13 febbraio di 70 anni fa, Carnevale. Alle 22.08 l’allarme aereo interrompe i clown del Circo Sarassini nel carosello finale del martedì grasso e spinge gli abitanti di Dresda nei rifugi: compostamente, in fondo l’ultimo bombardamento risale a mesi prima, e non è stato granchè. D’altra parte, perché prendersela con la più bella città tedesca, colta luminosa città del mondo lontana dalla tenebra nazista…
14 febbraio 1945: dell’antica Dresda non esiste più nulla.
14 febbraio 2015, di nuovo Carnevale. Da Praga il treno per Dresda è lento, due ore di ovattato scivolare tra campi, villaggi, casette per vacanza sul fiume che ad Ústí nad Labem e Děčín è già Elba. E qualche fabbrica, certo. Cielo grigio e basso che si rompe via via, l’arrivo è un trasparente azzurro di vento gelido che spezza il respiro e piega le spalle. La luce inonda, dalla cupola in fibra di vetro e teflon, la Stazione Centrale, la magnifica Dresden Hauptbahnhof: funzionalità e gusto amalgamati dalla sapienza di chi ricostruisce dall’antico avendone fatto tesoro.
Sembrano freschi di fabbrica, i tram che scivolano rapidi e silenziosi; agili le bici dalle selle altissime, gente d’ogni età pedala nelle folate gelide, perfino senza berretto o guanti, e pensi ai nostri lungomari tiepidi anche d’inverno ma deserti di bici “perché fa freddo”…
E’ struggente questa città dilaniata e arsa e risorta: vi aleggiano le ombre dei bruciati, dei soffocati, dei volatilizzati dalla tempesta di fuoco, Feuersturm da 300-400 gradi centigradi al suolo; i turisti in falangi compatte dietro le guide si fanno riguardosi mentre percorrono gli itinerari canonici, costeggiano piano le architetture severe, tendono l’orecchio all’eco sommessa della tragedia remota.
Il sole discorre con le pietre scure, i massicci volumi barocchi si slanciano con leggerezza inattesa nello spazio dilatato delle piazze, si offrono alla vista dall’altra sponda dell’Elba lento e azzurro; il rigore teutonico si attenua nella luce romantica della Brühlsche Terrasse, nella colorata genialità dei giubbotti da lavoro arancio-fluo “indossati” dalle monumentali statue sulla cornice del Landtag; nel pannello sulla facciata dell’Accademia d’Arte Moderna col goethiano monito - di sconvolgente modernità - del West-östlicher Divan: “Il paese che non protegge gli stranieri, presto sprofonda”; nei versi dello schilleriano Die Künstler rivolti agli artisti: “La dignità dell’uomo è affidata alle vostre mani / serbatela! / Con voi essa affonda, con voi si eleverà!”, su un edificio in restauro; nell’incredibile mimo pietrificato (con cane finto) - come la sua sciarpa sollevata dal vento - nell’atto del camminare svelto.
Indicibile Dresda, violata a morte nel settimo anno di una guerra perduta, riedificata sulle proprie ceneri per essere monumento eterno all’umana mostruosa follia.
In treno verso Praga, confronti, sensazioni. Bellezza, armonia, magnificenza, quiete, si sono date appuntamento come fate benigne nelle due città vicine e diverse, cui la storia non ha fatto sconti.
A Dresda la severa, ci si accosta con reverenza, ombre antiche e recenti abitano le sue pietre, navigano il suo Elba carico di passato e di storie. Praga si illumina della sua incomparabile superba bellezza, dell’infinito merletto delle sue architetture, della Vltava che le scorre in grembo cantando il poema sinfonico di Smetana.
Dresda, mi dice Kristynka sorprendendomi, è i possenti massicci alpini incombenti della Valle d’Aosta; Praga, lo svettare aereo delle Dolomiti quando tramonti e albe le tingono di rosa.
Sara Di Giuseppe
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