Troppe persone, troppa informazione, troppo individualismo, troppa
disgregazione, una sola miccia. Meglio fare attenzione.
La stirpe
Si va di fretta.
Era ieri il tempo del capitalismo finanziario – che da poco aveva
mandato al macero, quantomeno culturale, quello storico,
effettivamente ormai anziano – e strane avanzate cinesi lo hanno
obbligato ad alzarsi – nonostante i consigli di Mr Lehman e
dei suoi fratelli – dagli allori. Una sveglia piuttosto
dura, da scuola ufficiali, gli è entrata nel cervello. E si è
effettivamente svegliato. E dato da fare. Da dove sennò il
globalismo economico? Bella idea, ma ancora carente. Ancora troppo
lassista: non aveva dato il giusto peso inerziale implicito nelle
nazioni, nelle tradizioni locali. L’ordoliberismo era servito su
tutti i tavoli dell’Occidente (in senso lato). Sembrava a basta.
E invece no. Oppure, non da solo. Il suo gemello meno appariscente
porta ancora il nome dell’avo, ma ha doti tutte sue. È il
capitalismo della sorveglianza. Doti nascoste, esattamente come è
nascosta alla maggioranza la sua modalità di azione. Anzi, di
coercizione. Una vera magia. Un incantesimo che ci fa credere sia
bene per noi ciò che serve a lui per prosperare. E, se già non in
atto, con propaggini fino a dentro di noi.
Così, in men che
non si dica, il capitalismo che era cosa solo violenta e
problema solo proletario, si è evoluto in umiliante per tutti
e offensivo per la politica e la società. Politica in senso
gramsciano, democratico, di una volta. Non quella di oggi, attrezzo
di servizio del liberismo.
At TENTI aaa…
Est!
L’excursus appena
riassunto permette di osservare – come fosse ancora necessario –
i segni del suo corso. Dai rubinetti della grande diga del pensiero
unico sono sgorgati vari regali: la riduzione del welfare,
l’abbattimento dell’articolo 18, la determinazione a
digitalizzare, la diffusione del 5G, la precarietà come valore alla
libera iniziativa, le privatizzazioni. Un flusso la cui portata non
ha barriere che ne ostacolino la corsa. Che permette di vincere
facile la scommessa su cosa ci aspetta. Basta pensarci poco. Basta
estendere di poco ciò che è sotto gli occhi di chiunque non sia
inadeguato a riconoscere il flusso del mondo. L’istruzione sarà
solo tecnica frammentata, limitata alle esigenze della produzione e
dell’amministrazione. Sarà impartita da software e formerà menti
circoscritte, programmate, appunto, a svolgere e pensare in modo
preordinato. La vita privata e il tempo libero, o del non lavoro,
saranno cadenzati da una ritmica stocastica, senza armonia né
riguardo, da un calendario opportunamente studiato per massimizzare
gli investimenti. Vita lavorativa e privata, magistralmente riempite
da permanenti sottofondi di stillicidica spinta alla spesa, saranno
scomposte in voci elencate nell’excel di tablet che contano. Quelli
in mano a pochi, in case private e sale riunioni, non più nel
palazzo. Tutti i dati saranno opportunamente e ulteriormente
studiati, affinché anticipino i problemi del personale e del
sociale, ne creino i bisogni e ne soddisfino i desideri, secondo
modalità in permanente perfezionamento. Il progetto di
controllo/ubbidienza non lascerà nulla in mano a qualche burocrate
umano. Il computo della verità sarà preciso. Se qualcuno vorrà
porre domande, potrà consultare le faq del sito pertinente o
attendere di parlare con risponditori automatici.
Si tratta di uno
standard del quotidiano, nascosto sotto gli slogan che ci raccontano
il vantaggio di non avere più banconote, di essere sempre connessi,
così ti guardi il film quando e dove vuoi, eccetera,
eccetera. E tutti seguiremo la narrazione della favola che, in quanto
tale, ha sempre un lieto fine. Se qualcuno di inadeguato non ha
chiaro il senso, la questione è subito risolta. Sarà sufficiente
ricordare che per l’€uro è andata proprio così. Costava quasi
duemila lire, ma poi, a cambio avvenuto, ne avevi in tasca mille.
Ma tutto ciò
riguarda il privato. A quelli del tablet e dell’excel interessano
anche, se non soprattutto, i modelli di gestione dei grandi numeri.
Nei grandi numeri è sempre presente tutto e il suo contrario. Non si
può più procedere con le trapassate politiche delle ideologie,
della destra e della sinistra, della democrazia, del suffragio
universale, del diritto di voto, allo spostamento, alla salute, alla
giustizia. Serve una concezione adeguata a gestire moltitudini, che
sono una grana sociale per definizione e – con la globalizzazione –
mondiale. Ma anche stavolta cascano in piedi. Parlo delle élite, non
quelle della politica, ma dei fuoriserie. Non quelle ascoltate e poi
élite, ma di quelle occulte. Non solo al loro stesso circolo.
Queste elitè non devono arrovellarsi per capire con quale
subliminale strategia riportare le monarchie là dove erano state
spazzate via. Basta guardarsi intorno ed ecco comparire sulla scena
delle possibilità quantiche Xi Jinping e Kim Jong-un. Tanto
ufficialmente denigrati dall’ufficialità occidentale, quanto
apprezzati e in corso di imitazione. I loro successi in fatto di
controllo parlano per loro. Il loro potere è l’esempio di un
modello ancora ineguagliato.
Lavoro
L’esperienza
antropo-sociale dell’industrializzazione non è servita a niente.
La portata di infrazione della tradizione umanistica che ogni operaio
portava in sé ha generato alienazioni di gradiente vario. Alla scala
più bassa, ha prodotto una cultura del lavoro meccanicistica, che ha
poi invaso tutti i contenitori dell’occupazione, in grande misura,
artigiani inclusi. A livelli alti, ha portato a patologie fisiche e
psichiche, fino a suicidi. Si era al tempo della prima generazione di
bimbi e ragazzi che crescevano senza vedere e toccare, e quindi senza
imparare, il lavoro dei padri.
Dunque, se un tempo
il lavoro comportava conoscere l’intero processo, dall’idea alla
creazione, all’uso e alla riparazione, ora si lascia e si vanta che
tutto ciò sia e resti in mano alle cosiddette eccellenze. Enclave di
libertà per chi ha la sorte e le doti per abitarle. Almeno fino a
quando anche loro non saranno semplicemente e soltanto
strumentalizzate dai detentori dei titoli. Non di Stato ma di qualche
Big qualcosa.
L’uomo comune,
della strada, a breve qr-numerato per un raffinato monitoraggio e
controllo – ma numerati lo siamo già – sarà definitivamente
alienato dal suo spirito e dal suo talento. Dai suoi sentimenti,
quelli che univano e separavano spiriti, ora contratti d’interesse.
Indirizzare loro l’attenzione su ciò che conta sarà opera
necessaria per il solito bene di tutti. Che sia a suon di benefit o
di nanotecnologia in gita lungo i canali del sistema di circolazione
del sangue, non è importante. Inutile ribellarsi, ti citeranno
Machiavelli.
Come in allevamenti
intensivi, svolgeremo il lavoro per poter mangiare, per poter
emergere, per dire di aver capito come gira il mondo. E anche per
andare al resort nel tempo libero, o in parte di esso, perché i
denari non basteranno per più settimane. La ripresa, lo sapete,
comporta costi, sacrifici e tasse. Sappiamo anche che si tratta di
argomenti che tirano verso il basso, che spingono a lavorare di più,
eventualmente anche ad accettare il cottimo. Per dimostrare le ore
passate a produrre davanti al monitor, si accetterà il controllo
remoto. Già accettato? Pardon, non sapevo. Non serviranno
nemmeno più i proboviri e delatori. Via, nel disoccupatoio anche
loro.
La disoccupazione,
da crescente ed irrefrenabile che era, viene trasformata nel nuovo
ordine in risorsa utile, di facile controllo e oppressione. Utile, in
quanto diviene una riduzione di spesa che, insieme a molte altre, è
indispensabile al pensiero produttivista per tenere in piedi se
stesso. Facile, in quanto addomesticabile con pochi luccichini e
ciondoli. Opprimibile con qualunque balzello si voglia.
Come diversamente
intendere il reddito di cittadinanza – o comunque si voglia
chiamare quel sistema di tenuta a bada della crescente disoccupazione
– ?. L’antico popolo del sottoproletariato, ora come allora privo
di un intruppamento ideologico, ma assai più ricco e disincantato, è
una neoplasia sociale che può declinare al maligno, se non
costantemente monitorato e soporiferizzato.
L’ordine ai
giornalisti
Il Potere è una
ricetta che si può preparare impiegando al meglio il denaro.
Comprando i prodotti migliori ci si garantisce buona parte del
successo. Per i dosaggi, beh, quella è arte culinaria dello chef. E
abbiamo già visto che ci sa fare. Sul banco del mercato si trovano
strumenti e servizi utili al menù. Ognuno ha il suo cartellino
infilzato. Chi può, compra. Classe politica, maschere democratiche,
scienza sono strutturali, ma quello che amalgama il tutto e permette
di portare il piatto in tavola è la narrazione. Per questo i
narratori non mancano mai.
Se i giornalisti
intellettualmente onesti dovessero sentire irritazione per quanto
appena detto, a tutti gli altri vorrei chiedere a quanto si sono
venduti. Perché, se così non fosse, il bulgaro allineamento che
hanno saputo esprimere e stanno esprimendo comporta solo
un’alternativa: che non ci siano arrivati.
Dunque, realizzare
un’informazione solo di regime fa parte del progetto in corso. Nei
tablet ci sarà l’opportuno excel con un foglio per gli scienziati
– ormai scientisti – e uno per i giornalisti, in modo tale da
poter confrontare le spese sostenute.
Così operando, le
voci fuori squadra – siano di intellettuali, di scienziati
indipendenti, di ricerche universitarie, di giornalisti critici,
nonché di comuni cittadini – diventano una goccia che senza sforzo
alcuno si perde nel mare del pensiero
sistemico-di-dominio-e-controllo. Una sparizione preceduta dalla
criminalizzazione. E il dibattito? E la società civile? E la
democrazia? Domande vecchie. Per le risposte vedi “modello cinese”.
Così
l’intellettuale e, più in generale, il valore della conoscenza,
vengono relegati ai margini, sfrangiati di credibilità, almeno per
la persona che, oltre al divano e al tg, altro non può fare.
L’ingenua onestà è limitata a macchie e alle periferie del
grande, travolgente corso della corrente principale.
Le enclavi dei
colpevolizzati responsabili della permanenza della proto-pandemia,
ora maltrattati, ma in qualche misura e per qualcuno esistenti ed
importanti voci nella bolgia del vaccino o morte, a scopi raggiunti,
saranno lasciati perdere. Con una sola possibilità di salvezza,
forse solo momentanea, se è vero come qualcuno ritiene, che la
Big-narrazione ha sì appiattito il senso critico e della dignità
della maggioranza, ma, con le sue contraddizioni e bugie, ha anche
contemporaneamente scosso cuori e pensieri che, da accondiscendenti
si solo levate a critiche.
Alienazione -
Luoghi
Per nulla
collaterale al progetto principale, anzi, caposaldo della sua
solidità, è la realizzazione di una crescente alienazione
individuale. Per quanto già endemico tumore della società
industriale, alla quale, peraltro, non recava disturbo alcuno, è poi
divenuto chiaro che l’estraneazione dal senso della vita, lo
sradicamento dalla sede del proprio sé, il taglio dei legami
tradizionali tanto profondi, quanto di superficie, tornavano assai
utile al Big-progetto. Chi più di un alienato, uomo senza direzione
sua, è disponibile a seguire quelle subliminalmente imposte da
altri?
I paesi europei
hanno un passato tale per cui certi aspetti del progetto, dedicati
all’alienazione attraverso l’urbanistica, saranno poco visibili.
Ma i centri urbani prossimi saranno senza centro, come già nei paesi
dell’ex Urss e degli Usa. Ordinati intrecci di strade senza
culmine, senza cuore, né storia. Sovrapposizioni di periferie
farcite dei servizi utili al controllo siano parchetti, telecamere e
flipper digitali buoni a intrattenere chi non si è avveduto di quale
scippo vitale è stato vittima. Buone per cittadini a loro volta
senza più possibilità di fare riferimento al passato, al proprio
passato, quale sacro corpo di se stessi.
Ci restano così
città, strade, paesaggi, coste, valli violentate. Una lezione senza
senso per tutti gli assessori disposti a concedere permessi per nuovi
centri commerciali.
In nome del
progresso, del profitto e del potere, i capitalisti della prima
generazione hanno eretto quartieri e abitazioni che chiamavano
razionali. In pochi metri quadri c’era tutto il necessario per una
vita dignitosa. I poveretti di allora non potevano che sentirsi
inferiori a chi spiegava loro il concetto di razionale. Che non
fossero funzionali se l’erano tenuti per sé. Ancora oggi, la
villetta o l’aiolone corrispondono ad una vita degna della
dogmatica triade mai discussa, oggi così aggiornata: produci fuffa,
taci fai il tuo, crepa e fatti sostituire.
Nella foglia di
fico della green-economy, dietro la quale, come da canovaccio
aziendale, tutti ci mettiamo in posa per la foto di rito, c’è
perfino lo spazio per plaudire a palazzi, vessilli del cemento per
ontologia, che possano essere contemporaneamente un faro ecologico se
ricoperti di piante. Dov’è un mondo più al rovescio di questo?
Aeroporti, stazioni
e non luoghi, nient’altro che corridoi e piazze del consumo,
dell’apparenza, corridoi della concorrenza e fosse comuni per gli
agguati del marketing. Sono percorsi ed attraversati da uomini
stimati in funzione della loro capacità di spesa e controllo.
Manager e/o
calciatori hanno ragione del loro stipendio. Gli uni preparano il
banco e gli altri corrono come la pallina della roulette che i
giocatori seguono con gli occhi fino allo stop. Dopo, si rigioca, in
ambo i casi, di vincita o di perdita. La vita è tutta qui.
Alienazione -
Informazione
Il disorientamento
generale su ciò che conta, insieme alla focalizzazione
dell’attenzione su quanto brumorizza gli spiriti e soddisfa le
emozioni, è un momento sostanziale del Big-progetto.
Esso si realizza
attraverso lo sfruttamento della moltiplicazione di informazioni che
l’epoca del web ha comportato. L’inseguimento della notizia in
forma consumistico-compulsiva anestetizza la riflessione. Il
tempo-zero del tempo-reale permanente non lascia spazio, se non a
reazioni impulsive. Il consumo obbligatorio – se non sei
aggiornato, non sei, non esisti – di informazione comporta
assuefazione e relativa dipendenza.
Sopraffatti dalle
info provenienti dal grande volume della realtà, ci si imbatte in
tutti i tipi di voci e in tutti i loro contrari. Più che mai
servirebbe la centratura su se stessi, la libertà dalle ideologie
piccole e grandi, per passare indenni nelle burrasche di richiami, il
cui vento dominante spinge quasi tutti verso i tranquilli approdi del
pensiero unico.
Se molta prosopopea
occidentale che riempie i film hollywoodiani è facilmente penetrata
in noi, l’ultima idea per far consumare i divani invece delle
piazze sono le serie tv. Catene di ore collegate dall’attenzione
utile all’ammansimento, alla sottrazione del tempo della
riflessione.
Alienazione -
Pubblicità
Accettiamo quantità
e qualità di pubblicità come fossimo fessi. Evidentemente lo siamo.
Non c’è luogo pubblico e privato che ne sia privo. Capita,
percorrendo certe strade fuori mano, di avvertire un piacere, un
silenzio che entra in noi a sostituire il rumore. Solo poi ci si
accorge che era una strada senza pubblicità. Il paesaggio,
solitamente sfregiato, mostrava il suo volto. E ci sorprendeva. La
pubblicità lo aveva sostituito senza che, come fessi, dicessimo
nulla.
E come sottrarsi
dal gruppo, se accettiamo di essere costantemente offesi da
espressioni e formule che non possono che essere pensate per
destinatari vuoti o per svuotare chi ancora avrebbe qualcosa da rie?
“Scopri”,
“Corri”, “Risparmia”, “Irripetibile offerta”, “Sconti”,
“Riprendi la liberta”, “Fuori tutto”, non sono innocui inviti
commerciali. Sono vero, autentico, ripetuto, persistente linguaggio.
E quale mondo possiamo creare se il linguaggio appreso è roba da
venditori, imbonitori e commercianti?
Ovunque c’è il
medesimo sottofondo di offensiva spinta al consumo. In auto la radio
accompagna i chilometri. Anche se inascoltata, il lavoro della goccia
non si interrompe. Identicamente avviene in casa e nei locali, con la
televisione. Più che colonne sonore si tratta di marce funebri della
vitalità con la quale nasciamo e alla quale abdichiamo per futili
motivi scambiati per importanti. Proprio come da pubblicità.
La profusione di
video e di intrattenimento offerto dal web sostituisce attività
motoria e letture, probabilmente in modo crescente. Il loro
compulsivo consumo ne dimostra la dipendenza che generano. Dipendenza
che non è un fatto tecnico. È un fatto sostanziale della persona,
del suo equilibrio e della sua forza. L’assuefazione nei confronti
dei consumi ne alza la richiesta e sottrae alle persone il mondo che
la loro creatività gli garantirebbe.
In radio passano le
canzoni che hanno pagato l’obolo per farle sopravvivere, nelle
testate web siamo costretti a vedere video di blasfemica oscenità
consumistica sovrapposti ad annunci di falsa attenzione alla nostra
sensibilità per vantare una deontologia, per acquisire un click in
più, per spacciare come informativo un video spesso vuoto
d’informazione. E dove si trova quella deontologia davanti a film
di Hollywood che hanno permesso alla violenza di essere parte del
nostro immaginario e di fare ogni altra offesa alla serenità a
partire dall’infanzia senza finire mai? Pur di vendere, si investe
in schizzi di sangue e pestaggi che poi, dopo la formazione di
innumerevoli pellicole, si vedono nei video delle telecamere di
quartiere.
Alienazione
- Umiliazione
Contenti di
riempire i centri commerciali, di vivere la soddisfazione d’aver
comprato con lo sconto, di raccontarlo alla prima occasione per far
salire l’autostima, altrimenti mortificata in tutti gli altri meno
miseri modi. Fatto salvo l’indossare il capo firmato o comprare a
rate il necessario per sentirsi alla pari con qualche immaginario
mito. E se serve all’acquisto, nessun problema, comode rate o
prestiti fino a, pur di stare al passo con i valori ben
imparati di una vita che corrisponde alla mortificazione. E chi ne
ha, ne vuole di più. Calciatori, divi e manager sono il non plus
ultra. Dietro a questi, non c’è il calcio e i suoi affari sporchi,
le multinazionali e i suoi loschi profitti, c’è la società che
alimentiamo adattandoci ai suoi valori fittizi: “tutto chiacchiere
e distintivo”. Ma si tratta di tenzoni frustrate sul nascere. Se
non se ne elabora il lutto diventano silenti, insopportabili dolori.
Sempre più idonei
a consumare il tempo, dicendo, facendo e propugnando l’importanza
del superfluo. Telefonate interminabili riempite di mille parole che
ridondano il medesimo micro-contenuto che si vuole esprimere. Sempre
in crescente compulsiva ricerca di mail, news, messaggi. Stimoli che
portino una ragione alla nostra vita, al nostro tempo, al nostro
momento, nient’altro che sintomo di uno stato intimo tutt’altro
che forte e sano, semmai incline a scivolare verso l’alienazione
patologica, allo squilibrio psicosomatico, alla perdita di senso
profondo delle cose. Quel senso che, seppur con i suoi travagli,
costituiva un punto di riferimento fisso. La famiglia, la madre, i
genitori, la casa, le tradizioni, il lavoro del padre, la nazione, la
patria, i confini. Basta! Tutto spazzato via. Apolidi di congreghe di
pari interesse, pronte a sciogliersi se improduttive, senza peso
umanistico, solo affaristico.
Dove siamo
finiti
Chi crede a questa
linea verso l’alienazione se non il giovane concepito, gestato,
nato e cresciuto entro la ridondanza delle verità del marketing?
Babelica torre in cima alla quale risiede, nascosta a tutti, l’idea
che i diritti del singolo io siano superiori a quelli della specie
cui appartiene. E di pari valore anche l’idea predatoria che
prevede la proprietà umana della terra. Idea di uomini limitati
nella loro concezione egoistica, inetta a riconoscere la dignità che
dovremmo riconoscere al pianeta, indipendentemente dai nostri
interessi, come si fa, o si faceva, nei confronti dei genitori, di
ogni sacralità. Fuori dalla grazia di Dio, dicono i cattolici
per alludere ad una condizione d’animo in cui il male ci ha presi,
ci domina e ci guida.
Un costo beneficio
tra presunti diritti individuali e cultura, è una partita impari. Il
cui beneficiario di tutte le scommesse è il culto della tecnologia e
lo scientismo. Affascinati, abbiamo seguito la striscia bavosa che si
lasciava dietro, mentre puntava dritto nel postumanesimo. Uomo e
tecnologia, connubio della perdizione, matrimonio satanico la cui
prole spazzerà via dalla storia, la storia che abbiamo conosciuto,
la dimensione analogica del mondo e della vita. La misura d’uomo. I
principi e i valori in cui ci riconoscevamo, ai quali ci riferivamo.
L’umiliazione è
un registro interessante, provoca rancore e dimostra la condizione di
inferiorità che implica. Quando si ripete persistentemente in uno
stato già prostrato diviene tratto del carattere che contiene il
desiderio di rivalsa e vendetta, che contiene rancore. Meglio allora
soporiferizzare.
Saranno sfruttati,
quando non artatamente messi in scena, scandali, arresti, vittorie
dei diseredati, buonismi, attentati e virus, per dimostrare quanto
anche loro debbano avere le loro soddisfazioni, affinché il
controllo raggiunga il suo scopo di annullare i problemi. Troppe
persone, troppa informazione, troppo individualismo, troppa
disgregazione, una sola miccia.
Meglio fare
attenzione.
Lorenzo Merlo