Il Rapporto 2015 sul consumo del suolo
conferma e consolida l’azione e il ruolo di coordinamento dell’intero
Sistema nazionale di protezione ambientale svolto da ISPRA
Il Rapporto
fornisce un quadro conoscitivo sui dati del consumo di suolo in Italia
che ISPRA ha raccolto, in collaborazione con le Agenzie per la
Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome e con
le amministrazioni centrali (Ministeri, AGEA, Istat), e reso disponibile
utilizzando il sistema Copernicus della Commissione europea, Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Europea per l’Ambiente.
Tale sistema ha permesso di ottenere la cartografia ad altissima risoluzione che caratterizza questa edizione.
La rete di monitoraggio ha consentito la raccolta di una serie storica estesa, dagli anni ’50 a oggi, con un’elevata accuratezza tematica e delle stime e un campionamento stratificato del territorio in circa 180.000 punti in grado di assicurare il monitoraggio a livello nazionale, regionale e comunale. L’alto grado di dettaglio può consentire alle amministrazioni locali di contribuire al processo di miglioramento e aggiornamento della cartografia attuale.
Nella presentazione del Rapporto si ricorda che il suolo, in condizioni naturali, fornisce all’uomo gli ecosistemi necessari al proprio sostentamento: servizi di approvvigionamento (prodotti alimentari e biomassa, materie prime, etc.); servizi di regolazione (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, etc.); servizi di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, conservazione della biodiversità, etc.) e servizi culturali (servizi ricreativi, paesaggio, patrimonio naturale, etc.).
Si tratta però di una risorsa fragile: le variazioni d’uso e gli effetti locali dei cambiamenti ambientali globali possono originare gravi processi degradativi che spesso diventano evidenti solo quando sono irreversibili, o in stato talmente avanzato da renderne troppo oneroso il ripristino.
A partire dal 2003 la Commissione Europea ha dato avvio allo sviluppo della Strategia Tematica per la Protezione del Suolo (STS - Soil Thematic Strategy), attraverso l’istituzione di Gruppi Tecnici di Lavoro per l’elaborazione di raccomandazioni sulle diverse tematiche/minacce che lo danneggiano: erosione, diminuzione di materia organica, contaminazione locale e diffusa, impermeabilizzazione, compattazione, diminuzione della biodiversità, salinizzazione, desertificazione, frane e alluvioni.
In Italia l’impermeabilizzazione del suolo, che in condizioni naturali può immagazzinare acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – ha causato negli ultimi 3 anni una perdita di capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, va a incrementare le aree a rischio di dissesto idrogeologico.
La perdita di territorio riguarda prevalentemente le aree agricole, seguite dalle aree urbane e dalle terre naturali, comprese le aree protette (34.000 ettari), il 9% di territori considerati ad alto rischio idraulico e il 5% delle rive di laghi e fiumi. Il cemento ha consumato anche il 2% di zone considerate inaccessibili come montagne, aree a pendenza elevata e zone umide.
Le strade rimangono una delle principali cause di degrado, nel 2013 rappresentano circa il 40% del totale del territorio consumato. Insieme all’edilizia ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale: una colata di cemento che secondo le stime ISPRA, ha comportato, dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2.
Nonostante la crisi economica, non è diminuito il consumo: negli ultimi 3 anni sono stati ricoperti altri 720 km2 di suolo, lo 0,3% in più rispetto al 2009, l’equivalente di un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo.
In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente circa il 7% del nostro territorio, contro il 2,7% degli anni ’50.
Le zone più compromesse continuano a essere quelle costiere, dal mare fino a 300 metri nell’entroterra, dove l’impermeabilizzazione del suolo è pari ad un quinto delle coste italiane. Oltre 500 Kmq sono considerati irrimediabilmente persi. Alla Liguria la maglia nera della copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%).
Oggi l’importanza della difesa del suolo è sempre più riconosciuta, sia a livello europeo e mondiale, che nella percezione dei cittadini.
Un pesante danno ambientale, ma anche economico, come rileva uno studio del Central Europe Programme: ogni ettaro di terreno consumato comporta mediamente una spesa di 6.500 euro per la sola pulizia di canali e fognature, mentre il costo della gestione dell'acqua non infiltrata, causa la progressiva impermeabilizzazione, è stato stimato per il nostro Paese, sempre nel triennio 2009-2012, addirittura intorno ai 500 milioni di euro.
La prima carta nazionale ad altissima risoluzione, grazie alla quale è per la prima volta possibile avere un quadro preciso e completo del fenomeno dal livello nazionale fino a quello locale, prevede 8 classi.
La possibilità di entrare in dettaglio renderà possibile, oltreché auspicabile, la partecipazione diretta al processo di miglioramento e di aggiornamento dei dati. A questo scopo i ricercatori dell’ISPRA hanno messo a punto un’App per smartphone: per segnalare nuove perdite di suolo basta inserire le coordinate per vedere subito on line le mappe.
Affiancando alle banche dati cartografiche ad alta risoluzione di Copernicus un monitoraggio puntuale è possibile superare il limite della minima unità cartografa bile, si possono registrare anche i micro cambiamenti derivati dalle superfici artificiali disperse sul territorio che spesso hanno una dimensione molto piccola.
Nel 2013 in 15 Regioni è stato superato il 5% di suolo consumato, con il valore più alto in Lombardia e Veneto (10%). In Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Piemonte i valori sono compresi tra l’8 e il 10%. Mentre l’Emilia Romagna, con oltre 100.000 ettari, detiene il “primato” delle zone a rischio idraulico, con oltre 100.000 ettari.
I comuni più cementificati d’Italia si confermano Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).
Fonte: http://www.arpat.toscana.it/
Tale sistema ha permesso di ottenere la cartografia ad altissima risoluzione che caratterizza questa edizione.
La rete di monitoraggio ha consentito la raccolta di una serie storica estesa, dagli anni ’50 a oggi, con un’elevata accuratezza tematica e delle stime e un campionamento stratificato del territorio in circa 180.000 punti in grado di assicurare il monitoraggio a livello nazionale, regionale e comunale. L’alto grado di dettaglio può consentire alle amministrazioni locali di contribuire al processo di miglioramento e aggiornamento della cartografia attuale.
Nella presentazione del Rapporto si ricorda che il suolo, in condizioni naturali, fornisce all’uomo gli ecosistemi necessari al proprio sostentamento: servizi di approvvigionamento (prodotti alimentari e biomassa, materie prime, etc.); servizi di regolazione (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, etc.); servizi di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, conservazione della biodiversità, etc.) e servizi culturali (servizi ricreativi, paesaggio, patrimonio naturale, etc.).
Si tratta però di una risorsa fragile: le variazioni d’uso e gli effetti locali dei cambiamenti ambientali globali possono originare gravi processi degradativi che spesso diventano evidenti solo quando sono irreversibili, o in stato talmente avanzato da renderne troppo oneroso il ripristino.
A partire dal 2003 la Commissione Europea ha dato avvio allo sviluppo della Strategia Tematica per la Protezione del Suolo (STS - Soil Thematic Strategy), attraverso l’istituzione di Gruppi Tecnici di Lavoro per l’elaborazione di raccomandazioni sulle diverse tematiche/minacce che lo danneggiano: erosione, diminuzione di materia organica, contaminazione locale e diffusa, impermeabilizzazione, compattazione, diminuzione della biodiversità, salinizzazione, desertificazione, frane e alluvioni.
In Italia l’impermeabilizzazione del suolo, che in condizioni naturali può immagazzinare acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – ha causato negli ultimi 3 anni una perdita di capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, va a incrementare le aree a rischio di dissesto idrogeologico.
La perdita di territorio riguarda prevalentemente le aree agricole, seguite dalle aree urbane e dalle terre naturali, comprese le aree protette (34.000 ettari), il 9% di territori considerati ad alto rischio idraulico e il 5% delle rive di laghi e fiumi. Il cemento ha consumato anche il 2% di zone considerate inaccessibili come montagne, aree a pendenza elevata e zone umide.
Le strade rimangono una delle principali cause di degrado, nel 2013 rappresentano circa il 40% del totale del territorio consumato. Insieme all’edilizia ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale: una colata di cemento che secondo le stime ISPRA, ha comportato, dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2.
Nonostante la crisi economica, non è diminuito il consumo: negli ultimi 3 anni sono stati ricoperti altri 720 km2 di suolo, lo 0,3% in più rispetto al 2009, l’equivalente di un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo.
In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente circa il 7% del nostro territorio, contro il 2,7% degli anni ’50.
Le zone più compromesse continuano a essere quelle costiere, dal mare fino a 300 metri nell’entroterra, dove l’impermeabilizzazione del suolo è pari ad un quinto delle coste italiane. Oltre 500 Kmq sono considerati irrimediabilmente persi. Alla Liguria la maglia nera della copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%).
Oggi l’importanza della difesa del suolo è sempre più riconosciuta, sia a livello europeo e mondiale, che nella percezione dei cittadini.
Un pesante danno ambientale, ma anche economico, come rileva uno studio del Central Europe Programme: ogni ettaro di terreno consumato comporta mediamente una spesa di 6.500 euro per la sola pulizia di canali e fognature, mentre il costo della gestione dell'acqua non infiltrata, causa la progressiva impermeabilizzazione, è stato stimato per il nostro Paese, sempre nel triennio 2009-2012, addirittura intorno ai 500 milioni di euro.
La prima carta nazionale ad altissima risoluzione, grazie alla quale è per la prima volta possibile avere un quadro preciso e completo del fenomeno dal livello nazionale fino a quello locale, prevede 8 classi.
La possibilità di entrare in dettaglio renderà possibile, oltreché auspicabile, la partecipazione diretta al processo di miglioramento e di aggiornamento dei dati. A questo scopo i ricercatori dell’ISPRA hanno messo a punto un’App per smartphone: per segnalare nuove perdite di suolo basta inserire le coordinate per vedere subito on line le mappe.
Affiancando alle banche dati cartografiche ad alta risoluzione di Copernicus un monitoraggio puntuale è possibile superare il limite della minima unità cartografa bile, si possono registrare anche i micro cambiamenti derivati dalle superfici artificiali disperse sul territorio che spesso hanno una dimensione molto piccola.
Nel 2013 in 15 Regioni è stato superato il 5% di suolo consumato, con il valore più alto in Lombardia e Veneto (10%). In Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Piemonte i valori sono compresi tra l’8 e il 10%. Mentre l’Emilia Romagna, con oltre 100.000 ettari, detiene il “primato” delle zone a rischio idraulico, con oltre 100.000 ettari.
I comuni più cementificati d’Italia si confermano Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).
Fonte: http://www.arpat.toscana.it/
Nessun commento:
Posta un commento