La questione dell’accesso, sia ai verbali del CTS sia ai dati della pandemia, non è meramente formale, ma ha a che fare con la stessa tenuta democratica del sistema. In Francia, patria dei diritti, tutti gli “avis” resi dal Conseil Scientifique sono stati pubblicati online sin da subito. In Italia, le libertà fondamentali hanno subìto forti restrizioni, in forza di provvedimenti legislativi adottati sulla scorta dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico, il cui accesso ai cittadini è stato negato. Il ripristino del principio di trasparenza, ancora oggi sospeso, potrebbe essere un’occasione di rinnovo del rapporto di fiducia tra Stato e Cittadini alla base della partecipazione democratica.
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La pandemia da Covid-19 e l’emergenza che ne è derivata hanno stravolto le nostre certezze e inciso sui nostri diritti, ma stanno anche ridefinendo il rapporto tra Stato e Cittadini.
L’azione di governo, ispirata a criteri di urgenza e tempestività dettati dalla drammatica situazione di marzo, ha inevitabilmente comportato la compressione delle libertà fondamentali per garantire la tutela della salute collettiva contro un nemico invisibile e sconosciuto.
Misure inevitabili nel momento della massima emergenza, quando peraltro le conoscenze scientifiche relative al SARS COV-2 erano, se non inesistenti, assai limitate e che i cittadini hanno accettato con grande senso di responsabilità.
La notizia di questi giorni, relativa al negato accesso ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico, oggetto di una nota vicenda giudiziaria dinanzi il giudice amministrativo, ci offre tuttavia un interessante spunto di riflessione su Stato di Emergenza e Principio di Trasparenza dell’azione amministrativa.
La Trasparenza è un principio cardine del nostro ordinamento e costituisce per tutti i cittadini una garanzia di controllo sull’operato della pubblica amministrazione: è grazie a questo diritto che si possono conoscere i criteri utilizzati per l’adozione degli atti e delle scelte dei poteri pubblici. Il principio è contenuto nell’art. 97 della Costituzione e ha lo scopo di rendere comprensibile ed intellegibile ai cittadini l’azione dei soggetti pubblici al fine di esercitare il controllo democratico. Talmente è ritenuto rilevante e fondamentale, da essere stato oggetto di una specifica definizione e diverse riforme ne hanno progressivamente ampliato la portata. Il fondamento risiede nel favorire la partecipazione del cittadino al processo politico e dunque garantire un controllo dal basso, in attuazione del principio democratico. Recita in tal senso l’art. 1 co. 2 del d.lgs. n. 33/2013: “...(la trasparenza) è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino”.
Usciamo ora dall’empireo dei diritti e torniamo ad occuparci del nostro C.T.S. (acronimo con il quale abbiamo da tempo familiarizzato), l’organo consultivo istituito dall’Ordinanza del Capo della Protezione Civile già il 3 febbraio 2020, composto discrezionalmente prima di 7 membri e successivamente di 20, che vi siedono alcuni “di diritto” altri in qualità di esperti delle varie discipline interessate dalla pandemia. E’ evidente a tutti il ruolo determinante rivestito dal CTS, previamente consultato dal governo prima di assumere ogni decisione e provvedimento. Se ne ha certezza dalla lettura del DPCM del 26.04.2020, nelle cui premesse si fa esplicito riferimento ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico.
Ora, pur essendo noti i nominativi dei componenti del Cts, alcuni dei quali protagonisti dei quotidiani bollettini informativi, altrettanto non può dirsi del contenuto dei citati verbali, dei quali a tutt’oggi si conosce l’esistenza ma non il contenuto. Già ad aprile numerosi organi di stampa e non solo ne avevano sollecitato l’ostensione, ricevendo come risposta che la pubblicazione sarebbe avvenuta “quando ragioni di opportunità lo renderanno possibile”.
Coerenti con l’intento di mantenere la riservatezza, il cd. Decreto “Cura Italia” emanato il 17.03.2020 ha sospeso il cd. “FOIA”, altro acronimo che sta per “Freedom of Information Act”: si tratta, più semplicemente, del diritto all’accesso civico generalizzato, che garantisce a tutti i cittadini di conoscere e accedere agli atti della Pubblica Amministrazione.
Tale limitazione alla trasparenza pubblica, in uno stato di emergenza sanitaria, è ritenuta accettabile solo se limitata nel tempo, tant’è che il termine finale della sospensione era stato individuato nel 31.05.2020.
Ma non è andata così: ed infatti, a fronte della richiesta avanzata dai legali della Fondazione Luigi Einaudi di accedere ai cinque verbali del CTS correlati all’emanazione dei DPCM, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha risposto negativamente, arroccandosi su una posizione formale e sostenendo che quei verbali sono atti “prodromici” all’adozione di un provvedimento legislativo e che dunque, come tali non possono formare oggetto di diritto all’accesso.
Il Tar Lazio, tuttavia, ha dato torto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e stabilito che, a partire dal 21.08.2020 detti verbali debbano essere resi pubblici.
Ma la Presidenza del Consiglio ha perseverato nella propria posizione, proponendo appello al Consiglio di Stato (l’organo che nella giustizia amministrativa equivale alla Corte di Cassazione nella giustizia ordinaria) e chiedendo di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza del TAR Lazio.
Il Consiglio di Stato, ha accolto la richiesta di sospensiva, in considerazione della complessità e della natura inedita della materia, tali da meritare una trattazione più ampia e collegiale. Tuttavia, il decreto del Presidente della terza sezione, nel provvedimento, ha voluto già da ora chiarire che detti verbali sono stati il presupposto tecnico per l’adozione di misure volte a comprimere fortemente diritti individuali dei cittadini, che hanno accettato le forti riduzioni di libertà “in nome di una emergenza sanitaria i cui aspetti proprio quei verbali elaborano” e che una lettura costituzionalmente orientata della normativa non consente di sottrarre quegli atti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, quale ne sia la natura.
E dunque la domanda che ci poniamo è: può lo stato di emergenza sanitaria legittimare una limitazione dell’accesso ai dati sulla base dei quali vengono compresse le libertà fondamentali dei cittadini?
La risposta è legata al concetto di “accountability”, intesa quale dovere della politica di rendere conto della propria azione, concetto elaborato già nel 1689 da John Locke: ebbene, come recentemente sostenuto da Enrico Carloni, è proprio nel momento dell’emergenza che il principio di trasparenza deve emergere nella sua pienezza quale “antidoto alla concentrazione di potere, come necessario strumento di riequilibrio a fronte del ruolo crescente che assumono le autorità” chiamate a gestire una dimensione straordinaria come la pandemia da Covid-19.
E’ questo dunque il momento in cui l’importanza dell'informazione si manifesta in tutta la sua criticità ed è attraverso la messa a disposizione dei documenti che supportano le decisioni che limitano le libertà fondamentali che il cittadino può - come suo diritto - valutarne la proporzionalità e l’adeguatezza ed esprimere un giudizio sull’appropriatezza della decisione politica, ma anche consentire la verifica delle fonti scientifiche utilizzate. Questa del resto è l’essenza della democrazia e l’esercizio della sovranità da parte del popolo.
Esperienze simili, in Europa, ci portano ad esempio in Francia, dove l’organo corrispondente al nostro CTS (peraltro costituito secondo criteri differenti) ha adottato una linea diametralmente opposta all’Italia, pubblicando sin da subito online sul sito del Ministro della solidarietà e della salute tutti gli “avis” resi dal Conseil Scientifique. Come evidenziato da The Lancet, il successo della lotta al virus non sarà misurato solo in relazione all’evoluzione medica della pandemia, ma anche dal suo impatto in ambito sociale, politico ed economico. Nei momenti di crisi come quella attuale, è necessario che scienza e governi lavorino fianco a fianco, ma è altresì indispensabile che la consultazione scientifica avvenga in modo aperto e trasparente e che sia libera da rapporti gerarchici con i governi, approccio che assicura sia libertà di espressione, sia la voce critica e costruttiva dei consulenti scientifici interpellati.
Tornando in Italia, la medesima nebulosità riscontrata per l’accesso ai verbali del CTS investe anche la comunicazione dei dati relativi all’andamento della pandemia, sulla base dei quali i poteri pubblici lanciano periodicamente moniti e avvertimenti alla popolazione sul rispetto delle misure di distanziamento, pena l’eventualità di un nuovo lockdown. Come più volte rilevato dal nostro Paolo Spada, l’ISS pubblica sì delle elaborazioni periodiche dei dati, ma solo in forma aggregata, senza fornire, neppure su richiesta, i dati grezzi, impedendo così ogni autonoma elaborazione dei numeri.
E’ quindi ancora oggi negato l’accesso ai cd. “dati immediati” (es: quante accettazioni e dimissioni dai reparti, dalle TI, quanto tempo trascorre dal ricovero al decesso, quanto dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi, e alla guarigione, quanti siano effettivamente i decessi per Covid), che pure consentirebbero di elaborare un quadro più completo e fondato dell’attuale situazione italiana.
La questione dell’accesso, sia ai verbali del CTS sia ai dati della pandemia, non è meramente formale, ma ha a che fare con la stessa tenuta democratica del sistema: si pone infatti alla base del rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere tra Stato e cittadini, tanto più in questo specifico caso, in cui il Parlamento non è stato chiamato a pronunciarsi in merito ai provvedimenti straordinari che hanno limitato le libertà fondamentali.
A tale proposito Norberto Bobbio scriveva che la democrazia è per sua stessa natura potere visibile è controllabile e che lo Stato invisibile ne è l’antitesi. Che essa comincia quando cessa la segretezza e quando i parlamenti iniziano a riunirsi.
La finalità dell’accesso generalizzato è garantire massima legittimazione alle decisioni pubbliche ed è ciò che ci aspettiamo adesso dai nostri decisori pubblici: la trasparenza nell’uso della discrezionalità politica eviterebbe infatti l’insorgere del sospetto in una popolazione ancora spaventata dall’emergenza sanitaria ed assicurerebbe maggiore solidità agli stessi provvedimenti che hanno compresso la libertà personale, di circolazione, di riunione, di culto, di impresa, il diritto al lavoro e all’istruzione, condizionando pesantemente le vite dei cittadini non solo nel presente ma anche nel prossimo futuro.
Lo stato di emergenza non può mettere in discussione lo stato democratico: la sospensione dei diritti costituzionali dei cittadini per ragioni sanitarie non può avvenire - in uno stato di diritto - senza rendere accessibile agli stessi la documentazione scientifica posta alla base di simili decisioni né tantomeno è concepibile il rifiuto della richiesta.
I provvedimenti restrittivi delle libertà fondamentali, se adottati in assenza di qualunque controllo o partecipazione, risultano inevitabilmente affetti da fragilità, sia sotto il profilo della legittimità costituzionale sia in relazione alla realizzazione del contenuto del cd. “patto sociale”, del legame tra Stato e individui.
Se i cittadini si sono affidati allo Stato nel fronteggiare l’emergenza sanitaria al punto da consegnare a scatola chiusa le proprie libertà fondamentali, spetta ora allo Stato riporre fiducia nei cittadini accettando di sottoporsi al controllo ed evitando di arroccarsi su posizioni formali che nulla hanno a che vedere con la partecipazione della collettività al processo politico.
Peraltro, anche nell’ottica della democratizzazione della scienza, di cui abbiamo già parlato in una precedente pillola, la trasparenza gioca un ruolo fondamentale nell’attribuire maggiore credibilità alla consultazione scientifica degli esperti, condizione indispensabile alla costruzione di un rapporto di fiducia con i cittadini.
Perché, prendendo in prestito le parole del Dalai Lama, “la mancanza di trasparenza si traduce in sfiducia e in un profondo senso di insicurezza”.
Silvia Brizzi, avvocato
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M.G. Civinini, G. Scarselli, “Che non succeda mai più”,
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