale, nella politica, nell’arte - con la sua tendenza a comprendere le cose a partire da un unico principio.

        Ma gli uomini non capiscono, essendo quella di Dio la perdita di ciò che maggiormente dava protezione (così come ogni senso univoco dell’esistenza): è la tragedia dell’umanità, cui occorreranno millenni per capire e vincere anche la sua ombra (…Ci saranno ancora per millenni caverne in cui si mostrerà la sua ombra). E  l’“uomo folle”, conscio della sua solitudine, non può che essere il filosofo del domani: Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo.

       Tuttavia la perdita è anche occasione di leggerezza, e rende possibile la creazione di un nuovo ordine a misura d’uomo. A patto di muovere da un’altra tragedia: dalla consapevolezza del caos come “carattere complessivo del mondo”, in cui i “colpi mancanti sono di gran lunga la regola” (già Lucrezio gridava “il mondo non è fatto per l’uomo!”); e dalla rinuncia a pensare l’universo come essere vivente, come organismo o come macchina costruita per un fine.
Nascono da qui tutti gli errori fondamentali incorporati nei tempi più antichi. “Quando avremo sdivinizzato del tutto la natura?” si chiede il filosofo.

        Occorre dunque correggere le tavole dei valori. La “fosca e sublime nuvola di Jehova adirato”, l’invenzione del peccato nell’ebraismo e nei cristiani, che conoscono delle passioni “solo la parte deformante e straziante” e vedono nel divino la completa purificazione da esse: tutto ciò ha allontanato gli uomini dal “colore delle passioni” verso le quali i Greci rivolgevano invece “la loro spinta ideale amandole, elevandole, divinizzandole” e sentendosi nella passione, manifestamente, “non soltanto più felici ma anche più puri e più divini che altrimenti”.
        Per noi la vita - dice il filosofo - è un pericolo più grande: noi siamo di vetro, guai se ci urtiamo, e tutto è perduto se cadiamo.
               
        Ma Zarathustra ha “piedi leggeri”, è il filosofo che sa danzare (Adesso sono leggero, adesso volo, adesso guardo al di sotto di me, adesso un dio danza in me. Così parlò Zarathustra.) e dal  disinganno delle fedi e delle menzogne di vari millenni, dalla trasvalutazione di tutti i valori può nascere non disperazione ma nuova ansia di vita che ci innalza.
    
        “Le tre metamorfosi” dello spirito – dal cammello al leone al fanciullo – nei discorsi del saggio disceso fra gli uomini sono metafora e sintesi della sua morale: per innalzarsi alla saggezza suprema, lo spirito è prima Cammello (assoggettato ai carichi più pesanti; è il “Tu devi” della fede cristiana), per divenire poi Leone (e, coraggioso come quello, capace di rivoltarsi contro i principi stabiliti e le leggi); in ultimo, Fanciullo: che è “innocenza e oblio” e dal quale  può nascere “un nuovo cominciamento e un nuovo gioco”.

        La sentenza finale (la ”sentenza granitica”) affidata al potente aforisma “Qual è il suggello della raggiunta libertà? Non vergognarsi più davanti a se stessi” condensa il messaggio moralistico e laico che attraversa tutto il pensiero nietzschiano.

       La nobiltà della sua ricerca morale riconosciuta fin da pensatori molto lontani da lui (come il Croce) è nella tensione ad esplorare, riscattandola, la natura umana anche nelle sue parti costitutive fino a quel momento negate o nascoste.

        E’ ansia di verità, destinata a scardinare tutto ciò in cui si è erroneamente creduto: Rovesciare gli idoli - così io chiamo gli ideali - ecco il mio compito  su una terra che fra un paio d’anni ”sarà messa in subbuglio”, come scriverà poco più tardi in Ecce Homo, quasi a profeticamente anticipare la catastrofe del 1914.

        Ma lui, che morì pazzo e finalmente celebre a chiusura di un’esistenza che fu “tragedia vera e commovente” (Ferraris), nel suo visionarismo apocalittico non immaginò le manipolazioni ideologiche del suo pensiero altissimo, né che “uomini votati al male e imbestiati” (Giametta) potessero biecamente servirsi delle sue teorie.

        Né ascoltò l’omaggio postumo dello straussiano Also sprach Zarathustra Op.30; nè il dannunziano Per la morte di un distruttore” a lui dedicato nel potente Secondo Libro delle Laudi; né quell’Ode to Nietzsche improvvisata da Jim Morrison nel ’68, prima di un concerto a Saratoga contea di NY.



O miei fratelli, non v’invito all’amore del prossimo: v’invito all’amore di chi è più lontano.
Così parlò Zarathustra”.

 Sara Di Giuseppe                                  faxivostri.wordpress.com

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