L’autonomia dello Stivale non è mai piaciuta alle grandi potenze ed ai potentati finanziari ed economici, l’Italia poteva anche sviluppare una sua economia industriale purché restasse succube e ricattabile. Vedi ad esempio, una cosa che può sembrare banale, la proibizione della coltivazione della canapa, dai numerosi usi industriali ed alimentari (in seguito alle pressioni degli USA), e di cui l’Italia era uno dei massimi produttori mondiali.
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Ma andiamo per ordine. Il nostro Paese sino alla fine degli agli anni ‘50 ed in parte ‘60 del secolo scorso ricavava la massima parte di energia elettrica attraverso centraline idroelettriche poste lungo i fiumi che scorrono nel mezzo di tutte le città italiane. Ricordo ad esempio che negli anni in cui abitavo a Verona andavo spesso a passeggiare in periferia e sulla diga che sbarrava l’Adige e da cui si ricavava l’energia per la città.
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Sino ad un certo punto questa produzione energetica localizzata funzionò, l’obbligo di ampliarne la quantità venne solo con l’avvento del modello consumista, per far funzionare i sempre più numerosi elettrodomestici e produrre utensileria usa e getta (perlopiù di plastica, quali: suppellettili, mobili, giocattoli, stoviglie, etc). Da quel momento l’Italia si dovette piegare al sistema della produzione elettrica concentrata in grossi impianti che funzionano ad olio combustibile d’importazione o gas, ma anche quest’ultimo arriva da paesi che possono chiuderci i rubinetti (perché le condotte italiane sono “terminali” ovvero non “transitano” sul nostro territorio ma finiscono qui). In realtà sappiamo quali sono gli interessi delle case produttrici di combustibili fossili.
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Ad un certo momento ci provammo persino con il nucleare, anche questo non per nostro interesse poiché non siamo produttori di uranio, ma fortunatamente il progetto nefasto fu abbandonato (in seguito a due referendum abrogativi).
Ma torniamo a parlare di come risolvere il problema energetico nella penisola. Abbiamo visto che il “carbone pulito” in verità non esiste ed a parte limitate produzioni locali anch’esso viene importato. Ed ovviamente sarebbero da scartare i famigerati “termovalorizzatori” ed i grossi impianti a biomasse.
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Insomma di cosa è ricca l’Italia? Per antonomasia canora si dice “chisto è ‘o paese do sole..” e quindi sembrerebbe che l’unica soluzione fosse quella di ricorrere al solare, ma i pannelli solari anch’essi inquinano, soprattutto nella fase produttiva del silicio necessario al loro funzionamento nonché alle difficoltà di smaltimento a fine carriera, che oggi arriva a circa vent’anni. Oggi la UE ci spinge verso le rinnovabili ma l’attuazione di questi sistemi ha provocato più danni (soprattutto all’ambiente) che vantaggi.. e tra l’altro continuano i problemi di collegamento alla rete di distribuzione nazionale e di conservazione delle riserve. Inoltre l’istallazione dei pannelli non dovrebbe -come spesso accade- distruggere il territorio (mi riferisco ai neri campi di pannelli solari a terra) ma si dovrebbe limitare alla copertura dei tetti nelle zone industriali e nelle nuove costruzioni urbane. Piccoli pannelli termici per la produzione di acqua calda in case isolate e piccoli generatori eolici potrebbero anch’essi risultare d’aiuto.
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Altra alternativa abbastanza ecologica sarebbe quella di realizzare impianti ad idrogeno. In effetti i motori ad idrogeno esistono da anni (basti pensare ai razzi che vanno a questo propellente) e tra l’altro la scissione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno sarebbe facilmente ottenuta con pannelli solari, ma l’idrogeno non piace ai potentati economici che campano sul petrolio.
Un’altra soluzione intelligente potrebbe essere quella della riconversione dei rifiuti organici e dei liquami, sia per ricavarne il fosforo necessario all’agricoltura sia per farne biogas, in un ciclo concluso come si dice in gergo. Ad esempio in certi paesi dell’Asia nei villaggi si produce concime ed elettricità dalla cacca degli umani e degli animali.
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Più o meno tutte queste opzioni potrebbero andar bene… l’importante -per ora- sarebbe diversificare al massimo e cercare di rendere la produzione energetica il più possibile “autonoma” (un tempo di diceva “autarchica”) e non soggetta a ricatti esterni. Ma per far questo serve una chiara volontà e coraggio politico e soprattutto un reale decentramento produttivo.
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Teoricamente quelle forze politiche -che si definiscono di rinnovamento- dovrebbero essere interessate a tale decentramento ma questa scelta non piace alla grande industria ed alle multinazionali e (come abbiamo visto in altri casi)…. i conflitti di interessi sono troppo forti. Anche perché -in definitiva- tutti i sistemi alternativi di carattere bioregionale qui menzionati non sarebbero sufficienti a soddisfare le esigenze della grande industria del futile, della produzione consumista e delle armi.
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In verità per rendere l’Italia libera da ricatti energetici occorrerebbe che il modello attualmente in vigore venisse rivisto. La produzione industriale oggi è tutta tesa al superfluo ed al nocivo ed andrebbe riordinato completamente il sistema di produzione e riciclo rispettando la “sostenibilità ecologica ” e le reali necessità sociali.
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In poche parole significa che dovrebbe subentrare un radicale cambiamento di indirizzo politico-economico e produttivo ma forse qui entriamo nell’ambito dell’Utopia…
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Paolo D’Arpini
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