....ho letto questo brano su gargantua e pantagruele di francois rabelais che mi piace condividere: come dualmente nel mosaico del tempio era rappresentata la battaglia che bacco vinse contro gli indiani. in principio erano figurate diverse città, villaggi, castelli, fortezze, campi e foreste tutti avvampanti fuoco. erano altresì figurate diverse donne forsennate e discinte le quali squartavano vivi furiosamente vitelli, montoni, pecore e si pascevano delle loro carni. era ivi significato come qualmente bacco entrando nell'india metteva tutto a fuoco e a sangue. ciononostante fu tanto dagli indiani spregiato che non degnarono andare ad affrontarlo avendo avuto informazioni dalle loro spie che nel suo esercito non erano guerrieri ma solamente un piccolo bonomo vecchio, effeminato e sempre ubriaco accompagnato da giovani con code e corna come i capretti agresti, tutti nudi, che danzavano e saltavano continuamente, e un gran numero di donne ebbre. onde deliberarono di lasciarli venire avanti senza opporre resistenza d’armi, come se non a gloria, ma a vergogna, disonore e ignominia ridondasse loro aver vittoria su tal gente. grazie a questo sfregio bacco sempre s’avanzava e metteva tutto a fuoco (fuoco e folgore sono infatti l’arme paterne di bacco e prima ancora di nascere al mondo fu salutata da giove come folgore sua madre Semele, e la sua casa materia arsa e distrutta daal fuoco) metteva tutto a sangue, che, per natura, sangue fa al tempo di pace e sangue trae in tempo di guerra. ne resta testimonianza nel campo di siamo detto panema, vale a dire tutto sangue, nel quale bacco raggiunse le amazzoni fuggenti dalla contrada di efeso e le uccise tutte per flebotomia, onde il detto campo era tutto di sangue imbevuto e coperto. potrete dunqued’ora innanzi intendere meglio che non l’abbia descritto aristotele né suoi problemi, perchè una volta si diceva in comune proverbiò che “in tempo di guerra non si mangia né si pianta menta”. la ragione è che in tempo di guerra, ordinariamente si danno giù colpi senza rispetto; onde l’uomo ferito, se in quel giorno ha maneggiato o mangiato menta, è ben difficile o impossibile stagnarli il sangue. in seguito nella su detta figurazione appariva come dualmente bacco marciasse alla battaglia, e stava sopra un carro magnifico, tirato da tre pariglie di giovani leopardi aggiogati insieme; il viso era come di fanciullo per significare che tutti i buoni bevitori mai non invecchiano; rosso come un cherubino senza pelo di barba al mento. in testa portava corna acute e su quelle una bella corona di pampini e d’uva, con una mitra rossa cremisina ed era calzato di calzari dorati. con lui non era un solo uomo; tutta la sua guardia, tutte le sue forze erano costituite di bassaridi evanti eniadi edonidi trieteridi ogigie mimallone menadi tiadi e bacchidi, femmine forsennate, furiose, rabbiose, cinte di draghi e serpenti vivi invece che di cinture, coi capelli scarmigliati all’aria e con ghirlande di pampini; vestite di pelli di cervi e di caprioli, e con in mano piccole scuri, tirsi, roncole e alabarde in forma di pigne, e certi piccoli scudi leggeri, risonanti e rumorosi a toccarli appena, dei quali esse usavano, quando occorresse, come di tamburi e timpalli. il loro numero era di settantadue mila duecento e ventisette. l’avanguardia era guidata da sileno, nel quale bacco riponeva ogni fiducia e del quale aveva sperimentato inn occasioni passate la virtù e la magnanimità del coraggio e della prudenza. era un vecchietto tremante, curvo, grasso panciuto a esuberanza: aveva orecchie grandi e dritte, il naso puntuto e aquilino, i sopraccigli rudi e grandi; era montato sopra un asino coglionato; teneva in pugno per appoggiarsi un bastone, anche per combattere gagliardamente se per caso convenisse discendere a piedi; ed era vestito di una veste gialle come le donne. era accompagnato da giovani campestri, cornuti come capretti e fieri come leoni, tutti nudi, sempre cantanti e saltanti il mordace; si chiamavano titiri e satiri. il loro numero era di ottanta cinque mila cento e trentatré. pan conduceva la retroguardia, uomo orfico e mostruoso. poiché nelle parti inferiori del corpo rassomigliava a un caprone, aveva le cosce pelose e portava in testa corna dritte contro il cielo. aveva il viso rosso e infiammato e la barba molto lunga, uomo ardito, coraggioso, avventuroso e facile al corruccio: nella mano sinistra teneva un flauto, nella destra un bastone ricurvo; le sue schiere erano similmente composte di satiri, emipani, egipani, argipani, silvani, fauni, lemuri, lari, farfarelli, e folletti, in numero di settantotto mila cento e quattordici. la parola d’ordine di tutti era: evoeh! come dualmente nella figurazione era rappresentato il pezzo dell’assalto dato dal buon bacco agli indiani. in seguito era figurato il cozzo e l’assalto che il buon bacco dava contro gli indiani . considerai che sileno, capo dell’avanguardia sudava a goccioloni e stimolava aspramente l’asino suo; l’asino spalancava la bocca orribilmente, si smoscava, smaniava, scaramucciava, in maniera spaventevole come avesse un calabrone al culo. i satiri, capitani. sergenti di bande, capisquadra, caporali, suonando la diana coi loro cornabecchi, s’aggiravano furiosamente in mezzo all’esercito a salti di capra, a balzi, a peli, a springate e calci; incitando i compagni a combattere coraggiosamente. tutti nella figurazione gridavano: evoeh! le menadi per prime, facevano incursione sugli indiani con grida orribili e il fracasso spaventevole dei loro timballi e scudi. non è più a stupire se l’arte d’appello, aristide tetano e altri ha potuto dipingere tuoni, lampi, folgori, venti, parole, costumi e spiriti, poiché ivi nel disegno della figurazione, rimbombava tutto il cielo. veniva poi l’esercito degli indiani come avvertiti che bacco devastava loroil paese. in primo piano erano gli elefanti carichi di torri con numero infinito di guerrieri; ma tutto l’esercito era in rotta e contro loro e su loro s’aggiravano e marciavano i loro elefanti sconvolti dal terrore panico per il tumulto orribile delle bacchidi. là avreste visto sileno che spingevail suo asino con fiere calcagnate e schermeggiava col suo bastone alla vecchia scherma, mentre l’asino volteggiava dietro gli elefanti a bocca spalancata come se ragliasse e ragliando marzialmente squillava l’assalto con pari bravura come un giorno svegliò la ninfa lottis, in pieno baccanale, quando priapo pieno di priapismo, senza pregarla, priapizzar la volea nel sonno. là avreste visto pan saltellare con le sue gambe storte intorno alle menadi ed incitarle col suo rozzo flauto a combattere valorosamente. là avreste visto, dopo, un giovane satiro menare prigionieri diciassette re; una bacchide tirare coi suoi serpenti quarantadue capitani; un piccolo fauno portare dodici insegne prese ai nemici e quel bonomo di bacco passeggiar col suo carro, sicuro per il campo, ridendo, godendosela, e bevendo alla salute di ciascuno. infine era rappresentato in figura emblematica il trofeo della vittoria e il trionfo del buon bacco. il suo carro trionfale era tutto coperto d’edera colta sulla montagna meros, essendovi in india di quella pianta rarità, che eleva il pregio di ogni cosa. tutto il suo esercito era coronato d’edera; i loro tirsi, scudi e tamburi ne erano coperti. anche l’asino di sileno ne era coperto da capo a coda. ai lati del carro erano i re dell’india presi e legati con grosse catene d’oro; tutta la brigata marciava con pompa divina in gioia e letizia indicibili, portando infiniti trofei e piatti e spoglie dei nemici e cantando allegramente gli epinici e canzonette villerecce e fragorosi ditirambi. alla fine era rappresentato l’Egitto col nilo e i suoi coccodrilli, cercopitechi, ibridi, scimmie, trochili, icneumoni, ippopotami e altre bestie sommesse a bacco; e lui marciava per quelle contrade tirato da due buoi sull’uno dè quali era scritto in lettere d’oro: api, sull’altro: osiride, poichè in egitto, prima della venuta di bacco non erano stati visti né buoi né vacche...
Ferdinando Renzetti