Presentazione



In movimento per ecologie, vivere insieme, economia sostenibile, bioregionalismo, esperienza del se' (personal development).

venerdì 25 dicembre 2020

Indagine sull'utilità del vaccino anti-covid ed affini



Domanda: "Ho imparato a non dare nulla per scontato! Mi rivolgo al gruppo igienista per chiedere se qualche membro è favorevole al vaccino antinfluenzale, oppure è favorevole all'obbligo di vaccini, o intende fare il vaccino anticovid. Grazie in anticipo a chi vorrà rispondere."   Daniele Bricchi - danielebricchi@hotmail.com



La risposta di Caterina Regazzi: 

E' un po' che vorrei rispondere al quesito di Daniele, anche se non sarà semplicissimo, ma servirà anche a me.

Intanto io non seguo l'igienismo nel suo insieme, ho letto solo "Igiene naturale" di Shellton (mi pare sia questo il titolo ma non posso controllare perchè non ce l'ho qui), sono vegetariana, non strettissima, ogni tanto mangio un po' di pesce (neanche una volta al mese) e, per Natale, visto che a mia figlia di 27 anni, onnivora, piacciono molto, farò i tortellini in brodo.
Alle tre domande di Daniele rispondo che sono contraria all'obbligo dei vaccini (in particolare a quelli dei bambini), non mi vaccino di solito contro l'influenza ma credo che mi vaccinerò contro il covid e spiego perchè, senza pretendere che qualcuno di voi concordi con me.

Ho già detto che non sono un'igienista perfetta, tendo all'igienismo. Cerco di mangiare cose biologiche, sempre qualcosa di crudo,il tutto in quantità moderata, faccio un po' di movimento quotidianamente (una passeggiata o una seduta di yoga). Però vivo nella pianura padana, i ritmi del lavoro non sono esagerati (ho scelto di fare il part time), ma non sono neanche proprio quelli che il mio corpo forse richiederebbe se fossi libera dall'impegno lavorativo. Il lavoro che faccio, soprattutto in questo periodo, mi crea un po' di stress.

Dormo abbastanza bene, alla sera sono sempre cotta e vado a letto volentieri presto, leggo circa un paio d'ore o guardo qualcosa al portatile. 

All'inizio della pandemia mi sentivo molto spavalda nei confronti del virus, ma ora non più. Ah! Dimenticavo di dire che ho 61 anni, soffro di pressione un po' alta (prendo la pillola), non sono obesa nè diabetica.

Insomma la mia salute non è proprio perfetta. Prendo vit. C, D, a periodi echinacea. Vado bene di corpo (assumo ogni mattina il kefir di latte da me prodotto). Ho sentito di tanti casi di covid, alcuni non hanno avuto sintomi o quasi, altri hanno avuto problemi ma sono rimasti a casa, altri sono andati in ospedale e mi hanno detto che non è niente bello. Ho letto con interesse la storia della mamma di Alfred che è stata accudita da Daniele amorevolmente e senza problemi.

Altra cosa: io vivo al momento da sola.

Se dovessi prendermi il covid non so come il mio corpo potrebbe reagire. Non ho paura, ma penso che potrei avere una forma asintomatica ma anche no, potrei anche stare maluccio.

Dato che ho 61 anni e vorrei fare ancora varie cose nella mia vita e penso che nella mia semplice vita possa anche fare del bene a qualcuno, vorrei stare bene ancora un po'. Quello che mi toccherà, non pretendo niente di particolare.

Quindi, non subito, ma dopo qualche mese dall'inizio della campagna vaccinale, penso che il vaccino contro il covid lo farò. Vorrei aspettare qualche mese perchè comunque mi pare che finchè non viene usato un po' massicciamente non si potranno conoscere (se mai si conosceranno e in tempo) eventuali effetti collaterali.

Spero di non suscitare in voi con queste mie "confessioni" troppi giudizi negativi sulla mia persona.


Caterina Regazzi












Commento di Roberto Pellegrini: "Leggiamo sulle statistiche dati ufficiali di morti di qualsiasi cosa e ANCHE positivi al Covid (CON e non PER!) di cui 184 pazienti morti con 0 ZERO altre patologie. La logica è ufficialmente morta CON covid..."




mercoledì 23 dicembre 2020

Il Natale malsano del vaticano - Lettera di Carlo Maria Viganò

 “...al centro di Piazza San Pietro troneggia una tensostruttura metallica, frettolosamente decorata con una luce tubolare, sotto la quale si ergono, inquietanti come totem, poche orribili statue che nessuna persona dotata di senso comune oserebbe identificare con i personaggi della Natività.

 

 

Lo sfondo solenne della facciata della Basilica Vaticana aumenta l’abisso tra le armoniose architetture rinascimentali e quella indecorosa parata di birilli antropomorfi.

 

È ormai evidente anche ai più sprovveduti che questi non sono tentativi di attualizzare la scena del Natale, come facevano i pittori del Rinascimento o del Settecento, abbigliando il corteo dei Magi con i costumi dell’epoca; questi sono piuttosto l’arrogante imposizione della bestemmia e del sacrilegio come anti-teofania del Brutto, quale necessario attributo del Male.

 

Come la bellezza della Liturgia Cattolica è stata sostituita da un rito che eccelle solo in squallore; come l’armonia sublime del canto gregoriano e della musica sacra è stata bandita dalle nostre chiese per farvi risuonare ritmi tribali e musiche profane; come la perfezione universale della lingua sacra è stata spazzata via dalla babele delle lingue vernacolari; così è stato frustrato lo slancio di venerazione antico e popolare ideato da San Francesco, per sfigurarlo nella sua semplicità e strappargli l’anima.

 

Riconosciamolo: quella cosa non è un Presepe, perché se fosse un Presepe dovrebbe rappresentare il Mistero sublime dell’Incarnazione e della Nascita di Dio «secundum carnem», l’ammirazione adorante dei pastori e dei Magi, l’amore infinito di Maria Santissima per il divino Infante, lo stupore del creato e degli Angeli. Dovrebbe, insomma, essere la rappresentazione del nostro stato d’animo dinanzi al compimento delle profezie, il nostro incanto nel vedere il Figlio di Dio nella mangiatoia, la nostra indegnità per la Misericordia redentrice.

 

E invece vi si scorge, significativamente, il disprezzo per la pietà popolare, il rifiuto di un modello perenne che richiama l’eternità immutabile della Verità divina, l’insensibilità di anime aride e morte davanti alla Maestà del Re Bambino, al ginocchio piegato dei Magi. Vi si scorge il tetro grigiore della morte, la cupa asetticità della macchina, il buio della dannazione, l’odio invidioso di Erode che vede minacciato il proprio potere dalla Luce salvifica del Re Bambino.

 

Questa mostruosità irriverente è il marchio della religione universale del transumanesimo auspicato dal Nuovo Ordine Mondiale; è l’esplicitazione dell’apostasia, dell’immoralità e del vizio, della bruttezza eretta a modello. E come tutto ciò che viene costruito dalle mani dell’uomo senza la benedizione di Dio, anzi contro di Lui, è destinato a perire, a scomparire, a sgretolarsi. E questo avverrà non per l’avvicendarsi al potere di chi ha gusti e sensibilità diverse, ma perché la Bellezza è necessaria ancella della Verità e della Bontà, così come la bruttezza è compagna della menzogna e della malvagità.

 

Ancora una volta, dobbiamo esser riconoscenti al Signore anche in questa prova, apparentemente di minore impatto ma pur sempre coerente con le tribolazioni più grandi che stiamo subendo, perché ci aiuta a far cadere dai nostri occhi le bende che li rendono ciechi” (*).

 

Nonostante tutto, Buon Natale

 

 

(*) Dalla lettera sul presepe del 2020 in Piazza San Pietro di SE Carlo Maria Viganò.





martedì 22 dicembre 2020

Meditazione in attesa dell'Era dell'Acquario



Da più parti avevo ricevuto l'invito a partecipare a una meditazione collettiva virtuale per il presunto ingresso nell'Era dell'Acquario, previsto il 21 dicembre 2020, giorno del Solstizio invernale. Certo che quest'anno, mancando il mio compagno, Paolo,  e mancando tutte le riunioni conviviali e/o spirituali che si creano attorno a questa data, avevo proprio pensato di parteciparvi. 

C'era un video messo in circolazione al proposito e quindi ieri sera, dopo cena, mi sono messa comoda nel lettone col portatile sulle gambe e ho cominciato a seguire questa meditazione. Ma a poco più di metà l'ho abbandonata. Non l'ho trovata stimolante. Molto lenta e le 2-3 cose le ho trovate .... non interessanti. Magari per qualcuno invece sarà stata bella.

Mi viene meglio da meditare seguendo la mia interiorità, a volte semplicemente standomene in silenzio ad ascoltare il mio respiro, a volte osservando il mondo che mi circonda o i miei gatti che dormono e fanno le fusa, a volte cucinando. A volte medito collettivamente con i canti di Mara o di Upa, ma in questo caso quello che mi piace è la connessione con gli altri esseri umani, se poi sono amici meglio ancora. A volte immagino di essere assieme al mio Paolo a leggere insieme le nostre preghiere della sera, a volte recito dei mantra o un'Ave Maria.

Mi sento meditativa anche quando io e un'amica passeggiamo chiacchierando; si crea una connessione che nutre e rilassa, mi fa pacificare col mondo (questo e tante altre cose).

E' incredibile di quante e quante cose si scoprono affascinandoci quando siamo connessi col mondo che ci circonda e pensare che è solo un'infinita parte di tutto quello che è, quello di cui noi ci accorgiamo. Da qualche tempo sono particolarmente affascinata dagli alberi. Andando lungo la via che costeggia i campi da casa mia in centro ci sono, nei piccoli giardini privati che probabilmente risalgono agli anni '70, degli alberi monumentali, sempreverdi di grande maestosità e potenza. Li amo e li vado a trovare sempre volentieri. Ma questa non è meditazione?

Per il giorno di Natale ho pensato che potrei andare a fare una passeggiata, se il tempo lo consente. Mente si passeggia si può intonare Om Mani Padme Hum, mantra della compassione (di cui c'è tanto bisogno). Oppure semplicemente ascoltare il rumore delle foglie al vento o dei piedi sull'asfalto e sulla terra.
 
Caterina Regazzi











sabato 19 dicembre 2020

Lettera a me stessa...



Ciao Caterina, ecco le mie mani sulla tastiera del computer, scrivo per distrarmi e intanto parlotto con la collega di fronte, che è carina e fa quel che si può.

Ho tanta voglia di essere abbracciata da qualcuno che mi voglia bene, ma un bene vero, tipo Viola o Paolo o qualche amica, ma non saprei bene quale.

Le poesie di Chandra Livia Candiani le sto leggendo, piano piano, ma sono poco comprensibili, le rileggerò e prenderò quello che mi danno. Sempre poesie sono e sono piene di nuvole, di uccelli, di voci, di odori. Sogno il letto che mi aspetta dopo il mio pranzo frugale che oggi sarà e base di zuppa di lenticchie e cavolo nero.

La cucina sta diventando una mia grande passione e un passatempo. Mi piace cucinare per altri ma mi piace anche cucinare solo per me stessa. Sento che il mio corpo risponde bene a questa attenzione e cura che gli riservo. Anche l'occhio vuole la sua parte e le mie zuppe sono sempre anche abbastanza belle oltre che buone. Oggi devo ricordarmi di fare il rinfresco così domani posso fare il pane. Mi spiace un po' non dedicare abbastanza tempo alla maglia e alle camminate, ma questo fine settimana cercherò di recuperare.

E anche meditare. Quei video di Tolle di questi giorni sono stati fantastici, specialmente l'ultimo che spero di aver modo di riascoltare. E' stato bellissimo il discorso che ha fatto sul senso della vita. E' vero che tutti noi (io sicuramente) spesso ci arrovelliamo perchè ci pare che dobbiamo dare un senso alla nostra vita, ma il senso sta nel viverla ed essere presenti, con noi stessi, con gli altri. Con la vita stessa.

Caterina Regazzi,  a me stessa il 18.12.2020



domenica 6 dicembre 2020

Livia Candiani (Chandra): un pulcino con la forza di un lupo...

"Maestro è colui che ti fa scoprire che non hai nessun bisogno di un Maestro e che il Maestro sei tu". (Ajiahn Munindu,  Monaco del Buddismo Teravada) 



Questa è una delle frasi che mi sono risuonate di più di quelle espresse da Chandra (Livia Candiani) durante questa sua non-intervista (*). Anche se qualcuno ha commentato che la frase non è esatta. Il concetto è quello, io ritengo.

In realtà questo video è un vero e proprio documentario su come lei interpreta alcune parole e di conseguenza, i fatti, le sensazioni e le emozioni che gliene (si dice così?) derivano: io, vita, maestri, luna, mappe, radici, e tante altre. Nelle sue parole riferite alla singola parole ci si può rispecchiare o meno, ma di certo non lasciano indifferenti.

La conosco poco, viene definita poetessa e mistica. In effetti l'avevo vista e ascoltata solo in un altro video, girato presso la Comunità di Romedia, in cui mi aveva quasi un po' urtato, con quest'aria tra lo spaesato e il sognante, sembrava quasi creato ad arte. L'aspetto era quello di una monaca (mistica) che, il giorno dell'intervista, aveva il saio sporco e quindi si era dovuta vestire con le prime cose, anche un po' sgualcite, che le erano capitate in camera da letto. Quest'aria da pulcino bagnato assieme ad una forza e una determinazione nell'espressione di sè che lasciano un po' sconcertati.  Non è usuale trovare nella stessa persona, un aspetto fragile, gracile, assieme ad una forza tale nello sguardo e nelle parole. 

Con questo video che propongo, mandatomi dall'amica Marinella, che ringrazio, che a sua volta l'aveva trovato grazie a un'altra amica, che ringrazio, Monica, viene rappresentato un modo di vivere quello che ci circonda, la vita con tutti gli esseri viventi e non, che mi si confà, che credo sarebbe buono per tanti, se non per tutti: smettere di girare e cercare, di affannarsi e amare e vivere tutto ciò che la vita ci propone al momento.

Caterina Regazzi










giovedì 3 dicembre 2020

"Atlante dell’Uranio" - Prossima uscita in italiano



Pressenza appoggia la campagna di crowfunding lanciata in questi giorni da Multimage per pubblicare in italiano l’Atlante dell’Uranio, utilissimo strumento per la lotta contro il nucleare civile e militare.

Ancora, nell’opinione pubblica, vige la credenza che il nucleare sia una tecnologia desueta in via di smantellamento: niente di più inesatto. Ancora c’è una vasta parte della comunità politica e scientifica, perfino a volte di tendenza “ecologista” che pensa al nucleare come a una soluzione al problema energetico e c’è un’industria che continua ad investire in tecnologie atomiche militari, ammodernamento di bombe, nuovi tipi di proiettili.

Nonostante il processo di smantellamento che fu messo in atto grazie alla politica di distensione messa in atto da Gorbachev ancora abbiamo un numero impressionate di bombe atomiche disseminate nel pianeta; nonostante l’ultimo gigantesco e ancora irrisolto disastro a Fukushima il Giappone stesso ha rimesso in moto le sue centrali nucleari.

Versione aggiornata dell’edizione tedesca pubblicata nel 2019, l’Atlante dell’Uranio mostra il fitto intreccio di legami politici, economici e militari che stanno dietro l’estrazione di uranio, materia prima dell’era nucleare, senza dimenticare le spaventose conseguenze ambientali e umane che questa logica suicida porta con sé.

Tradotto in italiano da Alessandro Michelucci e arricchito da una scheda originale sulla situazione specifica italiana redatta da Angelo Baracca, storico studioso militante antinucleare e editorialista di Pressenza. l’Atlante sarà pubblicato nella primavera del 2021 grazie a una campagna di crowfunding su Produzioni dal Basso

https://www.produzionidalbasso.com/project/atlante-dell-uranio/

La campagna è articolata in modo partecipativo e le ricompense pensate per favorire la diffusione tramite sconti per l’ulteriore acquisto di copie;   l’auspicio di Pressenza e di Multimage è che molte persone, comitati, associazioni, istituzioni ne diventino copromotori, diventando così diffusori di un libro che dovrebbe entrare nelle scuole, nelle biblioteche, diventare supporto all’informazione corretta e completa su uno dei più grandi sbagli dell’Umanità: l’era nucleare. Con la speranza che tale era si concluda definitivamente il più presto possibile.

Se riusciamo a raggiungere l'obiettivo sarà anche possibile distribuire l'Atlante in un congruo numero di biblioteche comunali.
Grazie per l'aiuto

Olivier Turquet 




martedì 1 dicembre 2020

Appello di Giulio Vittorangeli: "Aiutiamo il Nicaragua colpito da vari cataclismi"



 QUESTO VOGLIAMO                                                                        ESTO QUEREMOS

Prender d’assalto il cielo                                                              Tomar el cielo por a

espropriare il futuro                                                                        expropiar el porvenir

sconfiggere la morte                                                                    aniquilar a muerte

distruggere a colpi e morsi rabbiosi                                         destrozar a golpes y dentelladas rabiosas

la diga che racchiude la vita                                                     el dique que contiene la vida

affinché tutto scorra e scorra                                                     para que ésta fluya y fluya

e inondi tutto                                                                                    y lo inunde todo

assolutamente tutto!                                                                     absolutamente todo!

Abbiamo il fermo proposito                                                       Tenemos el firme propòsito

di instaurare l’allegria                                                                   de implantar la alegrìa

come unica forma di vita:                                                           como la única forma de vida:

l’unica morte possibile                                                                 la única muerte posible

sarà morire di felicità.                                                                   serà morir de felicidad.

Abbiamo il fermo proposito                                                       Tenemos el firme propòsito

di difendere la luce                                                                       de defender la luz

per noi e per voi                                                                              por nosotros y por ustedes

che verrete                                                                                       los que vienen,

che dovrete venire                                                                        los que tienen que venir

infallibilmente                                                                                  infaliblemente

uomini puri, semplici e buoni                                                      hombres puros, sencillos y buenos

uomini nuovi.                                                                                    hombres nuevos.

 

(Mariana Yonüsg Blanco - Nicaragua, Fronte Sud 1979)

 

L’Associazione Nazionale Italia-Nicaragua, in collaborazione con il Comitato di solidarietà Internazionalista di Zaragoza, ha lanciato una campagna di aiuti in favore della popolazione della costa caraibica del Nicaragua per i danni causati dagli uragani Eta, categoria 4, e Iota, categoria 5.


Due tempeste a novembre, in soli 15 giorni, accompagnate dalla distruzione di case, strade e ospedali. In un evento simile nel 1998 ci furono oltre 3000 vittime, oggi con un modello molto efficiente di protezione civile che mette al centro la protezione della vita umana, il Nicaragua è riuscito a ridurre il numero dei morti a 16.


Secondo stime del governo di Managua 56 municipi hanno riportato danni materiali e circa tre milioni di persone sono state colpite.


I danni stimati pari a 742 milioni di dollari, equivalente circa al 6% del Pil nazionale.


È evidente che i cambiamenti climatici causati dai paesi più ricchi sono pagati da quelli più poveri e che un modello efficiente di protezione civile può salvare molte vite umane anche se i danni materiali sono terribili per le infrastrutture, una situazione drammatica che si aggiunge al forte impatto del Covid sul sistema sanitario ed economico.


Spetta a tutti noi un gesto di solidarietà concreta assieme al messaggio “IL NICARAGUA NON È SOLO”.

itanicaviterbo@gmail.com

mercoledì 11 novembre 2020

La magia di Cala Roscia



Cala Roscia è una delle cale piu belle del Gargano e si trova vicino Punta Mileto, tra il lago di Lesina e il lago di Varano. La sua particolarità consiste nel fatto che la piccola spiaggia è un tappeto di gusci di conchiglie che le danno una luce intensa e una sonorità particolare. 

A fine agosto 2020, durante il laboratorio di wild earth intensive, eravamo in cerchio proprio sulla piccola spiaggia di conchiglie, a realizzare un mandala con gli intenti per un mondo migliore. Nel frattempo, mentre alcuni bambini stavano facendo il bagno alla luce del pomeriggio, un grande cocomero, che era stato messo a rinfrescare tra le rocce, si era liberato aiutato dal moto ondoso ed era arrivato al centro della cala, attirando l'attenzione dei bambini e noi tutti, divenendo a lungo fonte di giochi e di attrazione. 

Gli intenti del mondo migliore, al fine, sono stati canalizzati nelle in-finite rotazioni del grande cocomero nell'acqua del mare, poi lo abbiamo anche mangiato al sapore  di salsedine, rinfrescando le menti nella calura estiva...

Ferdinando Renzetti   



lunedì 9 novembre 2020

IL GRANDE COCOMERO di Sebastian



nuvole pioggia arcobaleno

facciamoci cullare dagli elementi nel loro processo naturale 

ognuno dice cose che direi anch'io anche se esporci fa bene

nella leggerezza della consapevolezza

con presenza intenzione apertura

intelligenza collettiva responsabilita

differenze e distanze


spazio per tutti!

spazio per tutti

quando rispettiamo la diversita


ognuno puo avere il posto suo 

nel consumismo emotivo dei nuovi rapporti


la comunità mi rende forte

quando accettta le mie debolezze

e la fiducia mi da forza


LIBERAZIONE - OCCHI DI FUOCO

OPPRESSIONE - NEL SALE DELLA TERRA

POSSIBILTA  - MIA PELLE

ORIZZONTI - DI OMBRA

FLUSSO - E GIOIA

NAVIGARE - NEL CUORE DELLA NOTTE


il viaggiatore avventuroso

nella sua barca di legno

rimane alla deriva

arriva su un isola

e incontra una donna

che lo guarda fisso

chiedendogli ....


APERTURA - ? (PUNTO DI DEBOLEZZA)

INCONTRO - SENSUALITA

SUI TUOI PASSI - CORAGGIO

                         - ONDA

                         - DOLCEZZA


 tra le mie carte

in una  vecchia fotografia

in prima pagina del giornale

nel foro dell'orecchino

in un giorno d'addio

nell'acqua che mi accarezza

nelle vibrazioni delle corde

della chitarra


nei desideri

quelli ascoltati e

quelli negati


nel silenzio della vita

le origini del movimento

sinusoidale

per rigenerarsi

geografia del desiderio

in un posto dove

ci si guarda negli occhi 


prendiamoci cura del giardino

e non soltanto della rosa


con amore

Sebastian




venerdì 23 ottobre 2020

"Settimana internazionale per il disarmo", dal 24 al 30 ottobre



Dal 24 al 30 ottobre 2020 si svolge la "Settimana internazionale per il disarmo" promossa dall'Onu.

Come ogni anno il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo aderisce all'iniziativa.
Giorno per giorno proporremo alla riflessione alcuni testi di autrici ed autori rappresentativi della cultura della pace, dei diritti umani, della nonviolenza.

*) In calce a questa nota riproponiamo un indimenticabile testo di Ernesto Balducci.
*
Solo con il disarmo si potra' abolire la guerra.
Solo con la nonviolenza si potra' sconfiggere la violenza.
Salvare le vite e' il primo dovere.

Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo





*) Riproponiamo  l'introduzione del libro di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983; un ottimo libro per le scuole che illustrava ed antologizzava la tradizione del pensiero per la pace dal Rinascimento a oggi, da Erasmo a Gandhi a Anders. L'introduzione riprende un indimenticabile intervento di padre Balducci al convegno di "Testimonianze" il 14 novembre 1981, relazione che fu uno dei punti di elaborazione piu' alti e profondi del grande movimento pacifista che in quegli anni si batteva contro il riarmo atomico dell'est e dell'ovest.
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. almeno i fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995; un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996; cfr. anche il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Fondazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: www.fondazionebalducci.it]

Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno, dinanzi a tale prospettiva, si fa piu' serrato il confronto tra gli utopisti, secondo i quali e' possibile, in ragione della stessa smisuratezza del pericolo, uscire una volta per sempre dalla civilta' della guerra, e i realisti, secondo i quali il bene della pace, anche oggi come sempre, puo' essere custodito solo dall'equilibrio delle forze in campo.
Il contrasto tra utopisti e realisti e' antico quanto la cultura, ma ha cominciato a diventare acuto agli inizi dell'eta' moderna. Nel chiudere il quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale, Giosue Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento Girolamo Savonarola, che in Piazza Signoria "rizzava roghi innocenti contro l'arte e la natura" ... "e tra le ridde de' suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolo' Machiavelli". Il sorriso scettico di Machiavelli e' durato fino ad oggi: la tesi degli autori di questo libro e' che il tempo in cui siamo rende possibile all'utopia di appropriarsi dei severi argomenti del realismo, e al realismo, pena la negazione di se stesso, di integrare in se' le ragioni dell'utopia. Savonarola e Machiavelli, insomma, non sono piu' gli emblemi di due opposte e inconciliabili maniere di progettare il bene comune. Com'e' noto, il maestro dei realisti affidava alla virtu' (che nel suo linguaggio voleva dire abilita' conforme a ragione) il compito di far fronte alla fortuna e cioe' al corso caotico e imprevedibile degli eventi. A suo giudizio, fortuna e virtu' potevano governare la storia umana con una incidenza del 50% ciascuna. Le milizie cittadine erano lo strumento primo della virtu' di un principe. Uno strumento peraltro da usare all'interno di una preveggenza multiforme delle eventualita' della fortuna. "Assomiglio quella - dice Machiavelli ragionando della fortuna, nel Principe (cap. XXV) - a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, senza potervi in alcuna parte obstare. E benche' sieno cosi' fatti, non resta pero' che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessimo fare provvedimento, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbano per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe ne' si' licenzioso ne' si' dannoso. Similmente interviene della fortuna; la quale dimostra la sua potenzia dove non e' ordinata virtu' a resisterle".
Il "fiume rovinoso" di cui oggi anche Machiavelli dovrebbe ragionare e' il fiume del fuoco atomico, contro cui nessun argine vale, nessun "provvedimento" che non sia la sua estinzione; e la "citta'" affidata al principe oggi e', secondo la "verita' effettuale", vorremmo dire materialistica, non Firenze o l'Italia, ma il pianeta Terra.
Se per Machiavelli il "provvedimento" delle armi era, di fronte all'imperativo assoluto del bene del Principato, un imperativo ipotetico, legato cioe' a condizioni di fatto, una volta che queste condizioni mutano, anche l'imperativo, per logica realistica, deve mutare.
*
Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.
La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo.che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento.
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Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e' anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale. Per pacifismo tradizionale non intendiamo qui le forme idealistiche o misticheggianti su cui giustamente cadeva il sarcasmo di Marx, ma quelle correnti ideologiche che, nell'eta' moderna, hanno posto a fondamento della politica la ricerca di una pace definitiva. In questo senso potremmo parlare di tre diversi pacifismi che hanno accompagnato, contestandole, le culture via via dominanti, il cui dogma centrale e' sempre stato la inevitabilita' della guerra.
Si ravviva oggi quel pacifismo che per solito viene detto umanistico perche' ebbe le sue prime manifestazioni nell'eta' di Erasmo, ma che potremmo chiamare anche, utilizzando un lessico piu' alla moda, radicale. Il suo principio e' la tolleranza, il suo nemico e' il fanatismo, da quello religioso a quello ideologico. La pace tra gli uomini e tra i popoli non va posata sulla fede religiosa o su qualsiasi altra visione del mondo, ma su cio' che negli uomini e' comune, sulla loro natura razionale, la cui voce e' la coscienza. "Voila' l'ennemi" diceva Voltaire indicando la chiesa cattolica. Il pacifismo radicale vede il nemico preferibilmente nelle istituzioni, in particolar modo nell'esercito, e ripone la causa dello spirito aggressivo nell'influenza nefasta che esse hanno sulle coscienze. Cio' che sembra mancare in questo tipo di pacifismo, a causa del suo impianto individualistico, e' la disponibilita' al confronto e soprattutto la giusta considerazione del valore delle istituzioni, della loro capacita', almeno potenziale, di garantire il cittadino dinanzi al privilegio e di fornirgli strumenti di diritto per il perseguimento della giustizia e dell'eguaglianza. Ecco perche' esso e' stato sempre un pacifismo elitario, capace di svegliare le coscienze, ma incapace di mordere realmente sulle cause che generano i conflitti interni ed esterni alla societa'. Il principio della tolleranza e' senza dubbio necessario a dar fondamento a una societa' pacifica, purche' pero' venga coniugato con una militanza politica il cui obiettivo sia la subordinazione delle istituzioni ai fini del bene comune e della pace.
E' questo, appunto, il principio del pacifismo democratico. Secondo la formula ideologica che gli dettero, al suo nascere, i giacobini, esso identifica la causa delle guerre con le tirannidi, e la fondazione della pace con l'esercizio effettivo della sovranita' popolare. I popoli amano la pace - ecco il dogma democratico - in quanto il lavoro, la prosperita', la liberta' coincidono con i loro interessi, mentre la guerra produce sprechi, rovine, servitu' militari. Bastarono i plebisciti di Napoleone a dimostrare quanto fosse ingenuo il dogma giacobino. E tuttavia l'idea che un popolo, una volta che gli siano assicurati gli strumenti formali della sovranita', rifugga naturalmente dalle guerre, ha avuto vita lunga. Nel primo dopoguerra essa ebbe una splendida reviviscenza con la dottrina di Wilson che tenne a battesimo la Societa' delle Nazioni. Ma fu proprio nella piu' democratica delle repubbliche, nata dalle rovine dell'Impero tedesco, quella di Weimar, che prospero' e trionfo', col rispetto delle regole, il nazismo. Ed oggi noi siamo qui a constatare che un paese di sicura democrazia formale come gli USA si e' trasformato in una cittadella atomica, alla cui ombra prosperano in tutto il mondo dittature militari. Il limite dell'ideologia democratica e' che essa chiama in causa il popolo senza tener conto delle forze che nel suo seno si contrastano e lo frantumano piegandolo alla loro logica.
La risposta piu' razionale alla questione della pace sembrava averla data il pacifismo socialista. L'internazionalismo operaio e' senza dubbio l'utopia pacifista piu' straordinaria che sia nata nel mondo moderno. Il suo strumento di lotta, lo sciopero, e' stato ed e' un'arma non violenta, che ha modificato dall'interno tutti i rapporti sociali. Ma ognuno sa che esso non e' stato in grado di arrestare nessuna delle due guerre mondiali: anche quando e' stato indetto, lo "sciopero per la pace" non ha mai funzionato. Lenin ha aggiornato la dottrina marxista della guerra, dimostrando che essa e' strutturalmente connessa alla societa' capitalistica e che percio' vivra' e morira' con questa. La razionalita' della guerra e' nel fatto di portare al limite l'inevitabile crisi del capitalismo e di preparar cosi' il suo capovolgimento: la rivoluzione. E' quanto avvenne, per suo merito, in Russia. Ma la sua tesi, smentita per due volte, era che una guerra mondiale avrebbe dovuto generare una rivoluzione mondiale.
La crisi del pacifismo socialista si e' aggravata in questi ultimi tempi, provocando un collasso estremo nella nostra cultura. I suoi segni sono di due ordini. La' dove si ritiene di aver gia' realizzato il socialismo, non solo si e' messo in piedi un apparato di resistenza militare che uguaglia quello delle potenze capitalistiche (e, in questo, chi condivide la critica socialista all'imperialismo del capitale potrebbe anche vedere un dato provvidenziale), ma ha mutuato in pieno la cultura borghese della repressione. Tra gli stessi paesi socialisti, o quanto meno liberi dalla logica del capitale, c'e' attualmente lo stato di all'erta: segno, per molti, che le cause della guerra non sono riducibili all'economia di mercato.
Ma la crisi deriva anche dal fatto che la spiegazione leninista e' contraddetta almeno da due dati oggi emergenti: i movimenti pacifisti all'interno del mondo capitalistico e l'ingresso in scena dei paesi ex-coloniali in lotta per la loro liberazione. Per Lenin tutte le potenze capitalistiche si equivalevano, dalla Russia zarista all'Inghilterra parlamentare. Per quanto duttile, il suo pensiero era ancora succube dello schematismo economicistico. Non solo, ma quello che noi chiamiamo Terzo Mondo era per lui soltanto un'appendice del mondo capitalista, una specie di immensa retroguardia del proletariato occidentale. Dinanzi ad uno scenario storico cosi' imprevisto qual e' quello odierno, l'ideologia socialista appare ormai inadeguata a dar fondamento ad un pacifismo all'altezza delle necessita'. Essa sconta fino in fondo il lato positivistico della sua origine che l'ha tenuta subalterna all'ideologia borghese. Non e' forse una tesi di Marx e di Lenin che il proletariato e' il naturale erede della cultura della borghesia, che e' intimamente cultura di violenza? Niente di strano che ben poco sia rimasto oggi, in occidente, del pacifismo proletario. Non e' forse vero, ad esempio, che, stretti nel cappio delle necessita' del sistema, gli operai prestano la forza-lavoro anche nell'immenso apparato che, in Italia come in tutto il mondo industriale, produce armi da esportare nei paesi del Terzo Mondo per dar forza ai regimi oppressivi? Marx ed Engels non si sarebbero forse scandalizzati, dato che per loro la pace sarebbe stata il risultato di una rivoluzione mondiale che, dandosi la necessita', avrebbe potuto anche far uso della violenza delle armi. Ma che senso ha oggi parlare di rivoluzione armata, quando le classi dominanti del sistema imperialistico hanno in mano le armi atomiche?
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Eccoci, cosi', alla questione di fondo. Si avverte, sempre meno confusamente, che se ci sara' una reazione all'altezza dell'estremo discrimine in cui siamo, essa non potra' essere piu' la proposta dei pacifismi tradizionali, per preziosa che sia la loro eredita', ma un mutamento culturale (la mutazione di cui sopra si diceva) che metta fine, una volta per sempre, all'eta' neolitica, tanto per usare un'espressione cara a Teilhard de Chardin, o alla preistoria, come diceva Marx. Nelle nuove manifestazioni pacifiste si va facendo strada una richiesta di cambiamento, non solo della politica, ma dei termini fondamentali della presenza dell'uomo alla storia e al mondo, e cioe' la richiesta del passaggio da una civilta' che aveva assunto la competizione come molla del suo stesso sviluppo ad una civilta' che ponga la sua radice nell'altra valenza dell'uomo, rimasta fino ad oggi marginale, consolatoria e comunque inefficace: quella dell'apertura dell'uomo all'uomo come condizione del proprio essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della solidarieta' con l'intera specie come condizione del suo essere persona.
Tra i molti orizzonti che la scienza moderna ha dischiuso ai nostri occhi c'e' anche quello, remotissimo nel tempo, delle origini della nostra specie. Ora sappiamo che gli uomini preistorici non erano piu' bellicosi di noi, a volte non lo erano affatto. E' vero: la civilta' (ma questa parola ora la pronunciamo con piu' pudore) comincia con le istituzioni e tra di esse non manca mai la guerra. Ma questo nesso costante tra civilta' e guerra ci autorizza a dedurne che dunque la guerra e' una legge insuperabile della specie? Troppe volte, nel passato, si attribuiva alla natura della specie quello che poi si e' scoperto essere niente piu' che un portato della cultura. Ad esempio, la schiavitu'. L'opinione comune, fino a due secoli fa, era che la schiavitu' fosse un'esigenza naturale della societa' umana, proprio come aveva insegnato, nel IV secolo a. C., il filosofo per eccellenza, Aristotele. Oggi l'idea stessa di schiavitu' ci ripugna. E cosi': appena oggi si sta sfaldando il pregiudizio secondo il quale e' la natura che vuole il primato dell'uomo sulla donna: da Aristotele a san Tommaso, a Kant, a Freud, su questo punto non ci sono state incertezze. Oggi anche nel diritto italiano e' stata sancita la parita' dell'uomo e della donna nel matrimonio. Ci si va convincendo che quanto si attribuiva alla natura non era che un portato della cultura.
Non potrebbe avvenire lo stesso per la "istituzione guerra"? Come c'e' stata l'eta' della pietra e poi quella del bronzo e del ferro, non potrebbe esserci, dopo la civilta' della guerra, la civilta' della pace?
E' vero, una transizione del genere appare molto improbabile anche agli autori di questa rassegna. Un'analisi obiettiva dell'attuale corso delle cose non puo' non portare alla previsione della catastrofe. Ma cio' che e' improbabile, non per questo e' impossibile. La paleontologia dimostra che la nostra specie ha saputo sottrarsi alla fatalita' (quella fatalita' che invece ha avuto la meglio su altre specie di animali e di ominidi), mettendo i propri ritrovati (il fuoco, ad esempio) al servizio del suo istinto di conservazione. In questi decenni la specie si trova in una congiuntura del genere: il fuoco atomico, che la sua intelligenza le ha messo tra le mani, puo' incendiare e distruggere sulla Terra ogni germe di vita o puo' diventare lo strumento per inaugurare una pagina totalmente nuova della storia umana, quella in cui il genere umano viva pacificamente nell'unica citta' che e' ormai il nostro pianeta.
Per la prima volta questa utopia e' diventata realistica, sia nel senso che essa e' per la prima volta tecnicamente possibile, sia nel senso che essa e' l'unica alternativa alla morte universale Quel che le manca e', appunto, una cultura che sia al suo livello, cioe', come si e' detto, al livello della voce della coscienza e dell'istinto, una cultura della pace che succeda alla cultura della guerra di cui noi siamo figli, cosi' come alla cultura paleolitica successe, piu' di diecimila anni fa, la cultura neolitica che ancora sopravvive nelle sue istituzioni fondamentali.
E' vero, il tempo e' breve, cosi' breve che e' gia' un grave obbligo adoperarsi perche' non sia accorciato. Ed e' questo che da ogni parte viene chiesto ai titolari del potere politico, in attesa che la mutazione antropologica si svolga secondo i suoi ritmi, sicuramente lunghissimi. Essa chiama in causa la societa' in tutte le sue articolazioni organiche, anzi - non dovremmo aver paura a riconoscerlo - chiama in causa primariamente le singole coscienze. Difatti, alla base della pace c'e' una virtu' che non puo' essere insegnata: e' la fede dell'uomo nell'uomo e, in generale, la fede dell'uomo nelle risorse della sua specie, rimaste represse e mortificate dalla gelida stagione del cinismo morale. Non si obietti che questa fede nell'uomo non e' in regola con i rigori della ragione, perche' e' appunto questa ragione che, sotto le forme del rigore, a nient'altro e' intenta se non a codificare l'esistente e a proiettarne le forme nel futuro, e' proprio questa ragione il primo bersaglio della fede morale. D'altronde anche questa ragione cinica ha le sue forme di fede, quella, ad esempio, di cui danno prova, a loro modo, coloro che propongono come seria l'ipotesi di una guerra al neutrone regionale e controllata!
La fede morale non e' piu' un semplice postulato, un'esigenza cioe' senza riscontro nei fatti. Essa ha gia' dalla sua parte alcuni processi in corso, il cui senso unitario si svela solo se si assume la civilta' della pace come loro punto di riferimento e di sintesi. Si tratta di processi che stanno battendo in breccia, anno dopo anno, le premesse antropologiche della civilta' della guerra. La prima di queste premesse e' che l'uomo sia per natura aggressivo, di quell'aggressivita' distruttiva che noi chiamiamo violenza. Come sopra si diceva, le ricerche antropologiche ci hanno condotto ad un punto in cui non ha piu' senso dire che l'uomo e' per natura pacifico o che l'uomo e' per natura violento. La natura dell'uomo e' nel suo farsi, e' cioe' nella sua cultura. Come dire che l'uomo e' cosi' come si fa. Insomma, una cultura della pace non contraddice a nessun dato irreformabile, scritto nei cieli o sulla terra. Osserviamo cosa avviene nella societa' cresciuta all'ombra del fungo atomico.
- Per la prima volta nella sua storia la specie umana e' fisicamente come un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture fisiche e psichiche gia' pronte perche' avvenga l'unificazione soggettiva. Le barriere Est/Ovest e, piu' ancora, quella Nord/Sud, sono sempre piu' intollerabili: chi le tollera e' un ominide il cui sottosviluppo e' insieme intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine e' gia' segnato, perche' la loro egemonia e' diventata fisicamente impossibile. Il colosso della civilta' della tecnica - il Nord - ha i piedi di argilla. Il Sud lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui non fosse schiavo, il tempo del padrone e' finito, ed e' finita la sua cultura. Il padrone puo' morire come Sansone o puo' morire di tranquilla morte naturale, e cioe' il Nord puo' morire sotto le macerie cosmiche provocate dalla sua tracotanza o puo' morire risolvendosi in una comunita' mondiale senza piu' discriminazioni.
- Il rapporto tra l'uomo e il suo ambiente fisico non puo' piu' essere quello che e' stato, non lo puo' piu' per ragioni fisiche. L'ideologia dello sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori. Gia' si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non e' quello alienante del romanticismo, e' un rapporto su cui batte la luce dell'utopia marxiana dell'uomo naturalizzato e della natura umanizzata. La passione ecologica e' un capitolo importante della cultura della pace.
- Si diffonde la presa di coscienza che uno dei luoghi di riproduzione (e' proprio il caso di dirlo) della violenza e' il modo storico in cui si e' determinato il rapporto uomo-donna, tanto nell'esercizio della sessualita' quanto nel dispiegamento sociale e culturale della sua bipolarita'. L'emancipazione femminile, con il connesso mutamento del senso della sessualita', segna potenzialmente un salto qualitativo nella stessa soggettivita' umana. L'"altra meta' del cielo", anzi l'altra meta' della terra, a partire dall'eta' neolitica, e' stata mantenuta con violenza al di fuori degli spazi in cui si crea la storia: l'uomo del neolitico e' un uomo dimidiato e proprio per questo violento. L'emancipazione femminile e' potenzialmente un altro capitolo della cultura della pace.
- Ma il fenomeno forse piu' rilevante, che da' conforto alla fede nell'uomo, e' la nuova dialettica che si e' aperta all'interno delle grandi religioni. Possiamo limitarci, e non solo per brevita', al cristianesimo. La soglia atomica, come si e' detto, in quanto crinale tra morte e vita del genere umano, e' di sua natura il "luogo" di una mutazione. Se l'alternativa della vita trionfera', essa non potra' andare che nel senso di una composizione unitaria del genere umano. Il che significa che tutto cio' che e' nato e cresciuto con i segni del "particolare" potra' sopravvivere solo se sapra' accettare le nuove misure di universalita' concreta. Alla pari delle altre religioni, il cristianesimo non potra' non apparire (e gia' appare) come il patrimonio di una porzione del genere umano. La sua storia, nel bene e nel male, si confonde con quella dell'occidente. L'attuale congiuntura agisce come un pungolo sulla forma storica del cristianesimo, un pungolo che sgretola quel che e' connesso alla relativita' storico-geografica e, nello stesso tempo, fa emergere il suo nucleo profetico. La profezia cristiana ha questo di proprio e forse di esclusivo: che e' una profezia messianica, investe cioe' la totalita' delle speranze degne dell'uomo, prima fra tutte la speranza della pace. In questo senso il cristianesimo trabocca dai confini religiosi e si commisura, senza sforzi, sulla qualita' laica della storia.
- Non solo il cristianesimo cattolico ma anche quello delle altre confessioni che fanno capo al Consiglio Ecumenico delle Chiese sta spostando l'asse della propria vita interna o della propria missione storica dagli spazi religiosi a quelli antropologici, dove hanno rilievo decisivo la giustizia e la pace. Su queste frontiere l'ecumenismo e' gia' in atto. Morendo alle sue terribili stagioni di complicita' con le guerre, il cristianesimo di ogni confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che e' la passione per l'uomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civilta' della pace e' come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le giudichera'. Una chiesa veramente evangelica e' come un'obiezione di coscienza piantata da Dio nella carne viva del mondo. Ebbene, in questi ultimi tempi le chiese, perfino nei loro vertici istituzionali, che sono piu' tardi a muoversi e che d'altronde hanno ancora un pesante conto da pagare alla civilta' della pace, si sentono sospinte sulle trincee dove si prepara la guerra per pronunciarvi il loro no. Secondo alcuni, e' gia' matura la stagione per un Concilio ecumenico in cui le chiese si ritrovino non per lanciare un nuovo messaggio al mondo ma per assumersi, nei modi loro propri e con tutte le conseguenze, la responsabilita' della sopravvivenza del mondo e, in positivo, dell'avvento della civilta' della pace.
- Sono passati dieci anni da quando il rapporto Faure, condensando un'indagine commissionata dall'Unesco, riconosceva che la crisi della scuola era un dato evidente in ogni parte del mondo e osava affermare che, alla radice di questa crisi, c'era una "mutazione antropologica". Gli autori di questa rassegna hanno la pretesa di sapere di che mutazione si tratti. La scuola, nelle forme e nei modi che le sono stati assegnati dalla rivoluzione borghese e che nei paesi dell'Est europeo appaiono aggravati, e' sempre stata l'apparato ideologico destinato a procurare consensi al potere costituito o quanto meno alle classi dominanti. Le classi dominanti, per definizione, guardano al mondo con l'occhio del dominio e cioe' l'occhio che, viziato da daltonismo ideologico, scambia il proprio particolare per l'universale, il proprio calcolo per la Ragione, la propria espansione colonialistica per la diffusione della civilta'. Ma l'occhio fiero del padrone ha bisogno dell'occhio umile dello schiavo: oggi, finalmente, l'occhio umile non c'e' piu'. Le barriere, almeno dal punto di vista conoscitivo, sono cadute e nessuna cultura puo' ormai provocare un'eco veramente umana nelle coscienze se non e' cultura planetaria, e cioe' se il suo punto di vista non e' il punto di vista del pianeta divenuto l'indivisibile citta' dell'uomo. Per diventare planetaria la cultura deve essere cultura di pace.
La mutazione antropologica che, secondo il rapporto Faure, sta alla base della crisi della scuola e' proprio questa. Se ne accorga o meno, la scuola e' ancora un organo di diffusione della cultura padronale che e', per forza di cose, cultura di guerra, in contrasto strutturale con i processi di crescita che abbiamo appena indicato. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi finche' non scenderanno a questa profondita', per mettere in questione il presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.
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Uno dei modi con cui la scuola puo' inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi e' la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed e' un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredita'. Tutto cio' che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell'utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato ai margini come ingenuo o poeticamente evasivo. E' razionale solo cio' che e' reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere. La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco piu' che interpunzioni nel "continuo" del divenire bellicoso della civilta'. La "verita' effettuale" e' diversa. E' diversa non solo nell'animo e nel costume dei popoli, che negli annali ufficiali sembrano piuttosto oggetti che soggetti di storia, ma anche nello svolgimento del pensiero a cui e' solito rifarsi, come propria sorgente, il mondo moderno.
E' appunto di questo secondo aspetto della verita' effettuale che la presente rassegna intende offrire una larga documentazione critica. Il panorama che essa offre e' di necessita' limitato, nel tempo e nello spazio. Nel tempo: la rassegna si apre col periodo in cui prende origine la politica degli Stati e congiuntamente si trasforma, anche dal punto di vista tecnico, l'"istituzione guerra". Nello spazio: la rassegna resta, salvo qualche sortita, nei confini del pensiero occidentale anche perche' e' in quest'area che la civilta' della guerra ha prodotto le sue grandezze e oggi il suo dilemma mortale.
Secolo dopo secolo, autore dopo autore, l'utopia della pace appare in queste pagine sempre in un rapporto dialettico con la realta' della guerra e appare sempre, alla prova dei fatti, perdente. Solo oggi, nell'era di Hiroshima, le due logiche, quella dell'ideale morale e quella della necessita' realistica, arrivano a coincidere dischiudendo una ricca gamma di prospettive morali e politiche.
Gli autori della rassegna non nascondono affatto quale sia, in rapporto a questo singolare evento della coincidenza tra utopia e realismo, la loro posizione, anzi hanno voluto apertamente dichiararla fin da questa lunga premessa. E tuttavia essi sono convinti di non aver fatto forza al senso oggettivo delle cose, di non aver contraffatto l'immagine della realta' su cui le coscienze possono elaborare, in modo autonomo, le proprie scelte. Lo strumento che essi hanno preparato intende provocare e soccorrere, all'interno della scuola, un dibattito che e sicuramente il piu' alto, il piu' universale e, sia permesso di dire, il piu' religioso tra quelli che fanno ancora della scuola l'occasione piu' importante per la formazione dell'uomo nuovo. I lettori, giovani o meno, giudichino da loro. E ci aiutino a colmare lacune e a rettificare giudizi per rendere il nostro lavoro sempre piu' adatto ad illuminare e ad alimentare, dentro e fuori della scuola, la cultura della pace da cui dipende il destino della Terra.