domenica 31 gennaio 2021

Mediterrando. La mia esperienza con la terra cruda...




...ora ho sessanta anni, in una capanna urbana, al

quinto piano nel centro di Pescara. nella

periferia, curo il laboratorio giardinofficina, e

porto avanti da tempo un esperimento di

permacultura urbana. ho studiato storia dell

arte contemporanea, lettere moderne poi ho

approfondito gli studi di archeologia del

paesaggio, geografia antropica e processi

territoriali, ho avuto come maestro franco

farinelli, uno dei maggiori geografi italiani.

ho fatto parte per un quindicennio del

gruppo di ricerca sulla terra cruda, che fa

riferimento al ced terra di casalincontrada,

vicino chieti e ho svolto attività di educatore

a m b i e n t a l e o p e r a t o r e m u s e a l e e

bibliotecario. ho svolto una ricerca sul campo

sul paesaggio delle case di terra di quella

zona e sono diventato testimone vivente di

quella cultura, come auto-costruttore,

restaurando diverse case di terra tradizionali,

per una decina di anni. la mia ricerca, man

mano si è allargata a tutto il meridione,


paesaggio e architettura rurale, semi, paesi,

borghi, musiche e balli. ho sempre studiato

molto, ogni giorno, scrivo, leggo e ascolto.

negli ultimi anni ho fatto ricerca nel campo

dell archeo astronomia, frequentando e

studiando diversi siti neolitici di puglia e

calabria. in quanto agli ecovillaggi ho iniziato

a frequentarli grazie a un amica che mi ha

portato tanti anni fa all arcipelago sagarote a

diamante, dove poi facemmo un laboratorio

di costruzione la casa di jojo, dedicato a tutte

le diversità: arte terapia, onodidattica, teatro,

giocolieria, clowneria, mimo. poi sono

arrivato al giardino della gioia dove abbiamo


fatto, negli anni, diversi laboratori di auto-

costruzione, un grande forno, una casa con le


balle di paglia, un tempio. i laboratori si sono

intrecciati sempre con yoga, permacultura,

forest garden, teatro, poesia, musica e balli.

ho frequentato molte altre piccole situazioni

comunitarie, mater felicia a bovalino e

terragi a verbicaro in calabria, terra di ea in

abruzzo, cosmo centrale a copertino, ecole

citrullo a cisternino in valle d’itria, dove ho

frequentato pure un ashram dedicato a

babagi. la terra cruda è stato il filo che mi ha

guidato aprendomi le porte di diverse


situazioni dall esoterismo alla spiritualità,

alla bioenergetica, alla musica tradizionale,

allo scambio dei semi, al teatro, allo yoga,

alla meditazione, la didattica scolastica e la

ricerca scientifica. per molti anni ho coltivato

un terreno di tre ettari dove c’era una casa di

legno, con un oliveto e un frutteto, seguendo

l ’ a g r i c o l t u r a n a t u r a l e d i f u k u o k a ,

trasformandolo in un esperimento di forest

garden. il posto lo avevo chiamato natural

om, la o con un puntino al centro, simbolo

dell uomo connesso con se stesso, con la

natura e il cosmo, simbolo del sole e della

fotosintesi clorofilliana. om suona come casa

in inglese uomo in dialetto e om come

respiro. il racconto di queste esperienze è già

un altra storia, per ora mi fermo qui, a presto

e grazie dell ascolto.


mediterrando


mentre passeggiavo lungo le sponde del

mediterraneo meditando e lavorando con la

terra pensavo alle gipsy brass band macedoni


alle fisarmoniche scassate dei ragazzi e alle

trombe nei mercati rionali ai tamburi africani

sulle spiagge estive a balkan beat box e

electric gipsy land alla musica turca e al

cinema di fatih akin in crossing the bridge;

all’architettura dell’egiziano hassan fathy e

del napoletano fabrizio carola; pensavo ai

tuareg, ai tinariwen al blues del deserto di

bombino alla musica gnawa di asnha el

becharia al flamenco gitano a creuza de mar

di fabrizio de andre alle trasmigrazioni

sonore di paolo fresu a zina di cesare dell

anna, giro di banda opa cupa e al ragno

mpoveritu nella doppia valenza del ragno

impoverito della tradizione e all uranio

impoverito, a gitanistan dei mascarimiri;

pensavo al canzoniere del lazio a luigi cinque

e alla tarantula iper text orchestra a

capossela e al suo paese dei coppoloni.

continuo a studiare alan lomax che mi da una

profondita di temi sconcertante. si riparla poi

di familismo amorale nella tradizione

meridionale di banfield, de martino di sud e

magia e le varie interpretazioni di psicomagia

di antonio infantino. la bella inchiesta di

scotellaro in contadini del sud. mediterraneo

grande focolare, pianeta plurale dove i


confini non stanno mai esattamente dove

crediamo che essi siano.


terramatta


vincenzo rabito contadino siciliano

analfabeta verso la meta degli anni

cinquanta; venuto in possesso di una

macchina da scrivere olivetti si è rinchiuso

nella sua stanza e ha scritto la storia della sua

vita; scrivendo per non sprecare lo spazio dei

fogli bianchi senza margini usando come

intergiunzione solo il punto e virgola; ne è

nato un libro divenuto nel tempo un

capolavoro letterario che ha dato vita a varie

interpretazioni letterarie e teatrali...


Ferdinando Renzetti - ferdinandorenzetti@libero.it



lunedì 18 gennaio 2021

ADP - Campagna di umanizzazione della mobilità urbana


Il 17 gennaio 2021 ricorreva il 31° compleanno dell'ADP- Associazione per i diritti dei pedoni di Roma e Lazio.

Nacque dopo oltre 3 anni (1986-1989) di attività nella qualità di Sezione romana della napoletana AIDP.
Per la prima volta l'ADP ha programmato la sua Campagna ANNUALE (2021) proseguendo quella dell'ANNO precedente (2020): "UMANIZZARE LA MOBILITA' URBANA. Il pedone ha Diritto alla legittima difesa della sua Vita."
Ovvero, operare - con la Vision Zero (morti stradali) - a far cessare la cruenta guerra stradale a Roma e in Italia per registrare zero morti stradali: Oslo e Helsinki, nel 2019, hanno registrato ZERO morti stradali tra i pedoni e i ciclisti.
La motivazione per l'ADP, purtroppo, non è dovuta al "battere il ferro finchè è caldo" ma al noto imperativo "NON MOLLARE".

L'ADP, anche a causa del coronavirus, non ha avvertito alcunchè di umanitario nella mobilità cittadina (e nemmeno nazionale).
IL CODICE della STRADA, in vigore dall’1.1.1993, realizzando la “STRADA PUBBLICA URBANA-Spu” a MISURA DEI VEICOLI e la VELOCITA’ DIFFERENZIATA ha prodotto VIOLENZA, GUERRA STRADALE, MORTI STRADALI.
E ha prodotto alle PERSONE a:
1. LIVELLO NAZIONALE, la PERDITA:
- del VALORE della VITA UMANA;
- del DIRITTO al BENE COMUNE Spu;
- della “CONVIVENZA CIVILE e UMANA”;
- della LIBERTA’ di MOBILITA’; e
- della LIBERTA’ dalla PAURA’.
2. LIVELLO LOCALE:
- le REGOLE CALPESTATE (da PERSONE e ISTITUZIONI).
I MAGGIORI PENALIZZATI sono: i/le BAMBIN*; gli/le ANZIAN*.

Sono, questi, i FONDAMENTALI su cui operare per recuperare quei beni perduti.
E’ evidente il coinvolgimento attivo e dignitoso di tutte le Persone, le Famiglie, le Scuole e le Istituzioni.

Vito De Russis








v.derussis@teletu.it

venerdì 15 gennaio 2021

Scambio di semi bioregionali

 


Carissimi, nonostante in questo ultimo anno abbiamo avuto qualche piccolo problema ad incontrarci (prima a causa delle incomprensioni interne e poi a causa delle restrizioni dovute alle normative anti-covid) io non voglio perdermi d'animo.


Come tutti gli anni l'esigenza di seminare un orto, una filetta, un vaso o anche una sola piantina è una realtà che prende il cuore di molti di noi.

Per questo un momento fondamentale è quello dello scambio semi, da fare fra febbraio e marzo così da avere tempo per poter seminare.

E' di oggi la notizia che le normative ci impediranno di uscire ognuno dal proprio comune per 2 o forse 3 settimane. Quindi io proporrei di vederci dopo, dal 7 febbraio in poi a data ancora da individuare.

Mi immagino un incontro accogliente, nel rispetto di tutte le idee. Mi riferisco soprattutto al covid: mi piacerebbe trovare un clima dove anche le persone più preoccupate possano sentirsi a loro agio e protette. Ad esempio penso sia necessario prendersi un momento quando ci avviciniamo per la prima volta a qualcuno; un momento per chiedersi l' un l' altro come ci si sente, che rapporto si ha riguardo la distanza da mantenere o la mascherina da portare. Ascoltarsi e Rispettare.

Voi avete altre idee, altri suggerimenti per rendere questa visione possibile? Anche sul nome di questo incontro preferirei non darne affatto: è ormai da un anno che abbiamo questa incomprensione con il nome del "seminasogni" e la funzione di questo google group. per il momento lascerei tutto in sospeso, altrimenti rischiamo di mettere troppa carne al fuoco. E' indubbio che prima o poi dovremmo sciogliere anche questo nodo, ma per ora la priorità che voglio dare è quello di condividere le sementi. Punto.

Abbiamo voglia di incontrarci? Aspetto a cuore aperto...
 
Stefano Mimmotti  Seminasogni seminasogni@googlegroups.com




lunedì 11 gennaio 2021

Arte relazionale. Viaggio nel mondo femminile con l'artista Maria Lai




Maria Lai nasce nel 1919 a Ulassai. Fin da bambina mostra uno spiccato talento artistico e ha l’opportunità, seppure fortuita, di avere contatti con il mondo dell’arte. Pochi anni dopo, la famiglia decide di iscriverla alle scuole secondarie a Cagliari. Nel 1939 si trasferisce a Roma per frequentare il Liceo Artistico e, una volta completati gli studi, parte alla volta di Verona e, successivamente, a Venezia, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti in cui ha la possibilità di seguire le lezioni di Arturo Martini.

Rientra in Sardegna, non senza difficoltà, nel 1945. Qui insegna disegno nelle scuole elementari di Cagliari. Ritorna a Roma nel 1956 e, l’anno successivo, presso la galleria L’Obelisco, tiene la sua prima personale. L’attenzione critica ricevuta in quell’occasione non soddisfa però le attese personali dell’artista che inizia così un lungo periodo di riflessione in cui ritrova il mondo dei poeti e degli scrittori con i quali coltiva un rapporto di profonda amicizia e di collaborazione.

Nel 1971, presso la Galleria Schneider di Roma, espone i primi Telai, un ciclo che caratterizza i dieci anni successivi e l’avvicina ai temi dell’arte povera, mentre negli anni Ottanta si dedica alle prime operazioni sul territorio che le varranno gli esiti più significativi della sua opera. Nel 1981 realizza a Ulassai l’operazione corale Legarsi alla Montagna, suo capolavoro, che anticipa i temi e i metodi di quella che sarà definita, solamente nel 1998, dal critico d’arte Nicolas Bourriaud come “arte relazionale”.

A partire dagli anni Novanta dà vita a una serie di interventi di arte pubblica che, grazie a una visione programmatica, riusciranno, nel tempo, a trasformare Ulassai, suo paese natale in un vero e proprio museo a cielo aperto, che trova la sua massima espressione nella “Stazione dell’Arte”, museo di arte contemporanea a lei dedicato.

Il 16 aprile 2013 si spegne all’età di 93 anni.

L'Arte di relazione, più nota come Arte relazionale (o anche come Arte socialmente impegnata, Community Based Art, Arte partecipativa), è una forma d’arte contemporanea che si sviluppa attorno alla metà degli anni novanta e prevede la partecipazione del pubblico alla costruzione o alla definizione dell'opera di cui è partecipe. Si tratta di un'arte delle spiccate caratteristiche politiche e sociali al cui centro gravita la visione dell’uomo come animale anzitutto creativo. L’artistarelazionale, abbandonando la produzione di oggetti tipicamente estetici, si adopera per creare dispositivi in grado di attivare la creatività del pubblico trasformando l'oggetto d'arte in un luogo di dialogo, confronto e, appunto, di relazione in cui perde importanza l'opera finale e assume centralità il processo, la scoperta dell'altro, l'incontro. Il primo esempio italiano di rilievo si incontra agli inizi degli anni Ottanta, precisamente nel 1981, con la straordinaria performance di Legarsi alla montagna dell'artista Maria Lai. 

Legarsi alla montagna è una nota operazione sul territorio, da parte dell'artista Maria Lai, realizzata nel paese di Ulassai, con gli abitanti del paese stesso, l'otto settembre del 1981. Legarsi alla montagna è la prima opera di Arte relazionale a livello internazionale.

Tutto ebbe inizio quando l'allora sindaco Antioco Podda e l'Amministrazione Comunale commissionarono all'artista Maria Lai la realizzazione di un importante monumento ai Caduti in Guerra per il paese. L'artista rifiutò l'incarico e decise di modificarne gli intenti realizzando qualcosa che servisse per i vivi e non per i morti. Reinterpretando un'antica leggenda del paese, legò insieme agli abitanti tutte le porte, le vie e le case con circa 27 km di nastri di stoffa celeste. L'operazione materiale durò tre giorni: il primo giorno vennero tagliate le stoffe, il secondo giorno vennero distribuite e il terzo vennero legate, coinvolgendo donne, bambini, pastori, anziani. 

La gestazione dell'opera fu molto più lunga: inizialmente i popolani non condivisero le dinamiche e si rifiutarono di collaborare. Le proposte della Lai in un primo momento suscitarono preoccupazione per il risvegliarsi di antichi rancori tra abitanti stessi, tanto che ci vollero parecchi mesi per ritrovare un filo di discussione. Dopo un anno e mezzo di trattative, si arrivò a un compromesso: laddove tra famiglie esisteva un legame d'amore, al nastro vennero legati dei pani tipici detti "su pani pintau", mentre laddove le famiglie erano avverse il nastro indicava il confine del rispetto delle parti. Sul finire della serata, gli scalatori legarono i nastri al Monte Gedili, la montagna più alta che sovrasta l'abitato. Ulassai fu legata, e fu legata alla sua montagna.

La leggenda dal quale partì tutto si chiama "Sa Rutta de is'antigus", cioè "La grotta degli antichi" e affonda le origini in un fatto realmente accaduto nel paese. Nel 1861 si staccò un costone della montagna e travolse un'abitazione della parte più alta del paese. In quell'occasione morirono tre bambine e una di loro riuscì a salvarsi proprio con un nastro celeste in mano. I popolani videro in questo fatto un miracolo divino e ne conservarono il ricordo, tramandandone di generazione in generazione una versione in parte veritiera e in parte fiorita di pittoresche sfumature di fantasia.

L'operazione suscitò clamore e stupore tra paesi vicini, e successivamente a questa operazione Ulassai divenne pian piano un Museo a cielo aperto. Mentre a livello dei grandi circuiti della critica nazionale, Maria Lai venne criticata in modo negativo, perché per i più scettici si era impegnata a fare la festa del paese. L’operazione rimase in silenzio a livello di critica generale per oltre un ventennio. Ora invece è stata rivalutata a carattere nazionale, in particolare ad iniziare da Alessandra Pioselli, nel volume pubblicato da Bruno Mondadori, che la vede come lo spartiacque dell'Arte Contemporanea, poiché per la prima volta l'artista e l'opera d'arte risiedono nella figura dello spettatore, facendo di quest'ultimo il vero artefice dell'operazione, Legarsi alla montagna quindi è stata la prima operazione di Arte Relazionale.

Testo inviato da Ferdinando Renzetti



sabato 9 gennaio 2021

"Raccontare Imperia" a cura di Franceco Basso - Recensione di Gianni Donaudi



Le Edizioni "Il Foglio" di Piombino (LI) , dirette da  GORDIANO LUPI, ci presentano una raccolta di racconti ambientati nel Ponente Ligure dal titolo "RACCONTARE IMPERIA" curato dal giovane concittadino FRANCESCO BASSO e scritti da Vari Autori, tra i quali vogliamo ricordare VIVIANA SPADA, DONATELLA ALFONSO, DANILO BALESTRO, MARINO MAGLIANI, DAVIDE PONCHIONE, FRANCESCO SCOPELLITI, GABRIELE VIRGILLITO CASSINI, LUCIO SCORZELLI e il BASSO medesimo.

Trattasi di simpatiche storie ambientate nella nostra zona, alcune verosimili altre assurde, surreali e a volte confinanti con il " d a r k " e l'  " h o r r o r " .
 
Nel racconto di Scorzelli è riconoscibile la figura dell' amico OSVALDO MARTINI TIRAGALLO detto " Braccioforte" e da decenni titolare ( per famigliare eredità ) dell' omonimo e rinomato ristorante ittico sulla banchina del porto di Oneglia.
 
Osvaldo è anche famoso per essere uno degli ultimi sopravvissuti che si esprimono in   "italo-rivierasco", e cioè non si sa bene se ligure italianizzato o italiano dialettizzato. " Idioma " che il nostro amico e collaboratore Mario Castellano definisce appunto "Braccese" (appunto da Braccioforte), per quanto esistente da secoli.
 
Ma l' Osvaldo Martini del racconto è ancora un giovane marittimo degli anni ' 70, che insieme allo Scorzelli si trova coinvolto in una mega e spettacolare rissa in un locale notturno di Portorico ( "...ma dove vanno i marinai...? si esibivano DALLA & DE GREGORI ) , per sedare la quale deve intervenire la M. P. (Militar Police) .
 
Presente in copertina l' austera ma bonaria immagine del concittadino EDMONDO DE AMICIS ( al quale è dedicata la Civica Biblioteca ospitante il suo fu studio e che in questo periodo rischia la chiusura per " mancanza di norme di sicurezza " in realtà per inefficienza congenita da parte di Lorsignori autoctoni , ma fortunatamente un ristretto ma simpatico gruppo di giovani e meno giovani ha già raccolto un ' impressionante quantità di firme affinché la Civica sopravviva).
 
De Amicis ! Un autore che nei passati decenni è stato troppo ingiustamente maltrattato da parte di quella specie di fauna di "Lupi Mannari", cinici e " dissacranti" (magari attraverso lo Stirner e il Nietzesche più deteriori!) pretesi "ultrarivoluzionari", molti dei quali, pur provenendo loro stessi da s(c)eminari, sagrestie, campanili, associazioni scoutistiche , davano del " cattolico " all' autore di " Cuore " non  immaginando neppure  da s(c)emi/ anal/ fabeti quali erano (ma già ! loro volevano "distruggere la cultura"  sempre e comunque considerata "catto-borghese"), che il De Amicis era un LAICO, un ANTICLERICALE ( anche se NON anticristiano ), e sopratutto un SOCIALISTA, con qualche venatura patriottica.

E tali "Lupi Mannari" si sono ormai da decenni, venduti a quell' odiato $i$tema , che dicevano voler combattere, oppure si sono talmente storditi e rinKretiniti (magari con le " pere " o un eccesso di "Kanne") da fare apparire i personaggi di NANNI MORETTI di "Ecce- Bombo", al loro cospetto ancora dei "signori  per bene".
 
RACCONTARE IMPERIA (che di recente è stato presentato alla Fiera del Libro a  Imperia stessa) è comunque un volume che caldamente raccomando.

Gianni Donaudi - gio.donaudi@gmail.com



 
 

venerdì 8 gennaio 2021

Zaha Hadid: un ritratto...



Voglio dedicare in pensiero a una donna che ho sempre amato e apprezzata. Giorni fa su un giornale ho rivisto l’immagine della scultura costruzione dinamica di Zaha Hadid, a Baku in Azerbaijan e mi sono ricordato di quanto scrivevo qualche anno fa… Estia ed Hermes, riassumono nei caratteri, l’energia femminile chiusa e conservatrice che custodisce il focolare domestico, Estia e l’energia maschile, Hermes, commerciante viaggiatore navigatore costruttore, sempre alla ricerca di nuove opportunità di conoscenza. Sta proprio nel limite, come affermava Margherita Yourcenar, il segreto di questo continuo confinare o coniugare immobilità con velocità suprema: conduce alla vertigine. Quello che mi piace della contemporaneità è questa idea di vertigine e contatto, legata all’energia di Estia ed Hermes che finalmente hanno deciso di collaborare e lavorare assieme. Per circa millenni separati, oggi l’uomo cura e accudisce il focolare domestico, la donna progetta e costruisce come nel caso di Zaha Hadid (Ferdinando Renzetti)  


Un approfondimento su Zaha Hadid, un ritratto dell’architetto anglo-irachena che aspira a considerare le numerose sfaccettature della sua personalità e le derive della sua arte.

Zaha Hadid è diventata uno degli architetti più importanti e famosi del mondo, fino a ricadere nella poco amata categoria delle archistar, anche se ha portato con sé la pratica di altri “mestieri” e la produzione di oggetti altri. Si ricordino i disegni fatti sin da ragazza, attività questa del disegnare che si protrae a livello professionale e artistico dopo la conclusione degli studi e in avanti: soprattutto quel lungo periodo di tempo in cui Zaha Hadid era nota per le sue non-realizzazioni, di fatto per essere un’architetto che non costruiva, un’architetto virtuale (“paper architect” è stata definita). Poi, dal momento in cui le sue opere hanno cominciato a essere concretizzate, costruite, visibili, si è avviata un’altra fase di architettura praticata a tutto campo, insieme con la produzione di sofisticati mobili e oggetti per la casa, che mostrano come dal design (in inglese, «concetto, schizzo, disegno della forma e struttura di un’opera d’arte o di un edificio») non si fosse che a un passo al Design avente l’attuale, comune accezione. Zaha Hadid “architetto totale”, o semplicemente architetto puro: dal greco archi-tèkton, con tekton, artefice, dal sanscrito taksh, costruire, fare, comporre, digrossare; insomma il “capo degli artefici”, o dei falegnami, o ancora dei fabbri, una figura che, «propriamente, non crea dal nulla; ess[a] forma soltanto, ossia dà una formauna veste»– quella, nuova, che Zaha Hadid ha cercato con caparbietà di dare alle relazioni e al mondo, modellando «un nuovo tipo di paesaggio che scorra all’unisono con le città contemporanee e le vite delle persone che le abitano». 

Zaha Hadid è nata nel 1950 a Baghdad in un Iraq in corsa verso il progresso. Il padre, economista e politico allineato con il partito democratico iracheno, la madre artista, la famiglia è di quelle con molti mezzi. Zaha infatti riceve una formazione del tutto simile a quella che veniva impartita alle ragazze bene del Medio Oriente, frequentando scuole internazionali in patria e proseguendo gli studi all’estero, prima in Svizzera, poi all’American University di Beirut dove studia matematica e infine in Gran Bretagna per il secondo ciclo di studi universitari. A quell’epoca (primi anni Settanta) l’intera famiglia Hadid ha ormai abbandonato l’Iraq: con l’avvento di Saddam si stabilisce in Libano, successivamente in Giordania, e lei va a Londra per studiare architettura, iscrivendosi alla Architectural Association School of Architecture, la struttura di formazione per architetti indipendente più antica del paese e fra le più prestigiose. Questo anche perché il padre vede in lei, che aveva sempre disegnato molto, un’inclinazione, sicuramente incrementata dal fatto che la casa paterna veniva molto frequentata da architetti e ingegneri e anche Zaha stessa si era identificata in questa figura fin dall’età di 11 anni.

Si narra che la giovane Hadid fosse abbastanza schiva di carattere, un personaggio molto diverso dall’immagine internazionale dell’architetto eccentrica e temibile dei decenni a venire. 

La successione di insuccessi che caratterizzano la prima metà della vita professionale di Zaha Hadid è diventata leggendaria, forse ormai fa parte dell’aura del personaggio, e può essere considerata a buon diritto uno stadio della metamorfosi. Nel frattempo, lei disegna, dipinge, fa mostre, e insegna. A quanto pare, le sue idee e la sua didattica erano molto apprezzate. 

Non si riscontrano nella sua architettura e pratica artistica elementi di derivazione strettamente orientale, probabilmente proprio perché la sua formazione avviene tutta all’interno dell’International Style, uno dei nomi del Modernismo in inglese. Zaha Hadid è figlia di una cultura moderna e internazionale a livello sia professionale sia privato. È visibile la transizione dalle guglie e cosiddetta “ruvidità” del suo stile iniziale di ispirazione suprematista che, giocando con la predilezione per la diagonale e i piani che si intersecano, si evolve in una compenetrazione di forme senza ideale soluzione di continuità, che fa pur sempre riferimento ai precursori della linea curva in architettura Eero Saarinen e Oscar Niemeyer. Un’altra caratteristica dell’architetto anglo-araba da non trascurare è stata la sperimentazione con i materiali, la predilezione per il cemento («for me concrete is the most plastic material», la fibra di vetro e il perspex nel design, accompagnati anche da oro o seta per i suoi gioielli o accessori prodotti con grandi case di moda.

Zaha abitava in un appartamento all’attico di un palazzo nuovo in Clerkenwell, descritto come tanto intimo quanto un salone di automobili, e praticamente quasi vuoto a parte qualche mobile (scomodo) firmato dalla padrona di casa. Eppure Zaha era una donna, di origini irachene e per di più islamiche, emigrata a Londra, da dove svolgeva la sua professione di architetto, che non si è mai fatta particolarmente scudo né delle origini né del genere sessuale, anche se non ha potuto fare a meno di ammettere, quando sollecitata, che certo non era facile operare “in the boys’ club”, e che probabilmente bisogna imparare a farsi meno scrupoli. Tuttavia raramente ha avuto un atteggiamento recriminatorio, dichiarando candidamente che se non ha avuto una famiglia e dei figli (perché a lei, donna architetto, ovviamente è stato chiesto…) la ragione è semplicemente che è andata così: come semplicemente accade a milioni persone, e non a causa del lavoro, o dell’ambiente, o della carriera. 

Zaha ha rivendicato che nel suo studio erano presenti molte donne in posizione dirigenziale, e che oggettivamente non si poteva dire di aver ancora raggiunto il 50% nella presenza maschile-femminile. La famosa architetto, che prediligeva vestire in Yohji Yamamoto e Issey Miyake, non aveva particolari pretese o smanie da star e conduceva una vita relativamente semplice – salvo inviare un assistente dalla Biennale di Venezia a Londra a recuperare un paio di scarpe che teneva ad indossare in un’occasione specifica. Costantemente attaccata e messa sotto processo mediatico per alcune delle commissioni accettate (Azerbaijan, Qatar, e così via) l’architetto anglo-irachena, ha spezzato tutti i luoghi comuni (culturali, tecnici, estetici), è stata la prima donna a venire insignita del Premio Pritzker per l’Architettura (2004), di due Premi Stirling (2010 e 2011) e della Royal Gold Medal del Royal Institute of British Architects (2015). Nel suo discorso di accettazione, molto concreto, ha dichiarato che… viviamo in un’epoca di rinnovata concentrazione urbana, con nuove sfide e occasioni che rendono il rinascimento urbano del XXI secolo molto diverso dal processo di espansione suburbana novecentesca. La differenza capitale sta nella nuova densità di interazioni e complessità della vita urbana. È necessario forzare edifici e programmi, e fare quasi in modo che si stringano in un amplesso, compenetrandosi. Per questo ci vogliono complessità e apertura spaziale. […] Ho fatto esperimenti con la curvatura libera con l’obbiettivo di articolare il dinamismo e la fluidità della vita contemporanea. […] Le mie opere hanno finito per essere molto diverse dalla maggior parte delle altre: sono diventate cospicue, facili da ricordare e da identificare come un mio marchio. Eppure l’architettura per me non è un mezzo di espressione personale: interpretarla in tal senso significa non comprenderla. Questo malinteso è spesso collegato con un atteggiamento sprezzante verso il mio lavoro, visto come autoindulgente o capriccioso. Invece io non ho mai avuto alcun dubbio che l’architettura debba contribuire al progresso della società e, in ultima istanza, al benessere collettivo e individuale. […] La progettazione urbana attuale deve far scorrere gli spazi liberamente. Per me l’analogia con il paesaggio è diventata molto importante come strategia per incrementare la permeabilità del suolo e la continuità della superficie, evitando l’immensità vuota dei grandi spazi modernisti. Mi ha dato l’ispirazione per impiegare il rilievo del suolo come un dispositivo di ordinamento morbido, più fluido e aperto della dissezione spaziale operata dai muri. Ho cominciato cercando di creare edifici che brillassero come gioielli solitari, ora invece aspiro a dar forma a connessioni, a modellare un nuovo tipo di paesaggio che scorra all’unisono con le città contemporanee e le vite delle persone che le abitano.

Proprio come rivendicato nel discorso, il centro Landscape Formation One «tenta di “derivare” spazialità fluide allo studio di formazioni naturale del paesaggio. […] Gli spazi si compenetrano; le differenze sono accennate, invece di essere definitive e rigide. 

Sembrerebbe che Zaha Hadid se ne sia andata in modo altrettanto spettacolare – inaspettato, sorprendente – così come ha vissuto e praticato la professione. Ci lascia un bel numero, nonostante gli incerti auspici dei primi passi nella professione, di opere ormai inconfondibili, dal nostro MAXXI all’Aquatics Centre di Londra. Una delle ultime realizzate in vita (perché molti progetti sono invece tuttora in corso di realizzazione) è una splendida farfalla bianca con le ali semichiuse, il discussissimo Centro culturale Heydar Aliyev di Baku, un nuovo oggetto alieno in mutazione verso forme e generi altri.

(Tratto da L’ultima metamorfosi storia di un architetto di Carla Scuro)



giovedì 7 gennaio 2021

Umanizzare la mobilità urbana - Proposte ADP




Il pedone ha Diritto alla legittima difesa della sua Vita  - Visto, considerato e preso atto:

− della incessante #propaganda degli Amministratori che ignora totalmente la cruente guerra esistente sulla carreggiata delle strade pubbliche romane (e nazionali);

−  dell'assenza totale di risultati della CAMPAGNA 2020 dell'ADP - UMANIZZARE LA MOBILITA' URBANA;

ADP ha deliberato l'eccezionale proposta di "Proseguire. nell'ANNO 2021 la sua CAMPAGNA 2020: UMANIZZARE LA MOBILITA' URBANA".

Pertanto

Prosegue nel 2021  CAMPAGNA 2020: UMANIZZARE LA MOBILITA' URBANA

Il pedone ha Diritto alla legittima difesa della sua Vita           

Ultimi dati sulla cruenta guerra stradale romana.
Il 31 dicembre 2020 abbiamo registrato a Roma il secondo clamoroso fallimento dell'obiettivo ONU-UE di ridurre del 50% il numero dei morti stradali registrati al 31 dicembre 2010.
(Il 31 dicembre 2010 Roma registrò la riduzione di circa il 38% di morti stradali nel decennio 2001-2010, fallendo l'obiettivo UE di ridurli del 50%.)
Partendo dai n. 305 morti del 31.12.2001, il 31.12.2010 dovevamo registrarne n. 153 (reale: n. 182) e il 31.12.2020 dovevamo registrarne n.77 (reale al 31.12.2019; n. 193).
(Elaborazione ADP su Fonte ISTAT)

E' evidente che l'obiettivo della umanizzazione della mobilità urbana - opzione zero morti stradali - lo potremo registrare se coinvolgiamo tutti i cittadini e la Istituzione Scuola; se l'Ente Locale usa le infrastrutture necessarie in tempi rapidi; se si fanno rispettare le regole; se funziona la Intermodalità e, non ultima, se viene resa efficace ed efficiente la cultura della Sicurezza Stradale che educa alla "convivenza civile".          

Le Famiglie della popolazione scolastica devono Sapere riconoscere la Dignità della istituzione Scuola frequentata dai loro componenti così come riconoscono la Dignità delle loro Famiglie; e farla riconoscere da coloro che, per esempio, usano la Scuola come "deposito garantito" / "parcheggio scolar*" per i propri componenti.
Quelle Famiglie della popolazione scolastica devono far sentire e partecipare alla realizzazione della fusione delle Dignità (personale, familiare, stradale pubblica e Scolastico) per dar vita e vigore alla Solidarietà, alla cultura della sicurezza stradale pubblica e per educare alla "convivenza civile".  
Per la realizzazione di tutto questo, deve cessare e scomparire la cruente ininterrotta guerra stradale  -  dalla strada pubblica urbana alle Autostrade  -  riconoscendo il Valore della Vita e della Dignità della persona, la Dignità delle vittime stradali (persone morte e ferite) e il diritto egualitario di ogni mobilità (pedonale, ciclistica, trasporto pubblico e veicolo privato) ad usare la Strada pubblica, vitale bene comune.  

"Che fare?" (Lenin) 


Azioni "fondamentali":
1. Sapere la "Carta europea dei diritti del pedone" (G.U. CE C 290 del 14.11.1988) e pretendere il suo rispetto - la sua totale applicazione.
 2. Ridurre la velocità veicolare urbana massima a 30 km/h con infrastrutture (uso occasionale dei Vigili). (Vedi: Ricerca londinese ventennale - 1986/2006 - riduzione velocità urbana a 20 miglia-32 km. su The BMJ nel 2007.  https://www.sicurauto.it/news/limite-a-30-kmh-e-lunico-modo-per-salvare-il-90-dei-pedoni/)
3. Infrastrutture stradali.
3.a Collegamento pedonale Casa-Scuola per incrementare e rendere maggioritario il “Pedibus”, realizzando la "Strada Scolastica", al 100x100 sui marciapiedi (normali e ortogonali link: https://www).carteinregola.it/index.php/umanizzare-la-mobilita-urbana-attraversamento-pedonale-rialzato/)
3.b "Area Scolastica": infrastruttura stradale di pertinenza scolastica, posta fuori dal cancello della Scuola, destinata alla socializzazione dei pedoni e vietata alla circolazione e alla sosta dei veicoli.
4. Realizzare - in tempi brevissimi - presso il luogo dell'omicidio stradale e/o di persone ferite in incidente stradale, il "marciapiede ortogonale" (nuova denominazione dell'attuale "attraversamento pedonale rialzato"). Intestando - sulla segnaletica verticale - quella infrastruttura alla vittima . (Nome intero; iniziale del Cognome; data del tragico evento).
 5. Rispetto delle Regole stabilite.
5.a Opzione Zero per la liberazione dai veicoli privati del 100x100 delle aree di fermata bus pubblici. Utilizzando le risorse di quelle multe per:

A.  instaurare, alle citate fermate:
1. i marciapiedi avanzati (liberando mt. 24 di carreggiata per la sosta regolare dei veicoli privati);
2. la segnaletica orizzontale efficiente;
3. la segnaletica verticale efficiente;

B. la rete di vera, efficiente ed efficace "corsia riservata" ai bus pubblici (ininterrotta dalla stazione di partenza a quella di arrivo);

C. la rete urbana di "pista ciclabile" sulla carreggiata. (Ritorno ai pedoni del marciapiede di Santa Bibiana; STOP al massacro dei marciapiedi, tipo Nomentana)

Vito De Russis - ASSOCIAZIONE DIRITTI PEDONI DI ROMA E LAZIO


Roma. Gennaio 2021 - v.derussis@teletu.it - 3393484370