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sabato 21 luglio 2018

Spilamberto. "Io, il cous-cous e Albert Camus", alla Rocca Rangoni Machiavelli, il 20 luglio 2018 - Recensione di Caterina Regazzi



Era da tanto che volevo "assistere" ad uno "spettacolo" del Teatro delle Ariette. Metto tutto tra virgolette perché sapevo già che i loro sono spettacoli alquanto originali in cui lo "spettatore" è parte integrante e più o meno partecipe dello spettacolo stesso. Inoltre, spesso anche il cibo partecipa alla rappresentazione. Solitamente credo che il tutto si svolga nell'aia della casa dove vivono, in Val Samoggia, attorno ad una tavola imbandita in cui i partecipanti (attori e spettatori) condividono la situazione ed il cibo. 

Ovvio che questa impostazione non poteva che trovarmi piacevolmente incuriosita. E così, venerdì 20 luglio 2018, puntuali alle 20 e 30, io e Paolo ci siamo recati all'appuntamento nel piazzale della Rocca di Spilamberto, dove già ci attendeva l'amica Monica. Di lì a poco ci ha raggiunti anche Grazia. Questo spettacolo era in programma, nell'ambito della rassegna di eventi dell'estate spilambertese,  il cui  titolo era "Io, il couscous e Albert Camus". E' iniziato con molto ritardo. 

A Spilamberto la gente in estate e con una giornata calda  tarda ad uscire di casa. Un'altra spettatrice, puntuale più di noi e con la quale abbiamo scambiato qualche parola di saluto, era la "tedesca" (come lei stessa ha detto di essere comunemente definita) Sabine.

Le sedie erano in due-tre file e nella prima fila, ogni due sedie c'era un piccolo tavolo tondo con una ciotola con dentro una zucchina, una carota, una patata già pelata e ci è stato chiesto di farne pezzetti. Poi il tutto è stato ritirato e messo a cuocere. Sopra ad un tavolo a lato c'erano vari tegami con fornelli elettrici dove sono stati cotti gli ingredienti del couscous.


All'inizio si è fatto un piccolo giochetto in cui bisognava indovinare l'età dell'attore principale. Il primo a rispondere ci ha quasi preso, io gli ho dato circa dieci anni di più (ma pensavo al mio Paolo e non mi pareva tanto più giovane di lui - forse mi ha messo fuori strada il cappello!).

Poi gli interpreti hanno cominciato a raccontare una storia di uno dei protagonisti (quello dell'indovinello sull'età), diciassettenne nel 1978 (quindi più giovane di me di un anno), in vacanza in Francia con la fidanzata francese della sua "prima volta", in una grande casa dove aveva conosciuto il padre, i fratelli - sorelle e amici di questa ragazza, e che gli aveva dato da leggere un romanzo in francese di Albert Camus "Lo Straniero" in cui lui si era immerso, pur non avendo una buona conoscenza della lingua, come se stesse leggendo la sua storia. Ha raccontato anche che la prima volta che è stato mandato da solo a comprare il pane, il panettiere si è fatto ripetere tre volte "le pen" perché la sua pronuncia era alquanto scarsa.

La storia de "Lo straniero" comincia a dipanarsi: io capisco poco e me lo faccio rispiegare l'indomani da Paolo, inoltre mi leggo la quarta di copertina del libro che trovo dopo una brevissima ricerca nella mia libreria dove rimane (ormai) tra i pochi romanzi lì conservati, assieme ad altri di, tra gli altri, Isabel Allende e Milan Kundera.

Il protagonista, Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri, inspiegabilmente un giorno uccide un arabo: lui ha una pistola, l'arabo ha un coltello e, per un dissapore legato ad una donna, l'arabo tira fuori il coltello, la cui lama riflette la luce del sole abbagliando e obnubilando il Meursault, che tira fuori la pistola e spara, 4 volte anche sul corpo ormai esanime dell'altro. M. così estraniato diventa straniero a se stesso e al mondo.

Ho faticato anche a trovare una corrispondenza fra questa storia e le storie degli stranieri che sono arrivati o stanno arrivando qui da noi (ora sembra in numero più limitato).

Alla fine della recita, dopo averci fatto gustare il couscous ormai pronto e un ottimo tè alla menta è stato chiesto al pubblico cosa pensassero e sentissero riguardo al sentirsi stranieri o strani. La platea per un po' è rimasta in silenzio. Non è un argomento facile, forse anche perché il sentimento eventuale di estraneità ed anche di "stranezza" è un sentire intimo, difficile esprimerlo in piazza e difficile esprimere anche il sentimento nei confronti degli altri, stranieri o strani, sia che lo siano che ci si sentano. 

Ha rotto il ghiaccio S. che ha parlato del suo sentirsi straniera in quanto definita  "la tedesca", mentre quando va in Germania ormai la chiamano "l'italiana" forse non si sente neanche più né questa né quella. Un'altra persona ha detto di apparire  un po'  "strano", per il suo aspetto,  ma di non sentirsi straniero in nessun luogo (e di luoghi diversi, posso assicurarvi, ne ha girati). Non si sente straniero a Spilamberto, né a Treia, ma non si sentiva straniero in India e non si è sentito straniero in Africa.  Perché non si p mai stranieri su questa Terra se noi stessi non ci consideriamo tali. Questo è il senso del bioregionalismo...

Io non ho detto niente, ieri sera, ma credo che il sentirsi più o meno straniero in un luogo dipenda solo da noi; se decidiamo di andare in un luogo, anche per un breve periodo, ma tanto più se decidiamo di andarci per rimanere e non semplicemente di passaggio, dobbiamo starci con amore, prendendocene cura (mi riferisco all'ambiente naturale e a quello sociale), con rispetto e senza imporre la nostra visione delle cose che comunque va espressa. Cercando un collegamento sincero e aperto col territorio che ci accoglie, cercando di farci conoscere e di conoscere. 

A questo proposito le iniziative portate avanti dal Comune di Spilamberto (coro multietnico) e altri enti (Donne multietniche) mi sembrano encomiabili come occasioni di possibile conoscenza reciproca, senza dimenticare di conservare la memoria storica del luogo. Non si possono e non si devono cancellare secoli e secoli di storia e tradizioni in nome di una globalizzazione che porta ad una uniformità, ad un magma indistinto dove tutto deve essere omologato. Rispetto nelle differenze con alla base i principi di tolleranza ma anche di amore per tutti gli esseri viventi e per il pianeta.

Verso la fine della discussione, che comunque era molto interessante, ce ne siamo andati. C'era anche fra noi chi doveva andare in bagno con una certa urgenza e non mi pare ci fossero bagni pubblici (neanche una turca!) disponibili. O forse non erano indicati. Spero che questo sia da suggerimento per l'amministrazione. 

Comunque, bella iniziativa e bravissimi quelli delle Ariette: Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini! E bravi gli amministratori comunali  presenti: Umberto Costantini (sindaco) e Simonetta Munari (assessore alla Cultura).

Grazie di aver letto sin qui.

Caterina Regazzi



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