Proprio in questi giorni, 45 anni fa, per la precisione il 19 ottobre 1968, moriva Aldo Capitini, un nonviolento aperto, libero, religioso.
L’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre
piacevolmente stupito il contrasto fra quell’aria austera dietro gli
occhiali spessi e il suo indomabile spirito giovanile, aperto e
innovativo, in perenne ricerca. Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968.
Noi ultra cinquantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora
troppo piccoli. Di lui abbiamo sentito parlare solo qualche anno più
tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della legge 772, delle prime
esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati
i pionieri ma che qualche decennio prima di noi un professore
antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le
Marce per la pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo
sociale e politico, e leggere «Teoria della nonviolenza» o «Le tecniche
della nonviolenza» ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della
nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più
in là. Molti nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la
guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati
al fucile spezzato che spuntava dalle pagine della rivista «Azione
nonviolenta». Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di
cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra ma ci allontanava
quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma
necessaria”, altre volte “levatrice della storia”.
Mao Valpiana
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