In vent’anni migliaia di vittime civili e altrettante militari e trilioni di dollari perduti tra le montagne e i deserti d’Afghanistan, tra la corruzione, lo sperpero, l’inefficienza. Ha ancora senso l’esportazione della democrazia? Ne ha mai avuto? Tutti ora dichiarano il fallimento della politica occidentale. Sarà da insegnamento?
Anche tra i giornalisti e i politici che si occupano di politica estera si avverte spesso l’impiego di luoghi comuni, una buona dose di superficialità e soprattutto l’intento di far passare i Talebani sotto un’identità fuorviata, senza riconoscere loro alcuna dignità politica. Alcuni arrivano a parlare di spose bambine e divieto di vita sociale alle donne, nonché dell’obbligo del burqa come se fossero idee nate con i talebani, come non fosse una tradizione che si perde nella profondità della storia.
Ringrazio la disponibilità di Andrea Nicastro, inviato di guerra del Corriere della Sera – con numerose presenze in teatri bollenti, anche afghani – in queste ore sotto pressione per seguire l’attualità afghana, per la seguente intervista.
Oggi domina la legittima narrazione che le forze militari occidentali hanno abbandonato il popolo afghano. Tuttavia è opportuno ricordare che le medesime forze, inizialmente accolte come salvatrici, nel corso dei venti anni di presenza sul campo erano divenute, per il popolo afghano, “di occupazione”. La maggioranza della popolazione non vedeva l’ora lasciassero il paese. Dov’era il punto di equilibrio, ammesso lo si possa individuare?
Non c’è mai stata unanimità nell’accettare o respingere la presenza occidentale. Certo truppe straniere nel proprio Paese non piacciono a nessuno. Unico motivo per tollerarle era il vantaggio economico e politico che potevano procurare in termini di sviluppo e crescita sociale. È lì che l’Occidente ha, a mio avviso, fallito. La ricostruzione ha impiegato un centesimo delle risorse messe a disposizione della macchina militare e, ovviamente, tali risorse non sono riuscite a creare una classe media autonoma e indipendente dal potere politico che è la base essenziale per qualunque società sicura e accudente. Non parlo di proposito di democrazia. Quella è stata tradita per primo proprio da noi che abbiamo tollerato e foraggiato i governi amici di Karzai e di Ghani che non avevano il chiaro supporto della popolazione. Cos’è meglio? I brogli elettorali degli alleati Usa o le non elezioni dei talebani? Francamente non so scegliere io, perché dovrebbero gli afghani.
Al momento non è ancora del tutto chiaro come i talebani abbiano preso dominio di territori e centri urbani. Dove ci sono stati scambi a fuoco e dove rese incondizionate?
Hai ragione, è presto. Però sul Corriere ho raccontato della resistenza del 215° Corpo d’Armata ad Helmand e quella della Valle del Panshir. Sia il generale comandante sia gli abitanti della valle sono tajiki. Il fulmineo collasso dell’esercito addestrato in vent’anni è in parte dovuto al conflitto tra la presidenza Ghani di etnia pashtun e la leadership dell’esercito di etnia tajika. I comandanti sono stati sostituiti da Ghani proprio pochi mesi fa. Un suicidio se non proprio un tradimento.
Gli incontri ormai pluriennali svoltisi a Doha capitale del Qatar tra esponenti talebani e americani, organizzati proprio in prospettiva dell’uscita dal teatro afghano delle forze Nato hanno realizzato concreti e rispettati passi avanti?
Nulla. È stata una farsa, i talebani hanno semplicemente tergiversato in attesa del ritiro americano.
In cosa la modalità shariica talebana è stata ammorbidita?
Non lo sappiamo. Probabilmente poco. Però anche loro oggi conoscono il mondo. Hanno viaggiato, dormito in grandi alberghi, visto società diverse. Sanno di aver bisogno del mondo esterno per i soldi e per la tecnologia a cui nessuno vorrebbe più rinunciare. Possono imporre le preghiere a ToloTV [emittente tv afghana, ndr], ma non possono bloccare i social media. Come in Iran, mi aspetto un Afghanistan con una morale pubblica puritana e una società molto segretamente più laica.
Cosa hanno promesso gli americani?
Di andarsene in cambio di non subire attacchi e di non ospitare terroristi internazionali.
Non ho mai sentito dai media italiani precisare che il Mullah Omar aveva tutti i diritti di non consegnare Osama bin Laden quando, dopo l’11 settembre, gli americani glielo chiesero. All’epoca l’Afghanistan era in mano agli studenti coranici, e il Mullah non esercitava altro che il diritto internazionale di scelta se estradarlo o meno. Non solo. Gli americani non accettarono di rispettare il diritto internazionale e con l’uso della forza (bombardamenti massicci nella regione montuosa Spīn Ghar, a noi nota come Tora Bora) cercarono lungamente di uccidere o catturare il principe saudita, ritenuto là nascosto. L’ingerenza non fu mai denunciata dai nostri giornalisti. Ti sembra informazione?
A tutti è sembrata una risposta appropriata e doverosa all’attacco di al-Qa’ida alle Torri Gemelle”. Gli Usa erano (e in parte sono) l’iperpotenza globale. Non si discute troppo gli ordini del più forte del branco che ti protegge.
Dall’epoca talebana del Mullah Omar ad oggi, ci sono stati mutamenti di strategia militare, politica ed etica dei talebani?
Sul piano militare direi di no. Tranne il fatto che ora hanno a disposizione circa 70 miliardi di armamenti, blindati e velivoli moderni che hanno ricevuto in grazioso omaggio di questi giorni dall’esercito afghano che non ha combattuto. Sul piano politico, probabilmente sono più avveduti, più esperti, proprio grazie a questi anni di esilio in Qatar, Emirati e Pakistan.
Sui media nostrani si sente spesso, se non sempre, mescolare e identificare il movimento e gli scopi talebani con quelli di al-Qa’ida , nonostante i primi abbiano intenti nazionalisti e i secondi, all’opposto, di un califfato internazionale. È superficialità giornalistica o la mia interpretazione è in qualche modo fuorviata?
Hai ragione, ma consoliamoci con l’ignoranza internazionale. Ancora oggi, molti americani pensano che Saddam Hussein fosse alleato di Osama bin Laden.
Dopo aver parlato nel tempo con generali, diplomatici, responsabili di Ong, esponenti di forze afghane, giornalisti italiani e afghani ho sempre riscontrato una specie di realtà di Rubik: ognuno aveva ben chiara la gerarchia delle priorità sulle ragioni della situazione, su come uscirne, sugli errori compiuti. Tuttavia, messe insieme il cubo della realtà di Rubik non era mai omogeneo, anzi. Le singole prospettive arrivavano anche a contraddirsi nelle fondamenta. Qual è la tua opinione sulla complessità afghana?
L’Afghanistan è un mosaico complicato, ma secondo me è guidato da principi universali: la ricerca della sicurezza fisica, economica e familiare. Non hanno potuto avere nulla di ciò negli ultimi 40 anni durante i quali potenze straniere hanno combattuto tra loro attraverso milizie locali. Lasciati senza finanziamenti esterni, gli afghani troverebbero in breve un loro equilibrio per lo sviluppo.
E, si possono tracciare linee di condotta e azzardare epiloghi senza tener conto dei signori dell’oppio e della frangia dei servizi pakistani interessati o pagati per il mantenimento dell’instabilità. Nonché della questione dell’Area Tribale e della Frontiera del Nord Est?
No non si può.
Se non erro, nel 2008, il Generale McChrystall, comandante delle forze in campo in Afghanistan, volle ridurre l’intervento brutale della forza a favore di azioni destinate a sterminare le coltivazioni d’oppio. Tra le altre iniziative messe in campo, proposero ai contadini di sostituire i papaveri con lo zafferano. Il progetto non solo non diede risultati ma proprio in quegli anni, i signori dell’oppio, primi produttori al mondo della matrice dell’eroina e di molti farmaci, iniziarono la produzione proprio dell’eroina divenendo immediatamente anche leader mondiali del nuovo settore. Si può prendere questo episodio ad emblema del fallimento dell’opera internazionale occidentale in Afghanistan?
Sì, come vale la pena ricordare che non solo i talebani hanno commerciato oppio in questi anni. Il fratello dell’allora presidente Karzai era da Kandahar il più grande trafficante del paese. Un nostro alleato, quindi.
Vale la pena di ricordare che lo scopo ultimo della missione Nato era di peace keeping, ma di fatto è sempre stata una guerra che, ad un certo punto, anche le politiche estere dei paesi membri, hanno dovuto ammettere?
La missione era all’interno dell’articolo 5 del Trattato Nato* (4 aprile 1949) che impone agli Stati membri di soccorrere un alleato attaccato. Com’era il caso degli Usa l’11 settembre. L’imbarazzo del Peace keeping riguardava le diverse “regole d’ingaggio”. Noi italiani, ad esempio dicevamo di poter solo difenderci. Ma per anni abbiamo combattuto come britannici e australiani.
Cosa salvare del fallimento della missione internazionale e perché?
Si può salvare la nostra immagine internazionale non abbandonando l’Afghanistan economicamente. Aspettando che la società civile cresca, trovi un equilibrio con i talebani. I fondamentalisti non sono mai la maggioranza, ma sono quelli con il fucile in mano. Perché farlo? Perché se vincono i fanatici, sembrerà che l’unico modo di difendersi e vincere sarà abbracciare un’ideologia estrema e intollerante.
Ci sono quattro categorie sulle quali è necessario porre attenzione. Condizione femminile/donne; minoranze etniche, hazara in primis; persone che hanno servito gli occidentali (traduttori, autisti, camerieri, cuochi); sfollati e rifugiati. Quali rischi corrono queste categorie?
Dipenderà da quanto il governo talebano vorrà compiacere i nostri valori. Dipenderà da cosa gli daremo in cambio. La Cina certo non chiederà il rispetto dei diritti umani. Solo dei contratti di sfruttamento minerario e di transito.
L’esercito afghano, lungamente formato dalle forze internazionali, anche dagli italiani, è spesso stato deriso per la sua perdurante inefficienza. Nessuno lo riteneva idoneo a fronteggiare da solo, senza l’appoggio operativo e strategico occidentale, il nemico talebano. Oggi [15 agosto, prima della proclamazione talebana del 16 agosto dell’Emirato islamico dell’Afghanistan] è realmente da solo e i talebani stanno avanzando in molte province e Kabul è stata presa oggi. Pensi che la forza regolare possa avere qualche chance? Perché nonostante la supremazia degli armenti di ultima generazione e la forza aerea (che i talebani non hanno), tutti ritengono che non riusciranno a fermare i talebani? Si tratta di assenza di coordinazione tra vertici politici e militari?
Come dicevo testa pashtun e corpo tajiko non facevano una persona intera.
Soldato dell’Ana (Afghan National Army) di giorno e talebano di notte. La migrazione circadiana di molti uomini, messa in moto dai maggiori compensi raccolti sotto le fila talebane, è ancora un problema nodale?
Ora avranno il budget nazionale a disposizione per pagare i loro miliziani, ma dovranno anche trovare le risorse per non lasciare disoccupati quei 300mila soldati che sulla carta avrebbero dovuto combatterli. Non credo che i talebani faranno l’errore americano in Iraq quando licenziarono i militari sunniti per consegnarli alla guerriglia. Il punto è come i talebani riusciranno a dare stipendi, e evitare un crollo economico dovuto alla partenza delle agenzie umanitarie e di ricostruzione.
Ahmad Massoud – il figlio di Ahmad shah Massoud, primo ad essere a suo tempo riuscito a riunire tribù e clan nella nota Alleanza del nord – avrà qualche chance di dialogo con Yakoob, il figlio del Mullah Omar, attuale referente militare dei talebani?
L’atteggiamento dei panshiri, di cui il giovane Massoud è un esponente, sarà determinate per capire se si va verso un’altra guerra civile o se l’avanzata talebana avvenuta senza distruzioni materiali sarà l’inizio di un periodo di pace.
Ora che abbiamo lasciato il paese, che nessun esercito è mai riuscito a domare, tutti lamentano la ritirata, prima auspicata soprattutto per ragioni economiche. Come pensi si debbano muovere la Nato, l’Unione Europea e la nostra Difesa?
La Nato e l’Italia si sono mosse nella cornice dei trattati e delle alleanze necessarie alla nostra sicurezza. L’Ue semplicemente non esiste come entità militare o politica autonoma.
La Cina, che se non erro ha il diritto di sfruttamento di un giacimento di rame nel nord-ovest afghano, ha ampiamente dimostrato (vedi intervento in più paesi africani) di avere una politica estera confuciana. Potrebbe essere lei, con la Russia in modalità aggiornate, a segnare il nuovo percorso afghano?
Sì, anche se gli Usa faranno di tutto per evitare che la Cina abbia successo e anzi sperano in uno spill over dell’instabilità afghana verso la regione musulmana cinese del Xinjiang.
Afghanistan come centro nodale dell’Asia al quale tutte le potenze guardano e, giocoforza, ne condannano l’instabilità? Il Grande gioco è ancora in auge?
Senza l’interesse di Pakistan, India, Iran, Cina e l’ex area sovietica a mantenere la pace in Afghanistan, ci sarà sempre qualcuno che combatterà nel Paese al soldo dei suoi vicini. Perché? Se non hai lavoro, fare il soldato è un lavoro come un altro.
È necessario dare riconoscimento politico ai talebani o è meglio seguitare a considerarli dei semplici criminali tagliagole?
Il presidente americano non mi risulta firmi accordi con tagliagole. Trump l’ha fatto. Biden l’ha rispettato. Definire tagliagole i talebani è semplicistico. Sono una forza politica e militare e ora anche statuale con cui è obbligatorio fare i conti.
Il progetto dell’oleodotto Mar Caspio/Oceano indiano, doveva transitare anche in Afghanistan. Per realizzarlo gli americani avevano stretto accordi con i talebani, poi saltati. Quanto conta questo aspetto in merito all’intervento Usa del 2001, Enduring Freedom?
Magari era un’ipotesi in più, vista l’occasione della guerra, ma di sicuro il piano è clamorosamente saltato.
Quanto è vero l’impiego da parte americana di ordigni all’uranio impoverito e bombe non convenzionali tipo Blu-82/B?
Mi risulta siano state utilizzate dove servivano, non in modo massiccio o sistematico.
Ricordando che nessun impero, tra Britannici, Sovietici, Americani/Nato è mai riuscito a sottomettere gli afghani, l’appartenenza alla logica del Pashunwali – i talebani sono prevalentemente pashtun, la maggiore etnica del paese – del tutto estranea a quella occidentale, può essere considerata un caposaldo della resistenza afghana?
Non sono solo i pashtun ad aver combattuto i britannici o i sovietici. Mentre è sicuramente vero che i talebani/pashtun possono vantarsi di aver resistito a 20 anni di occupazione americana.
* Articolo 5 del Trattato Nord Atlantico. Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.
Andrea Nicastro è tra l’altro autore di Gli altri siamo noi. Perché tradire la democrazia scatena la jihad, Rubbettino, 2021. Un lavoro dedicato a riconoscere la dignità di pensieri differenti dai nostri, lungimirante nel prevedere gli sviluppi in corso in Afghanistan, l’ipocrisia internazionale su diritti umani e sviluppo economico con il conseguente prevalere di soluzioni estremiste come le talebane. L’argomento del libro è riproposto in una pièce teatrale in forma di dialoghi immersi in una avvincente scenografia fotografica. Ne sono protagonisti e autori la giornalista Francesca Mineo e lo stesso Nicastro.