Allievo - "Esiste un metodo per non sbagliare ?".
Segue un leggero imbarazzo: l'allievo pensa di aver fatto una domanda troppo stupida, la cui ovvia risposta possa essere solo un perentorio "Studiare".
Maestro (dopo una breve pausa di riflessione) - "Sì, c'è un metodo".
A (inuriosito) - "Ah, quale?".
M - "Le mie dita sono esercitate a non suonare i tasti sbagliati".
A - "Come, scusa ??"
M - "Sì. Le dita sono esercitate a riconoscere su che tasto si appoggiano, e lo riconoscono prima di premerlo, di modo che se non è quello giusto, lo saltano".
A - "Sorprendente, non ci avrei mai pensato. Puoi farmi vedere ?".
M - "Certamente".
Il Maestro lascia andare un brano che conosce bene a memoria, permettendo a mano e dita di muoversi automaticamente, senza farvi troppa attenzione. L'istinto delle dita di non premere un tasto se non lo sentono con certezza giusto permette di non alterare lo scorrimento del giusto ritmo in caso di errore: la mano sa e sente da sè che ad ogni nota corrisponde una ed una sola posizione, mentre ad ogni posizione corrisponde una ed una sola precisa nota musicale.
La situazione fa ulteriormente riflettere l'allievo. Nella grande maggioranza dei procedimenti matematici la serie delle operazioni da svolgere è consequenziale, di modo che per reiterazione di causa ed effetto un errore durante il percorso si propaga inesorabilmente fino al risultato conclusivo rendendolo sbagliato. E infatti un dettagliato capitolo della matematica proprio di questo si occupa: della propagazione di errore nello sviluppo dei calcoli.
Sulla tastiera di un pianoforte invece, se tralasciamo alcuni errori strutturali per difetto di impostazione iniziale, come una lettura sbagliata delle alterazioni in chiave, un errore materiale con cui si prema un tasto sbagliato crea solo un inconveniente locale, rovinando una battuta, sia musicalmente che nel recupero di corretto movimento da parte delle altre dita, ma il suo effetto non si propaga poi al seguito della esecuzione, se non eventualmente nella irritazione delusa dell'esecutore (a volte il musicista è piuttosto suscettibile riguardo il proprio buon rendimento).
Ma questa attenzione interiorizzata delle dita abituate e riflettere e sentire in una frazione di secondo se siano appoggiate sul tasto giusto o no, escludendone il suono nel caso di errore, permette di evitare anche l'inconveniente locale, semplicemente eliminando una nota.
Non so quanto tempo e dedizione siano necessari per acquisire una simile sensibilità e prontezza, ma certamente rimane vero che "Ci sono più cose tra cielo e terra che nella tua filosofia" (Shakespeare), e non manca mai qualcosa di nuovo da scoprire, da conoscere, da imparare.
L'attenzione può sempre e continuamente aprire gli spazi di nuovi universi, prima inesplorati.
In fondo è proprio questo di bello nell'esistenza: non ne sono mai esaurite le sue infinitamente molteplici possibilità.
Continuo a pensare che uno strumento musicale sia un ottimo maestro di vita, perché non basta volere qualcosa, bisogna sempre chiedersi pazientemente e concretamente "come".
Vincenzo Zamboni
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