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martedì 24 gennaio 2012

Hinglish.

Dal corrispondente di Viverealtrimenti, Oscar Salvador

La lunga colonizzazione inglese in India, di cui si è discusso in alcuni video-post precedenti, introdusse nel subcontinente indiano numerose innovazioni, sia tecniche, che culturali. Sebbene questo non sia avvenuto per scopi umanitari, bensì per egoistici fini economici e pratici, bisogna notare come, al giorno d’oggi, alcune di quelle novità si stiano rivelando particolarmente utili per gli indiani.Per quanto riguarda la costruzione di infrastrutture, quali palazzi, strade, ferrovie, fabbriche, ciò era preventivabile, ma sicuramente in pochi, fino a solo circa 20-30 anni fa, potevano immaginare i benefici derivanti dalla diffusione della lingua inglese. Diventata ormai a pieno titolo l’utilissima lingua franca internazionale, il fatto che gli indiani ne abbiano familiarità è sicuramente uno dei rari vantaggi che l’India possiede; ad esempio, è uno dei motivi principali per cui gli indiani in genere dimostrano una particolare propensione verso i computer, nei quali vengono sempre più spesso utilizzate terminologie inglesi. Ma un utilizzo ancora più importante è quello che viene fatto, quotidianamente, come lingua franca all’interno dell’India stessa. Oltre ad essere una delle due lingue ufficiali dello stato indiano, insieme all’hindi, nonché la lingua della giurisprudenza, serve infatti anche per permettere agli indiani di madrelingua differente di comunicare tra loro. Com’è noto, una caratteristica dell’India è l’elevato numero di lingue e dialetti parlati localmente, tanto che la Costituzione al momento riconosce ufficialmente circa venti lingue, che hanno quindi valore legislativo negli stati di maggior diffusione. E nonostante tra molte di esse esistano relazioni e similitudini, le lingue indiane in realtà fanno parte di due famiglie distinte, l’indoeuropea al nord e la dravida al sud, e non hanno nessun punto in comune, a parte il retaggio culturale induista. Chiaramente l’inglese che viene parlato in India non è proprio quello di Cambridge, in particolare la pronuncia indiana è talmente peculiare che spesso perfino madrelingua inglesi fanno fatica a capire quello che dicono gli indiani, ma in generale tra le persone di una certa cultura, la conoscenza dell’inglese degli indiani è di gran lunga superiore a quella degli europei del sud (vedi Francia, Spagna e Italia). Addirittura sta ormai diventando la lingua scolastica dato il progressivo affermarsi, anzi, il definitivo successo, di scuole private dove l’insegnamento viene impartito in inglese già dai primi anni. Considerando però l’ancora altissimo tasso di analfabetizzazione (nonché che per essere considerati alfabetizzati basta sapere scrivere il proprio nome, o poco più), si potrebbe pensare che il fenomeno riguardi quindi solo le classi più abbienti, o le persone che ne hanno bisogno per il proprio lavoro, invece sembra affermarsi a tutti i livelli. Sia a causa di una specie di effetto “moda”, in quanto i giovani trovano sia molto “cool” parlare in inglese, ma soprattutto perché non è necessario saperlo perfettamente, ma è abbastanza comune l’inserire frasi, espressioni o anche solo parole inglesi, all’interno di dialoghi in lingue locali. In hindi oltretutto sono già numerosi i termini presi direttamente dall’inglese come retaggio della colonizzazione, a cui va aggiunto che alcune delle più comuni parole anglosassoni vengono spesso preferite per praticità a termini hindi: classico esempio la parola problem (bisillabica), che almeno colloquialmente ha soppiantato da tempo l’equivalente hindi, samasya (con ben 4 sillabe e una peculiare pronuncia del dittongo ya). Si è venuta quindi a creare una specie di idioma sincretico tra le due, chiamato giustamente hinglish, che si sta diffondendo sia tra gli indiani di lingua hindi che vogliono migliorare (e spesso “mostrare”) il loro inglese, ma anche da parte di indiani che sono nati, o vivono da tempo, all’estero, i quali, non avendo una gran dimestichezza con l’hindi, si aiutano con l’inglese. Sebbene questo fenomeno venga guardato con disgusto dai puristi di entrambe le lingue, c’è la possibilità non tanto remota che se il trend continua di questo passo, in futuro l’hinglish diventerà una lingua vera e propria. Uno dei requisiti principali perché una lingua sia riconosciuta come tale, è la presenza di una letteratura che la rappresenti, e se per l’hinglish al momento questo è appena agli inizi, bisogna notare come numerosi autori d’importanza internazionale, quali Shobhaa De e perfino Salman Rushdie, usino spesso questo nuovo idioma nelle loro opere. Oltre a questo si segnalano i già numerosi quotidiani che usano questo linguaggio, con i titoli degli articoli scritti sia in caratteri devnagari che romani e i testi hindi impregnati di termini inglesi, nonché l’ampissimo uso che se ne fa alla televisione (soprattutto nelle pubblicità) e nel popolarissimo cinema. In ogni caso, il fenomeno è destinato a crescere, almeno nell’immediato futuro, e nonostante il timore che questo possa portare a un’omogeizzazione culturale e ad una estinzione degli idiomi locali, le lingue più importanti dell’India sono ben lontane dallo scomparire: tra le prime dieci lingue più parlate al Mondo ben 3 provengono dal subcontinente indiano, l’hindi (terzo), il bengalese (sesto) e il Punjabi(decimo), che hanno bacini d’utenza superiori ai cento milioni di individui; mentre Marathi, Telugu e Tamil sono parlati pressapoco quanto l’Italiano, cioè da circa 60-70 milioni di persone. Aggiungendo a questo il costante aumento demografico indiano, si potrebbe quindi affermare che una maggior diffusione e l’eventuale riconoscimento dell’hinglish sarebbe comunque un fenomeno positivo e in notevole controtendenza, considerando la progressiva, deprecabile, ma inevitabile scomparsa, a livello mondiale, di antiche lingue e dialetti.

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