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martedì 16 agosto 2011

No all'inquinamento acustico e musicale nei luoghi pubblici - Gruppo Aperto su Facebook


Nell'immagine: Caterina Regazzi, un po' incazzata

Nonostante sia dotata di una cultura molto modesta, mi considero una persona amante del bello, dell'arte, della letteratura, ed anche della musica. Sono cresciuta negli anni '70 e quindi ho amato i Beatles (molto più dei Rolling Stones), la musica della West Coast, David Bowie, i Pink Floyd, i classici gruppi rock-pop e solo più tardi, alcuni cantautori italiani, De Gregori in primis e poi De Andrè. In seguito mi sono anche appassionata alla musica classica, specie quella da camera. Occasionalemte qualche amico mi ha fatto apprezzare il soul.

Oggi, a cinquantanni suonati amo molto il silenzio, non accendo quasi mai lo stereo, nè tanto meno la televisione.

Preferisco ascoltare il fruscio del vento tra le foglie, le onde del mare che si infrangono sulla battigia, la voce del mio compagno Paolo, che mi parla o che canta i suoi canti devozionali (e mi piace tanto che io canto con lui o almeno ci provo).
Mi piace ascoltare le voci delle persone che mi parlano, come quella di mia figlia Viola anche se spesso è solo per brontolarmi, l'abbaiare festoso della mia cagnetta Magò quando torno a casa. Mi piace anche passeggiare specialmente in mezzo alla natura, ma anche tra le strade di un paese o di una città nota o sconosciuta e, a volte, entrare in un bar per un caffè o in un ristorante per un pranzo o una cena. Come tutti poi, anche se il meno possibile, devo frequentare anche qualche supermercato, piccolo o grande che sia, o qualche altro esercizio pubblico.
Ma in quanti di questi luoghi ormai si può entrare senza essere investiti da una qualsiasi musichetta ("muzak" la chiamava John Lennon)?

Poche sere fa io e Paolo in pizzeria con due amici abbiamo dovuto chiedere se almeno potevano abbassare il volume, dato che tra il suono della musica e le voci degli altri avventori si parlava con difficoltà, il giorno successivo in fila al supermercatino mi sono trovata (e dovevo star lì per non perdere il posto) proprio sotto l'altoparlante che sparava note di musica leggera, al bar dove si fa colazione al mattino, secondo chi c'è dietro il banco si può fare il "toto volume", ma sempre musica c'è, passeggi per la strada e ti passa di fianco un' auto a tutta velocità (rombo del motore) e col finestrino aperto con la radio a palla, arrivi in una qualsiasi spiaggia attrezzata e dall'altoparlante dello stabilimento escono annunci vari e musica (come si fa a sentire il rumore del mare? l'unica è andare alla spiaggia libera, ma lì c'è l'immondizia). L'usanza la ritrovo ovunque vada.
Insomma, ma perchè tutti ci vogliono "allietare" con una musica che nessuno ha chiesto di ascoltare?

Non è una violazione della libertà personale? Non sarà che qualche "scienziato" ha studiato che, come una volta si diceva che le vacche ascoltando la musica, producevano più latte, anche il consumatore produce più reddito? Non è che ci vogliono tutti "felici e contenti" (o contenti e coglionati?) perchè così pensiamo meno alle cose serie, alla crisi, per esempio, ci distraiamo e ci dilunghiamo nei nostri acquisti, al "piacevole" (secondo loro) suono di una musica suadente? Non mi meraviglierebbe sapere che ci sono studi di marketing al riguardo, anzi ne sono sicura!

Perciò io dico BASTA alla musica nei luoghi pubblici!!!

I bar, i ristoranti, i negozi, le spiagge, dovrebbero, potrebbero tornare ad essere semplicemente luoghi di incontro in cui fare si acquisti e parlare, ascoltare e leggere parole. E voi cosa ne pensate?

Caterina Regazzi

Chi vuole può aderire al nuovo Gruppo Facebook:
http://www.facebook.com/?ref=home#!/groups/266462213379875/

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Commento di Vincenzo Mannello all'articolo soprastante: “Già , proprio vero quel che scrive Caterina . Non se ne può proprio più di questo fastidioso "accompagnamento" che ci perseguita e che, vedrete, sostituirà pure i già disdicevoli applausi che "seppelliscono" pure i funerali! Secondo me esiste una spiegazione , pur se parziale. Avrete fatto caso come, già da tempo, siano scomparsi i professionisti più anziani dai locali pubblici e che gli stessi sono stati sostituiti da masse di giovani, precarissimi in nero, in genere stranieri e con una caratteristica primaria: la assoluta impreparazione professionale al compito che svolgono. Aggiungendo che pure gran parte dei gestori e proprietari sono giovani che si improvvisano imprenditori, l'arcano acustico è spiegato. Sono quasi tutti (le eccezioni esistono sempre) cresciuti nel e con il frastuono delle discoteche. Sono un tutt'uno con la musica sparata per cui proprio non tengono in alcun conto le esigenze delle persone (ex) normali. Tanto più se "decrepite" come noi (Caterina si ritenga esclusa dallo epiteto). Insomma, pur se paghiamo bene e siamo serviti male, dovremmo rassegnarci pure alla tortura acustica. Ovviamente, vista la pasta di cui siamo fatti, non lo faremo.... senza combattere! Un saluto a tutti”

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Replica di Caterina Regazzi:

Replica di Caterina Regazzi:

Magari fosse così! Secondo me la spiegazione di Vincenzo è reale solo in parte e non è all’origine di questa moda.
Io vedo (anzi, sento) una diffusione di questa abitudine anche in strutture (la nuova c..p di spilamberto per non fare nomi) dove dietro non c’è il ragazzotto di provincia che, non sapendo come passarsi il tempo, è cresciuto nelle discoteche, ma un’organizzazione commerciale che da una parte si fa pubblicità con la vendita del cibo biologico e dell’equo e solidale, dall’altra fa l’occhiolino al consumatore in bolletta (e di questi tempi sono sempre di più) con i prodotti a “primo prezzo” (così fanno concorrenza ai discount) e le offerte tre per due, che strapazzano i produttori per essere sempre più concorrenziali.

In più posso testimoniare per esperienza personale e tu, Paolo, lo puoi confermare che se entro in un negozio pensando di acquistare un prodotto, esco minimo con tre. Questo anche se vado dalle mie verduriere di fiducia (in campagna), anzi, se vado da quella più simpatica e accattivante è così, se vado dall’altra, che è più asciutta, spesso vengo via con meno di quel che volevo acquistare.

Cioè l’ambiente in qualche modo “piacevole” favorisce la permanenza (vedi anche l’uso smodato dell’aria condizionata nei supermercati), la permanenza ti fa cadere l’occhio su quella cosa di cui non hai bisogno subito, ma che, guarda caso, in casa può far comodo (e ci sono gli studi sull’altezza della disposizione dei prodotti nelle scaffalature), così esci col carrello pieno di cose che, a casa dimenticherai di avere e che finiranno, scadute, nel secchio dell’immondizia (indifferenziata, tra l’altro)..

Poi mi viene in mente anche un’altra motivazione per la presenza della musica in certi locali (bar, ristoranti) e di cui abbiamo più volte parlato sul Giornaletto ultimamente (e speriamo di non caderci pure noi): il vuoto che c’è a volte fra esseri umani.

Mi ricordo che anni fa con un amico avevamo un passatempo, cretino, se volete: andavamo spesso al ristorante e (forse perchè anche noi avevamo poco da dirci) osservavamo gli altri commensali… che tristezza! C’erano tante di quelle coppie che fissavano il vuoto aspettando solo l’arrivo delle loro pietanze. Classico esempio di solitudine in mezzo alla gente. La musica riempie questo vuoto, almeno dal punto di vista sonoro, ma non certo dal punto di vista dell’animo.

Non sempre, fortunatamente, è così: a volte si sta insieme per il piacere anche di condividere i propri pensieri e sentimenti, a volte si può stare insieme anche in silenzio, e il silenzio può essere sintomo di una perfetta intesa in cui non c’è bisogno di parole.

E allora, che silenzio sia! Ciao, Caterina

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