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lunedì 17 febbraio 2014

Resistenza: Lettera aperta a Guido Viale

Lettera aperta a Guido Viale


I lavoratori e le masse popolari hanno bisogno che chi come te ha ascolto e influenza osi fare un passo avanti!

Caro Guido Viale,
da tempo seguiamo con attenzione e interesse i tuoi interventi (su il manifesto e altri canali di informazione e controinformazione che pubblicano normalmente i tuoi scritti) e l’attività che hai svolto (almeno fino a poco prima delle elezioni politiche del febbraio scorso) nell’ALBA.
I tuoi scritti sono sempre ricchi di proposte e progetti per rimettere in piedi l’economia reale, fanno vedere bene che è possibile rimetterla in piedi tutelando (e anzi allargando) l’occupazione, i diritti dei lavoratori e la loro sicurezza, difendendo il territorio e l’ambiente, rispondendo alle esigenze della collettività, valorizzando competenze e professionalità. Progetti e proposte che spaziano a 360 gradi: dalla mobilità sostenibile alle energie rinnovabili, dalla riconversione delle fabbriche dismesse o in via di dismissione ai servizi pubblici, dalla FIAT a Fincantieri, dalla spending review alla ri-territorializzazione dei processi economici, dalla finanziarizzazione ai modelli di consumo, dal sistema pensionistico all’autogestione delle aziende, dal recupero del patrimonio immobiliare al sistema degli incentivi pubblici.
Ogni volta indichi nella cittadinanza attiva, nei comitati, movimenti, associazioni, forum e reti, nei lavoratori, nelle amministrazioni locali i soggetti su cui si fonda la “fattibilità” di questi progetti e in generale di ogni programma per rimettere il nostro paese su una via di progresso.
Però ogni volta a questo punto ti fermi… e tutto resta come sospeso a mezz’aria. Facciamo un esempio. Di recente (il manifesto del 9.01.14) hai opposto alla spending review di Cottarelli, il neocommissario del governo Letta succeduto a Bondi (che nel frattempo è diventato amministratore delegato dell’Ilva e contemporaneamente commissario del governo all’Ilva!) una “spending review utile e popolare”. “(…)Se si vuole fare - e bisogna farla- una vera spending review che non si traduce in un ennesimo strangolamento dei servizi pubblici, non c’è altro modo di procedere che partire dal basso: in ogni ufficio, in ogni servizio, in ogni istituzione, in ogni reparto bisogna chiamare a raccolta i lavoratori (quelli che ci stanno: all’inizio forse pochi, ma destinati a crescere man mano che il processo va avanti) e fare in modo che si interroghino reciprocamente per individuare, da un lato, le operazioni inutili, gli sprechi e il malaffare che tutti conoscono, il personale superfluo; dall’altro, le carenze di organico, di professionalità, di formazione, di risorse, di strumenti, di prospettive di progressione di carriera. Poi questo confronto va esteso includendovi anche una consistente rappresentanza dell’utenza: che si tratti di sanità, di igiene urbana, di trasporto pubblico, di istruzione o di semplici pratiche amministrative (quelle che impegnano imprese e singoli con intere giornate di coda, con montagne di pratiche e di spese inutili, con caterve di personale addetto solo a tenervi dietro). Allora sì che i risultati comincerebbero a saltar fuori. (…) Già bravo, diranno in molti. Ma se pensi che i mandarini non collaboreranno con il commissario e, anzi, imbroglieranno le carte, perché mai non dovrebbero fare altrettanto anche i dipendenti pubblici in posizioni non apicali? Innanzitutto perché per loro non si tratterebbe di collaborare con un commissario che ha il solo obiettivo di tagliare loro l’erba sotto i piedi, ma di collaborare tra loro e con l’utenza per rendere il loro servizio più efficiente, ma anche il loro lavoro più soddisfacente e i loro rapporti reciproci e con il pubblico più trasparenti e meno competitivi (…)”. Non fa una grinza. Ma chi può dare il via a questa spending review dal basso? Tu stesso dici che non sono i commissari governativi alla Cottarelli e neanche i mandarini della Pubblica Amministrazione, che hanno ben altri obiettivi e interessi. Però, dirai tu, un qualunque dipendente pubblico che legge il tuo articolo e dice “caspita, ha ragione Viale, bisogna fare proprio cosìi” potrebbe mettersi insieme ad altri per iniziare… Certo, e qui sta l’utilità di quello che tu scrivi, però è chiaro che quella pattuglia di dipendenti pubblici coraggiosi si troverà davanti una marea di ostacoli, pressioni, minacce provenienti dall’alto, avrà da fare i conti con il lecchino del capo (qualcuno ce n’è sempre) e con chi si arrangia mettendo le mani sulle briciole dei mandarini, dovrà far fronte ai colleghi che gli fanno obiezioni di vario genere e tipo: “sarebbe bello, ma cosa possiamo fare noi piccolo Davide contro un grande Golia?”, “ma chi ve lo fa fare, si rischia il posto e con i tempi che corrono…”, “siete degli illusi, qui siamo in Italia ed è tutto un magna magna”, “ma se neanche i sindacati si muovono”, “ci sono tante altre cose che non vanno, anche più gravi”, “se lo facciamo solo noi è una goccia nell’immenso mare”, “sì, noi possiamo anche iniziare, ma poi?”… tutte obiezioni che hanno un fondamento reale. Insomma, quella pattuglia dovrebbe iniziare una lunga marcia in mari tempestosi, con i collegamenti tutti da costruire e senza neanche un’idea chiara della meta. Intendiamoci, è quello che fanno tanti operai e lavoratori, di partire e avanzare come tante pattuglie isolate l’una dall’altra, e in alcuni casi quelle pattuglie sono diventate negli anni un movimento forte e autorevole come in Val di Susa, non è che tutti partono da zero a organizzarsi, i social network offrono molte possibilità per unirsi e coordinarsi con altri... Ma la crisi si aggrava, le pretese dei Marchionne, dei Cottarelli e dei mercati finanziari crescono, “le politiche di risanamento”- come dici anche tu - “ hanno ridotto, oggi la Grecia e domani l’Italia, a una condizione peggiore di quella di un paese devastato dalla guerra”, i venti di guerra soffiano, la disperazione cresce e le Albe Dorate soffiano sul fuoco della guerra tra poveri…
Quella pattuglia sarebbe in una situazione ben diversa se tu insieme ad altri come te che hanno ascolto, seguito, influenza (e non occorre partire in tanti: l’importante è mettere in moto il processo) oltre a lanciare l’appello per una lista di sostegno a Tsipras alle elezioni europee, chiamaste i dipendenti pubblici e gli utenti a organizzarsi per fare la spending review dal basso partendo dai mandarini e non da chi si intasca le loro briciole; se Accorinti che è sindaco mobilitasse i dipendenti del comune di Messina e i comitati No Ponte a farla nonostante e contro regole buone solo a legare le mani e i risultati venissero resi pubblici; se chiamaste i sindaci arancioni (o giù di lì), quelli della Val di Susa, quelli virtuosi, ecc. a fare lo stesso e a usare i soldi bloccati dal Patto di Stabilità a favore dei cittadini e della collettività; se ci fosse un legal team che difende gratuitamente quei dipendenti pubblici che vengono denunciati per aver osato sfidare mandarini e commissari governativi; se Perino, che è stato condannato a pagare migliaia di euro, non pagasse e chiamasse pubblicamente a non pagare tutti quelli che sono stati condannati a multe, sanzioni pecuniarie e spese processuali per la loro attività sociale, sindacale, politica...
Un comitato promotore della crociata dei dipendenti pubblici e degli utenti di buona volontà? No, un comitato, un centro autorevole (noi lo chiamiamo Comitato di Salvezza Nazionale, altri hanno parlato di nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, ma il nome conta quel che conta) che promuove la formazione di organismi popolari a ogni livello e in ogni zona e sostiene l’azione di quelli che già esistono (pensa agli occupanti di case, agli operai che autogestiscono l’azienda, ai comitati ambientalisti, ai collettivi studenteschi, ai comitati di immigrati…) praticamente e politicamente, che chiama a disobbedire alle misure di questo governo illegale oltre che illegittimo e alle leggi che violano lo spirito e la lettera della Costituzione, che indica l’obiettivo di formare un governo di emergenza delle organizzazioni popolari. Sarebbe una lunga marcia, sì, però non attraverso le istituzioni che, dove porta, lo abbiamo già visto, ma in rottura con le istituzioni dei poteri forti italiani e della loro comunità internazionale che ci stanno portando al disastro.
Tanti se? Forse. Ma non pensi che solo così la spending review dal basso non resta un bel sogno nel cassetto? Non pensi che una cosa del genere darebbe un senso anche all’appello per una lista pro Tsipras, perché sarebbe la garanzia, l’unica garanzia, che non finirebbe come con Rivoluzione Civile?
Anche solo perché qualche migliaia di persone scendano in piazza a manifestare occorre un centro autorevole, perché per fare una spending review dal basso, per fermare la distruzione dell’apparato produttivo, la catastrofe ambientale e la disgregazione sociale, insomma per rimettere in piedi questo nostro paese dovrebbe essere diverso?

A proposito della lunga marcia nelle istituzioni…
Febbraio 1981- Governo e Banca d’Italia firmano alla chetichella il loro ”divorzio consensuale”. Il governo da quel momento in poi non può più decidere quanta moneta la Banca d’Italia deve creare perché lo Stato possa far fronte ai suoi compiti decisi in sede politica. Deve ricorrere ai mercati finanziari: emettere e vendere titoli finanziari con cui chiedere in prestito i soldi che eccedevano le sue entrate. Un affare d’oro per la “comunità internazionale” dei banchieri, delle società finanziarie, dei fondi d’investimento, dei ricchi. Da lì inizia la “irresistibile” ascesa del debito pubblico italiano.
Gennaio 2014 - In “matrimonio incestuoso” con la sospensione della seconda rata dell’IMU, passa per decreto la ricapitalizzazione di Bankitalia a spese delle masse popolari. La prova provata che saremo noi a pagare ce l’ha data Saccomanni: ha garantito che la ricapitalizzazione non comporta alcun onere per lo Stato. Fino al prossimo taglio delle spese sociali o alla prossima manovra per ridurre il debito pubblico!

I deputati del M5S fanno ostruzionismo, Dambruoso (SC) aggredisce una “grillina”, la Boldrini per la prima volta alla Camera applica la “ghigliottina” (un articolo del regolamento del Senato che permette il passaggio diretto al voto finale di un decreto, in qualsiasi fase dell’esame esso si trovi), Napolitano tace, Speranza (PD) sentenzia: è la democrazia, belli! E la comunità internazionale ringrazia!

Resistenza  - resistenza.pcarc@rocketmail.com

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