giovedì 30 ottobre 2014

«L’Europa, la Cultura, le Lingue» - Cronistoria di Anna Maria Campogrande

  «L’Europa, la Cultura, le Lingue»                                 
             Cronistoria  di Anna Maria Campogrande          




1.Il progetto europeo.

L’Europa, da più di cinquant’anni, persegue un progetto di integrazione che dovrebbe portare, a medio termine, i Paesi europei a costituirsi come un unico attore politico, economico, culturale, di dimensioni continentali.
Un’analisi critica della storia dell’Europa degli ultimi tre millenni mette in evidenza i punti forti e i punti deboli di questo progetto, vale a dire la colla che può tenere uniti i Paesi europei e le divergenze che possono farlo fallire, se non prese in conto in maniera adeguata.

2. Fattori di coesione.

Uno dei fattori di coesione tuttora presente, ancorato nella coscienza collettiva di una grande parte dei Popoli europei, è costituito dall’eredità della civiltà greco-latina, la filosofia dell’antica grecia, il diritto romano, che sottendono ancora il pensiero di tutte le democrazie occidentali moderne.

Altro elemento di coesione, da non sottovalutare, anche se in tempi non lontani è stato all’origine di terribili conflitti, tra i popoli europei, è il Cristianesimo,  il quale, di recente, ha iniziato, al suo interno, un processo di riconciliazione, non ancora portato del tutto a compimento. Elemento di coesione dell’Europa sono le sue radici nella loro incontestabile dimensione culturale giudeo-cristiana. Questo percorso di riconciliazione, tra Cristiani e tra Cristiani ed Ebrei, in Europa, è di un’importanza fondamentale perché mette in evidenza, nel positivo e nel negativo, il ruolo delle religioni in quanto fattore di coesione sociale. Un fattore di coesione che non è affatto scontato, anche quando esse discendono dallo stesso capostipite ma richiede elaborazione e dialogo.

Sotto questo profilo le parti interessate, vale a dire le popolazioni europee, nel corso dei duemila anni di convivenza nell’era cristiana, hanno imparato a conoscersi, ad apprezzarsi, nel bene e nel male, e possono trovare nel riconoscimento di valori comuni un fattore di unione, precursore di successo del progetto di unificazione europea.  Uno dei molteplici fattori, che non costituisce una  garanzia assoluta, perché   in materia di religione, la convivenza pacifica non si può ottenere con la bacchetta magica, via decisioni puramente teoricche, prese dall’alto, ma implica la compatibilità dell’approccio ai diritti umani, la necessità di aggiustamenti e, anzitutto, l’adozione di posizioni reciprocamente tolleranti, tra le parti coinvolte.

3. Ruolo della cultura.

In fin dei conti, l’elemento chiave di coesione profonda, tra popoli che vogliono vivere e crescere insieme non può essere altro che la cultura, nella sua piena espressione e nei suoi molteplici aspetti. Non già una cultura di facciata, dell’ultim’ora, ma l’elaborazione e la sintesi di un passato, anche a volte conflittuale, consapevolmente e intelligentemente condiviso. In tal senso, quello che può assicurare la riuscita del progetto di integrazione europea sono le tradizioni delle quali tutti gli Europei si sentono eredi, le radici comuni, filosofiche, giurisdizionali, spirituali, linguistiche e culturali, che affondano nell’humus delle civiltà dalle quali proveniamo e nelle quali una grande parte, talvolta tutti, gli Europei si riconoscono.

Oltre all’eredità del mondo greco-latino, della civiltà giudeo-cristiana, già citati, gli Europei si ritrovano e si riconoscono nelle imprese e nella dimensione europea del Sacro Romano Impero, nello splendore del Rinascimento, nello spessore culturale della Mittle-Europa, nella sua funzionalità, nei valori civici della Rivoluzione francese, nel pensiero filisofico che ha sotteso tutti questi momenti della storia europea, nel modello sociale, di impronta umanistica, che ha fatto dell’Europa, nell’ attuale momento storico, una delle regioni più civilizzate del mondo.  Un modello sociale che non è un fatto casuale ma una priorità collettiva, radicata nella coscienza popolare europea perché costituisce il risultato di un cammino percorso, già insieme.

4. Un cittadino per l’Europa.

Dopo aver realizzato le frontiere esterne, il mercato interno, messo in opera la politica commerciale,  la politica agricola, la politica regionale, la moneta unica e quant’altro, l’integrazione europea non progredirà  ulteriormente,  resterà un fatto economico e commerciale, niente di più di un grande mercato, se non si affronteranno le questioni vitali che costituiscono la colla del vivere e del divenire insieme. La questione  linguistica e culturale, quella dell’istruzione dei giovani, devono essere affrontate e risolte con uno spirito comunitario, che prescinda dalla strategia di dominio di una sola lingua e della sua cultura su tutte le altre, e nell’ottica di disegnare il profilo linguistico e culturale del cittadino europeo. Un’ Europa unita senza un autentico cittadino europeo, che non sia la semplice giustapposizione delle nazionalità esistenti, è una pura utopia. L’Europa ha la necessità urgente di una vera e propria politica linguistica e culturale, slegata dalla propaganda imperialistica della lingua unica e dalle deviazioni della globalizzazione, rispettosa delle realtà europee.

5. La pubblica istruzione.

L’Europa ha bisogno di una pubblica istruzione che, pur  rispettando le specificità di livello nazionale, sia oggetto di concertazione e di accordi, a livello di Comunità Europea, coinvolgendo le istituzioni nazionali e europee, per quanto concerne lo studio delle lingue, antiche e moderne, della storia e della filosofia, delle civiltà dalle quali discendiamo. Questo tipo di concertazione deve aver luogo tra i Paesi Membri dell’Unione impegnati nel progetto di integrazione e non sotto l’egida di organizzazioni internazionali di più ampio raggio che mirano a politiche e risultati diversi e non sempre convergenti con le tradizioni e con l’esigenza di coesione culturale dei Paesi dell’Unione Europea.

La pubblica istruzione non deve servire a preparare e a mettere sul mercato un “prodotto pronto”,  per soddisfare i bisogni delle multinazionali, come sembrano credere certi Ministri della Pubblica Istruzione, che hanno reso obbligatorio lo studio dell’inglese per i bambini, a partire dalla prima elementare. La scuola è fatta per formare, per insegnare ai giovani a ragionare con la propria testa, ad  affrontare la vita, ad assumere responsabilità, sul piano umano e professionale, ad essere dei buoni cittadini e a saper fare, al momento opportuno, le scelte giuste nell'interesse generale.

Il fatto che in Italia si voglia far studiare l'inglese ai bambini, dalla prima elementare in poi, è una fatto sconvolgente, una vera catastrofe nazionale. Ai bambini italiani, a tutti i bambini europei, bisogna far studiare anzitutto la propria lingua madre che costituisce un fattore strutturante fondamentale, del pensiero e dell’identità la più profonda. In seguito, il Greco e il Latino che sono  lingue formative che ancorano il fanciullo alle radici della civiltà nella quale è destinato ad evolvere, non una lingua “usa e getta” che veicola essenzialmente i valori del capitalismo, del mercantilismo, del profitto e del colonialismo economico e culturale.  L'inglese, in cosí giovane età, può rovinare, per sempre, la "forma mentis" dei bambini italiani, l'approccio logico e rigoroso che ci viene dal latino e sconvolgere il modello culturale italiano che ci ha reso celebri in tutto il mondo e fa parte del nostro patrimonio comune.

6. Il mondo del lavoro dei giovani europei.

Il servilismo, nei confronti del potere economico dominante, non solo, è deleterio per la formazione dei giovani e per la sopravvivenza della nostra civiltà ma non è neanche un investimento saggio per l’avvenire dei giovani, per il loro inserimento nel mondo del lavoro. Non si può prescindere dal fatto che il nostro mondo più vicino, destinato ad entrare sempre di più nel nostro quotidiano, è l'Europa, in seno alla quale, ci sono lingue più importanti  e, soprattutto, più formative dell'inglese.  Inoltre, non c'è nessuna garanzia che gli Stati Uniti avranno, tra venti anni, lo stesso peso che hanno oggi a livello mondiale. La storia ci insegna che tutto ha un fine: è crollato il muro di Berlino, l'URSS non esiste più, il nazismo, per fortuna, lo vediamo solo al cinema, non si vede perché l'imperialismo americano dovrebbe essere eterno.

I giovani devono pensare a un inserimento culturale adeguato nel loro mondo, nel mercato del lavoro europeo, in quell'Europa che costituisce il loro futuro. I giovani Italiani che vorranno andare ad esercitare la loro professione a Berlino, a Parigi, a Monaco, a Madrid a Barcellona o a Bruxelles, come faranno a cogliere le opportunità offerte dal mercato se conosceranno solo l’inglese? Come potranno inserirsi nel Paese che sceglieranno per lavorare e per vivere?  Il fatto di non conoscere le lingue di altri Paesi europei può precludere loro molte occasioni.

La Pubblica Istruzione non può avere nei confronti dell’inglese la subordinazione che veniva imposta, in altri tempi, alle colonie. E, soprattutto, non può operare scelte che competono al cittadino, all’individuo, secondo inclinazioni e affinità personali. Un tale comportamento è contrario  all'interesse generale dell'Italia, degli Italiani e dell'Europa ed equivale a riconoscere all’inglese delle qualità formative e una supremazia sulle altre lingue che non ha nessun riscontro nella realtà.  Queste qualità formative esistono  ma appartengono al greco e al latino.           

7.  Lingue ufficiali, lingue di lavoro.

I Padri fondatori della Comunità Europea avevano compreso l’importanza della lingua nell’ambito del processo di integrazione,  le cui istituzioni hanno una missione e delle prerogative che non possono essere assimilate a quelle di una qualsiasi organizazione internazionale. Per questa ragione, nell’ambito del primo atto ufficiale della Comunità Europea, il Regolamento N° 1/ 58, ispirandosi ai Trattati fondatori, ha confermato  che tutte le lingue sono lingue ufficiali e lingue di lavoro delle istituzioni europee. Del sistema plurilinguistico s’era fatto, peraltro, una delle priorità del processo di integrazione e del funzionamento istituzionale dell’Europa.

Per adempiere a questa missione le istituzioni  europee si erano dotate di servizi linguistici di alto livello che, prima di assumerli in forma stabile, si preoccupavano di formare i funzionari-linguisti alla specificità e alla tecnicità delle materie trattate e miravano a un continuo miglioramento e specializzazione professionale. Tutti i servizi operativi e tecnici delle istituzioni, in particolare quelli della Commissione che è l’organo di elaborazione delle politiche communitarie, erano formati da unità composte da funzionari di nazionalità rigorosamente e sapientemente diversificate. Le unità erano organizzate, in modo tale da poter utilizzare quotidianamente, e secondo le necessità, tutte le lingue ufficiali.  I funzionari venivano incoraggiati ad apprendere le diverse lingue ufficiali, mediante l’organizzazione di corsi ad hoc, soggiorni negli Stati Membri e altre facilità.


8. L’effetto delle successive adesioni.

Tutto è andato bene fino a quando, sotto la spinta della globalizzazione, da un lato, e delle  priorità di certi nuovi Stati Membri, dall’altro, l’inglese ha cominciato a pretendere al ruolo di lingua unica.

L’adesione di certi Paesi nordici, realizzata in maniera affrettata e sprovvista dell’ oculatezza necessaria per la salvaguardia del modello originale dell’Europa comunitaria, è stata una manna per gli anglofoni e per i fautori della lingua unica ma ha costituito un vero problema in vista del consolidamento di un’identità europea rispettosa e responsabile della diversità linguistica e culturale che le è propria. Si tratta sovente di un approccio tipico dei piccoli Paesi, i quali,  in mancanza di un mercato interno adeguato per permettere la produzione, in lingua nazionale e a fini nazionali, di tutte le espressioni della cultura, dal cinema all’editoria, dalla musica ai programmi televisivi, sono stati inglobati, da decenni, nell’area della cultura anglo-americana che è diventata una loro seconda natura, anche grazie a un tessuto culturale di base, sotto certi aspetti, affine e compatibile.

In seguito, l’adesione in massa dei Paesi dell’Est, realizzata ancora più affrettatamente di quella dei Paesi nordici, che ha visto l’instaurarsi di una regia occulta che ha imposto l’inglese come unica lingua per i negoziati, nonostante il fatto che molti di questi Paesi conoscessero meglio il tedesco o il francese e, in alcuni, casi avessero anche manifestato la preferenza per queste lingue, ha reso la situazione ancora più complessa. Da parte sua, la Commissione, invece di impegnarsi ad ancorare i propri Servizi a un plurilinguismo effettivo, divaga e perde tempo.

Arrivati in Europa, su un piano di parità, non sempre compatibile con le dimensioni del Paese e con le regole della democrazia, molti di questi Paesi, per diverse, infondate, ragioni, pretendono  di imporre la scelta dell’inglese, che previa un’analisi sommaria considerano una scelta obbligata, ai grandi Paesi europei, agli Stati Membri fondatori, abituati da decenni a un sistema multililingue, con una ostinazione senza remore e una incredibile mancanza di rispetto nei confronti di milioni di cittadini europei che la loro scelta discrimina.  Lo spirito contabile che aleggia sulle istituzioni europee e che ha sostituito il fiuto politico, non permette loro di  vedere i limiti e i rischi di questa scelta e del progetto che la ispira.


9. La strategia della lingua unica.

In questo contesto, e grazie a un’orchestrazione molto abilmente messa a punto, all’interno dell’ Amministrazione Pubblica Europea come all’esterno, facendo leva sulla diplomazia, sulle Rappresentanze Permanenti, sui politici e sugli organi di governo degli Stati Membri, mediante lo sbandieramento di criteri di  carattere economico e di bilancio, peraltro totalmente infondati, le istituzioni europee sono state prese d’assalto dalla strategia  della lingua unica.

Per il momento, in seno alla Commissione Europea, c’è in atto un sistema a tre lingue che si vorrebbe far adottare ufficialmente e che mira, a termine, all’adozione di una sola lingua.  Questo sistema porta a uno stravolgimento del progetto europeo perché solo i Paesi che riusciranno a conservare la presenza attiva della propria lingua riusciranno a impregnare l’Europa della loro cultura e della loro identità.

Se è vero che lavorare costantemente in ventitre lingue può creare qualche difficoltà, è altrettanto vero che costruire l’Europa ha un prezzo che, se non vogliamo mettere a rischio il progetto di unione, dobbiamo pagare, soprattutto alfine di evitare di creare cittadini di prima e di seconda categoria.  E’ necessario trovare un “modus vivendi” che può essere anche a geometria variabile, un sistema fondato su criteri democratici, su parametri obiettivi, univoci ed espliciti che tenga conto, tra l’altro, del peso demografico delle lingue europee, le qualidevono essere usate e valorizzate anche come strumento per raggiungere e coinvolgere i milioni di cittadini europei nel progetto di integrazione. E’ indispensabile costruire un sistema che valorizzi la diversità linguistica e culturale dell’Europa, che miri a protegerla e a conservarla.

Al contrario, sotto l’influenza delle strategie messe  in opera da Neil Kinnock, attuale Presidente del British Council, all’epoca in cui era membro della Commissione Europea, responsabile dei dervizi linguistici, informatici e amministrativi, la Commissione divaga, va fuori dal seminato, e segue un cammino tracciato da ideologie estranee all’interesse generale e ai valori dell’Europa, senza porsi domande.

Invece di darsi da fare a ricostituire i servizi linguistici smantellati da Neil Kinnock e, in parte, esternalizzati, a mettere in funzione un sistema informatico degno di una Comunità multilingue, a predisporre un’informazione plurilingue per i cittadini europei, in grado di raggiungerli e di coinvolgerli nel progetto di integrazione dell’Europa, invece di preoccuparsi di rivedere la legittimità nella scelta delle lingue di procedura, la legalità e l’efficacità del sistema linguistico applicato ai concorsi per l’assunzione di funzionari che si fanno in sole tre lingue, invece di turbarsi per la qualità dei testi originali che diventano sempre più scadenti perché sempre meno funzionari sono autorizzati a redigere nella propria lingua, i signori Commissari perdono tempo e si occupano in priorità di questioni secondarie quali le lingue minoritarie, i dialetti e le lingue degli immigrati.

L’adozione della lingua unica comportrebbe, a termine, la costruzione di un modello europeo ispirato a una sola cultura. Questo sistema, come d’altra parte già accade troppo spesso, fa si che molti Paesi, l’Italia in primis,  invece di mandare, alle riunioni, il tecnico specializzato sull’argomento all’ordine del giorno, mandano il funzionario più o meno factotum che parla l’inglese con tutte le consequenze nefaste che questo comporta.

L’integrazione europea è un affar serio, un processo che in pochi anni può cambiare, a loro svantaggio, i connotati dei Paesi poco attenti. Per questo, richiede preparazione, attenzione, presenza, quotidiane e costanti, e la doverosa determinazione, per coloro che ci rappresentano di salvaguardare le nostre tradizioni e la nostra identità non già in un semplice e meschino interesse nazionalistico ma per metterle a disposizione della qualità della vita di tutti gli Europei. 

10. La nascita delle lingue di procedura.

Il risultato più evidente della strategia della lingua unica è stato che la Commissione, al suo interno, è stata investita, alcuni anni fa, tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, di una proposta emanante dal Presidente in carica, di adottare l’inglese come unica lingua di lavoro.

A seguito delle proteste congiunte dei Ministri degli Esteri di Francia e Germania, la Commissione ha ripiegato su tre “lingue di lavoro”, francese, tedesco, inglese, senza giustificare, istituzionalmente, questa scelta e enunciarne  i criteri di discriminazione.  Non potendo, tuttavia, definirle ufficialmente “lingue di lavoro” per non essere in palese contraddizione con i testi fondatori, che definisco lingue ufficiali e lingue di lavoro tutte le lingue ufficiali degli Stati Membri, le ha chiamate “lingue di procedura”. Vale a dire lingue usate per adottare un testo del Collegio via la “procedura scritta” che è una delle prassi interne alla Commissione.

11. Riunioni tecniche senza l’interpretazione.

Il Consiglio di Ministri ha fatto anche di peggio autorizzandosi, da un giorno all’altro, a tenere molte riunioni, in particolare quelle di livello tecnico che sono le più delicate, in due sole lingue, inglese e francese, spesso anche senza l’ interpretazione, da e verso queste due lingue, obbligando i presenti a una conoscenza approfondita di entrambe, salvo fare solo atto di presenza. Tenuto conto della sua arbitrarietà questa decisione è stata presa brutalmente con il solo accordo dei Rappresentanti Permanenti, i quali, tra i loro poteri non detengono quello di cambiare, da soli, Regolamenti e testi fondatori. Una decisione presa alla chetichella, senza informarne preventivamente il personale coinvolto nelle riunioni e in assenza di qualsiasi preparazione ad hoc per gli stessi funzionari delle istituzioni europee, abituati tradizionalmente a poter disporre di un servizio di interpretazione e di traduzione ampio e accurato.

Non è facile spiegare ai non addetti ai lavori i danni irreparabili che tali decisioni comportano per la difesa e la presa in conto degli interessi  nazionali e per la partecipazione effettiva di tutti gli Stati Membri al processo di integrazione in corso. Le decine di riunioni, di carattere tecnico, che si tengono ogni giorno, in seno alle istituzioni europee, non permettono una partecipazione effettiva ed efficace degli esperti degli Stati Membri se non prevedono la possibilità di esprimersi nella propria lingua e di disporre dell’interpretazione verso la propria lingua alfine di comprendere, nei dettagli, la materia trattata e la posta in gioco.

E’ necessario insistere su questo punto: questo tipo di riunioni che, ripeto, si tengono a decine ogni giorno a Bruxelles, a Lussemburgo, a Strasburgo e un po’ ovunque, trattano di agricoltura, commercio, concorrenza, coperazione, finanze, trasporti, energia e quant’altro,  non si tratta di discussioni di carattere generale ma di concertazioni di carattere altamente tecnico e specializzato che producono decisioni con un impatto diretto sui vari settori dell’economia degli Stati Membri e sui cittadini. Una mancanza di presenza attiva, una distrazione, possono costare carissime a un intero Paese e soprattutto a tutti i cittadini europei. 

E’ cosi che, per una “distrazione” dei Paesi dell’Europa mediterranea, i Belgi, gli Olandesi e i poveri Italiani, Greci e Spagnoli che vivono in questi Paesi si ritrovano a dover mangiare pomodori, peperoni, melanzane, zucchine e altre verdure, coltivate con  l’idrocultura nelle serre dell’Olanda e del Belgio.  Le verdure che sono i frutti del sole del Mediterraneo che il sole non lo hanno mai visto e del prodotto originale hanno conservato solo il nome.

E’ cosi che l’industria dei forni elettrici di un Paese, che non voglio nominare, è quasi riuscita a far eliminare, in Italia, i forni a legna, per cuocere la pizza che secondo uno studio di “esperti indipendenti” risultavano poco igienici.

E’ cosí che i programmi di istruzione e di studio vengono deviati subdolamente verso forme alleggerite, più pratiche, nozionistiche, orienate verso l’informazione piuttosto che verso la formazione, non congeniali al nostro profilo storico-culturale perché castigano lo spirito speculativo che è all’origine del pensiero e della creatività della civiltà europea. E’ cosi che l’italiano sta scomparendo poco a poco dal quotidiano delle istituzioni europee.

12. Europa alla deriva.

La realtà è che, in queste condizioni, l’Europa è alla deriva, prigioniera di un manipolo di attivisti che ne deturpano le sembianze e ne forgiano un futuro controverso e nefasto perché non rispettoso della sua identità multiforme e policroma. La verità è che gli Europei sono stati derubati del loro progetto di integrazione.

L’integrazione europea sta trasformandosi in uno strumento di potere della globalizzazione delle multinazionali e di oppressione dei popoli,attraverso le scelte tecniche, commerciali, agricole, amministrative che ci vengono dettate da potenze estranee, direttamente e via diversi e molteplici mecanismi. Tra questi, le organizzazioni internazionali ad hoc, le lobbies delle multinazionali infiltrate ovunque, le società di consulenza che forniscono, a getto continuo, i famosi “esperti indipendenti” i quali hanno stravolto e stanno stravolgendo l’apparato amministrativo delle istituzioni europee e degli Stati Membri, tra l’altro, attraverso le schedature che, con il pretesto del del terrorismo,  sono sempre più diffuse e invadono tutti gli aspetti della vita civile.

L’integrazione europea sta trasformandosi in un baraccone informe  le cui competenze diventano sempre meno compatibili con la carenza di democrazia, con la mancanza di servizi adeguatamente organizzati e strutturati, per assicurare la partecipazione attiva di tutti i cittadini e di di tutte le parti interessate, al concepimento della nuova Europa che si costruisce, giorno dopo giorno. Competenze  incompatibili con l’assenza della trasparenza e dell’imparzialità necessarie a questo tipo di progetto che vede in gioco Paesi, valori e interessi di grande disparità.

13. Lingua di comunicazione e lingua di concezione.

Tenuto conto della natura “sui generis” ,unica al mondo, delle istituzioni europee, esiste molta confusione in fatto di lingue e quanto alla necessità di avere “una” lingua di comunicazione. In realtà, come già messo in evidenza, non essendo una organizzazione internazionale ma un apparato politico-amministrativo che, sotto molti aspetti, è del tutto paragonabile a quello di uno Stato, l’Europa ha bisogno di lingue di concezione.

Gli anglofoni e gli anglofili hanno messo in circolazione quest’idea  della “lingua franca” , la più pratica, la più facile, quella che ci è comune, c’è addirittura uno slogan che farnetica più degli altri, definendo l’inglese come “il nuovo latino”. I pretesti che si accampano sono quelli dell’economia, dell’efficienza, della razionalità, della credibilità delle istituzioni, si pretende di voler  evitare la babelizzazione delle istituzioni europee. In realtà si tratta solo di slogans senza alcun fondamento, spesso in totale contraddizione con la realtà dei fatti, che non reggono a nessun esame, sotto qualsivoglia profilo, messi in circolazione da una propaganda di bassissimo livello che mira solo al dominio economico e culturale dell’Europa. L’uomo della strada, a cui non va di informarsi e di fare lo forzo di ragionare con la propria testa, ripete tutto ciò a pappagallo, si crea cosí una corrente, non già di pensiero ma di luoghi comuni, sulla questione linguistica che non ha niente a che fare con le esigenze e con la réaltà dell’Europa e delle sue istituzioni.

Al dilà dei problemi di diritti umani e di democrazia, che non voglio prendere in esame in quest’ambito, restando al semplice livello dell’efficienza e della credibilità, la realtà è che l’Europa per costruirsi e per crescere, per conservare la sua identità, per rimanere un punto di riferimento della civiltà occidentale e la Patria comune di tutti gli Europei non ha bisogno di “una” lingua di comunicazione ma, anzitutto, di molteplici lingue di concezione e di comunione.L’Europa non può essere “pensata” in una sola lingua perché l’unilinguismo non le permetterebbe di conservare la sua identità. La sfida alla quale siamo confrontati non è quella di scegliere una lingua di comunicazione per l’Europa ma quella di trovare un sistema per far coesistere e convivere armoniosamente la sua ricchezza e la sua diversità linguistica e culturale.

Anna Maria Campogrande
Novembre 2007 

No al "Rottama Italia" di renzi (eufemisticamente detto "sblocca Italia"


Rottamazione totale

Per una eco resistenza più articolata, autorganizzata e diffusa: "Ce n'est qu'un début, continuons le combat!"

Da info dell'ultima ora il decreto "Rottama Italia" avrà la seguente calendarizzazione al Senato:
Lunedi 3/11 ore 15,00 - Commissione
Martedi 4/11 ore 17,00 - Aula

Ci appelliamo a tutte/i per far girare la notizia, in questi pochi giorni che rimangono e alla massima partecipazione  ai Presidi.

Al termine dell'Incontro del 31 ottobre 2014 a Roma seguirà comunicato dettagliato.Il Governo Renzi/Lupi, dopo l'ennesima fiducia messa alla Camera dei Deputati, farà altrettanto al Senato per la definitiva conversione in legge. Per questo motivo, il Comitato No Corridoio Roma-Latina insieme ad altre realtà e co-resistenti, hanno lanciato un appello a tutti i Comitati, Forum e Associazioni che hanno a cuore la propria terra, la propria aria e il proprio mare.

La finalità è quella di decidere insieme le modalità del Presidio al Senato e altre iniziative di contrasto. Seguirà comunicato dettagliato.
Il "Rottama Italia" contiene ed è portatore insano di devastazioni, nocività e inquinamenti senza precedenti:
- impennata della cementificazione e impermeabilizzazione del territorio
- incentivi all'energia da fossile (carbone)
- decine di trivellazioni per il petrolio
- nuove grandi opere autostradali
- svendita del demanio pubblico
- privatizzazione dell'acqua pubblica, nonostante il referendum
- centralizzazione dei controlli da parte dei Ministeri e conseguente perdita di poteri degli Enti Locali
- proroghe ai concessionari autostradali, senza alcuna gara
- autocertificazione da parte dei proprietari di aver fatto le bonifiche dei siti contaminati, esautorando di fatto il potere di controllo degli Enti Locali.

  
Per contatti: nocorridoio@tiscali.it - cell. 3332152909

Tortoreto Lido, 7 - 8 - 9 novembre 2014 - "I Colori del Sole"



Gentili Signore e Signori, è un grande piacere per me presentarvi l'associazione culturale pedagogico ad indirizzo steineriano "I Colori del Sole" (Impresa Sociale senza fini di lucro) di Tortoreto Lido (Abruzzo)

Da 2 anni un piccolo gruppo di persone lavora senza sosta per creare una realtà nuova nel nostro territorio: un asilo e una scuola parentale ad indirizzo steineriano.

Oggi nella nostra scuola c’è un nutrito gruppo di bambini.

Alle attività scolastiche e pedagogiche affianchiamo una serie di corsi tenuti dai migliori insegnanti delle scuole Waldorf (italiane e non solo), rivolte ai genitori e a tutti coloro che si interessano di crescita personale.

Il prossimo seminario si terrà il 7, 8 e 9 Novembre, ed ha come titolo:

"Cosa si aspettano i bambini dagli adulti nei primi anni della scuola elementare?"

Ho ritenuto opportuno invitarvi per condividere con voi il nostro progetto e il nostro entusiasmo.

Vi aspetto, e sono sicuro che il tempo che dedicherete a questa attività sarà per voi un ottimo investimento.

Chi fosse impossibilitato a partecipare per l'intero seminario è invitato al convegno gratuito di venerdì 7 Novembre, ore 20:30.

Per le iscrizioni o per domande sono volentieri a disposizione.

Cari saluti

Giuseppe Pepe
333 86 48 985
Responsabile Immagine I Colori del Sole

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mercoledì 29 ottobre 2014

Treia - Indicazioni per la manifestazione del 31 ottobre 2014 - "Riciclaggio della memoria"




Il 31 ottobre 2014 si tiene a Treia la manifestazione (di libera partecipazione) "Riciclaggio della Memoria", che si svolge durante l'intera giornata. Il clou sarà alle h. 17 con una Tavola Rotonda e spettacolo di arte varia nella Sala Consiliare del Comune (in Piazza della Repubblica).  

Ma gli eventi iniziano sin dalla mattina del 31 ottobre,  alle 10 circa partiremo per una passeggiata erboristica con Sonia, la sibilla delle erbe (ad offerta libera per l'accompagnatrice). Appuntamento in Via Sacchette 15/a al Circolo Vegetariano VV.TT..  Cominciamo dall’orto che sta sotto il Circolo che è pieno di erbe selvatiche commestibili. 

Con quanto raccolto ci faremo un pappone per il pranzo (lasciando anche qualcosa per la cena), se ognuno porta qualche pietanza vegetariana saremo tutti felici e contenti. Se il tempo è bello pranziamo nell’orto se è bruttino staremo al Circolo. Portare con sé suppellettili (piatti e posate e tovaglioli), al termine si farà la conta per il lavaggio delle pentole e riordino dei locali.

Il pomeriggio verso le 15 andiamo a zonzo a visitare la bella Treia.

Alle 17 circa saremo nella sala consiliare del Comune per la Tavola Rotonda, la mostra, le poesie, gli interventi musicali (chitarra e hang drum), etc. la manifestazione termina con una degustazione di prodotti bioregionali preparati ed apparecchiati da Gigliola. Al termine una addetta della Pro Loco ci accompagnerà a visitare la pinacoteca che si trova sullo stesso piano della Sala Consiliare. 

Conclusi gli aspetti culturali e ludici torniamo al Circolo dove ci saranno dei canti serali con meditazione per celebrare la Vigilia di Ognissanti.

Chi partecipa venendo da lontano può fermarsi a dormire (gratuitamente) al Circolo, in modo spartano, portandosi sacco a pelo ed asciugamani.

Per raggiungere il luogo: Quando si arriva a Treia si vede la circonvallazione che costeggia le mura. A sinistra  ci sono i lavori in corso per una frana, parcheggiare lì nei pressi sotto la Porta Montegrappa (o Mentana), dove si nota una fontana con due cannelle, salire sino alla Porta, subito a sinistra c’è un vecchio pozzo, salire ancora per 10 metri, quella è Via Sacchette, sulla destra si vedrà un piccolo spiazzo con una porta leggermente sopraelevata su un terrazzino, con la targa "Circolo vegetariano VV.TT.",  a fianco c’è anche un orto urbano con degli ulivi, noi siamo lì…  Quando arrivate e magari non ci vedete allora salite per tutto il percorso di Via Sacchette, arrivati in Via Mazzini, girate a destra  e trovate il n. 27 suonate al campanello Regazzi/D'Arpini. Se proprio vi siete persi chiamare al 333.6023090 - 0733/216293

Paolo D'Arpini e Caterina Regazzi
Circolo vegetariano VV. TT. di Treia



La manifestazione si svolge con il patrocinio morale del Comune e della Proloco di Treia

martedì 28 ottobre 2014

Proposta Nonviolenta per il 4 novembre: non festa ma lutto...




Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le città d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.

Affinché il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.

Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.

Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire. Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.

Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.


In particolare quest'anno, a cento anni dal primo conflitto mondiale, vogliamo sostenere la Campagna "Un'altra difesa e' possibile" con la proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta. Un Dipartimento che comprenda i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo e che abbia forme di interazione e collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ed il Dipartimento della Gioventu' e del Servizio Civile Nazionale.

Si tratta di dare finalmente concretezza a cio' che prefiguravano i Costituenti con il ripudio della guerra, e che gia' oggi e' previsto dalla legge e confermato dalla Corte Costituzionale, cioe' la realizzazione di una difesa civile alternativa alla difesa militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l'opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi.

Obiettivo della Campagna e' quello di dare uno strumento in mano ai cittadini per far organizzare dallo Stato la difesa civile, non armata e nonviolenta - ossia la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell'integrita' della vita, dei beni e dell'ambiente dai danni che derivano dalle calamita' naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni - anziche' finanziare cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra, che lasciano il Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono e lo rendono invece minaccioso agli occhi del mondo.

Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralita' alla Costituzione che "ripudia la guerra" (art. 11), afferma la difesa dei diritti di cittadinanza ed affida ad ogni cittadino il "sacro dovere della difesa della patria" (art. 52).

Per informazioni sulla Campagna "Un'altra difesa e' possibile"

vai al sito www.difesacivilenonviolenta.org

Segreteria della Campagna c/o il Movimento Nonviolento



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Integrazione commento di Sarvamangalam: "Nessun popolo può sentirsi la coscienza completamente a posto finché sopporta i governi di guerra Nato e il commercio internazionale di armi.
Fuori l'Italia dalla Nato, fuori la Nato dall'Italia, via i governi fornitori di armi al pianeta, riconversione civile delle spese industriali militari, che sottraggono lavoro e risorse alla vita della società. 
Senza questi requisiti nella sua filosofia e nel programma di azione propagandistica nessuna organizzazione politica può venir
 presa davvero sul serio nè tenuta in considerazione.
I fatti hanno mostrato fin troppo chiaramente, e sanguinosamente, che la Nato non è una alleanza difensiva, bensì una crudele (e costosa) macchina di aggressione guerra e strage contro l'umanità.
Dunque, oggi come ieri, non un uomo, non un voto, non un soldo alla partitocrazia secondorepubblichina di guerra e rapina contro i popoli: qualunque alternativa deve sempre fondarsi sullo spirito di pace, coesistenza e mutua coooperazione tra i popoli e tra gli individui senza il quale solo la nefasta barbarie può imperare.
Fin che l'istituzione è violenza essa va rifiutata senza intermedio, boicottata in ogni modo possibile, mentre lo spirito di boicottaggio e alternativa debbono essere diffusi da per ogni dove, fino a quando prevarrà nei fatti, senza se nè ma o però.
"Contro la guerra dobbiamo essere duri come pietre" (Aldo Capitini).

Farsi il pane da sé, in camper....




Nei 17 anni che ho vissuto in camper ho per lunghi periodi dovuto farmi il pane perché per esempio in Asia è stato molto difficile di trovare qualche cosa di accettabile per me.
Nel camper avevo un forno trivalente, tradizionale ventilato, microonde e griglia.

Ogni volta mi facevo due pagnotte da un kg. con 2/3 farina bianca e 1/3 farina integrale, niente sale e 600 cl. di acqua e un cucchiaio di lievito istantaneo per kg. di farina, cottura a 200 per una ora.

Lo tagliavo a fette, lo surgelavo e prima di usarlo lo passavo nel toster con risultati più che soddisfacenti.

Da quando sono in Sud Africa,  a seconda di come mi girava o lo facevo o usavo le produzioni locali che nella maggior parte dei casi non sono un gran che.

Due settimane fa Reinette mi ha passato una ricetta per il pane proveniente da una rivista locale facendomi notare nella foto i buchi grandi nella mollica che è per lei il pane che gli piace di più, da quando assaggiò il casareccio romano con i buchi nella mollica.
La ricetta prevedeva 900 cl di acqua per kg. di farina, perciò impossibile da impastare.,
Pur avendo molti dubbi ho ugualmente voluto fare la prova che è la seguente:
La sera mettere in una bacinella di notevole capienza 1 kg di farina, una bustina di lievito istantaneo, a scelta un po' di sale e 900 cl  di acqua tiepida. Con uno strumento adeguato mischiare fintanto che diventa un pappone appiccicoso ma omogeneo.

Chiudere il recipiente con coperchio o con foglio di plastica e mettere nel frigo.

Il giorno dopo il pappone ha lievitato notevolmente, lo tiro fuori e con l'aiuto di farina debbo usare la punta delle dita per dare una certa forma a due metà quindi lasciare lievitare per circa 30 minuti e poi infornare per circa una ora a 200/230.

Non è un pane che ho visto in alcun negozio locale e debbo confessare che è molto saporito e mi permette con molto meno tempo di poter avere un pane straordinario.

Roberto Anastagi

lunedì 27 ottobre 2014

Un ultimo caffè amaro... prima di lasciare l'Italia, nella speranza di avere un futuro per i propri figli



Caro Paolo, L’ULTIMO CAFFE’ così l’ho titolato, servito in quella bianca tazzina, terribilmente amaro benché l’avessi riempito di zucchero, uno, due, sino a cinque cucchiaini, e mentre l’ho bevevo, e mescolavo e bevevo a sorsi piccolissimi per non finirlo, possibilmente farlo durare il più a lungo possibile, ma il tempo a volte ci è nemico marcando inesorabilmente le ore, in alcuni casi come se fossero minuti o secondi, lasciando in noi tanta tristezza.

Le cause, un paese ormai sull’orlo del baratro, provocato da comportamenti ingiusti di uomini che hanno raggiunto il potere e guidano la comunità macinando senza pietà ne consapevolezza il destino dei propri sudditi con gravi danni alla intera Nazione, per mantenere inalterati i privilegi della Politica, non importa se chiudono le fabbriche, distruggono famiglie, rubano il futuro ai giovani, essi proseguono incoscientemente sino all’affondo totale.

Questa crisi Economica e di Ingiustizie di vecchia data, più Italiana che mondiale, ha scombussolato in modo grave il nostro Paese al punto che ogni famiglia si lecca le proprie ferite. Si salva soltanto chi ha la possibilità di andarsene, emigrare.

La nuvola grigia della Politica dell’inganno che avanza seminando sofferenze continue, certamente ha uno scopo e dalla realtà attuale si può immaginare il ritorno al passato, quel passato dominato dalla DC (Democrazia Cristiana) la quale dopo tanti danni arrecati al Paese di cui continuiamo a pagare le conseguenze, si era presa un periodo di riflessione, far dimenticare le proprie malefatte e ricaricare le pile per un ritorno del lupo travestito da Santone.

L’informazione manovrata con l’arma raffinata del Potere, nasconde le sofferenze della popolazione con fallimenti e suicidi, mentre chi sa leggere nelle menti sataniche che usano il linguaggio Fiorentino della speranza e della ripresa col sorriso per abbindolare gli stolti, fermentano rivendicazioni.

I giovani di oggi hanno imparato a leggere nel profondo ed appartengono al nuovo mondo: alcuni impauriti privi di carattere si lasciano trascinare dalle masse, mentre altri si prefiggono degli scopi precisi nella vita e non accettano gli artisti di piazza arrampicati nelle poltrone di comando.

Mia figlia improvvisamente viene a salutarmi senza preavviso, in modo da togliermi ogni possibilità di resistenza dicendomi: Papà, domani parto definitivamente per l’Australia. Ma cara Roberta, avevi una casa, un lavoro dignitoso, una bella famiglia, si Papà è tutto vero, ma a mia volta ho delle responsabilità verso mio figlio. In famiglia abbiamo discusso a fondo l’argomento ed abbiamo preso delle decisioni.
Questo Paese è visibilmente finito, non ci sono più speranze. Dove vado dovrò incominciare tutto da capo e forse con qualche sofferenza, ma con la certezza di dare un futuro a mio figlio.

Cara Roberta, mi prendi di sorpresa e a questo punto non posso fare altro che augurarti tutto il bene del mondo, senza nasconderti che provo tanta tristezza, vai così lontano, forse non ci vedremo più, ma sappi che vi sarò sempre vicino col pensiero.

Papà, non vado lontano, ritorno al mio Paese natale dove tu stesso mi hai dato la vita.

Mentre mi avviavo verso casa, distratto da mille preoccupazioni, il mio pensiero si fondeva sulla realtà attuale che non lascia scampo a speranze positive, il mondo sembra improvvisamente impazzito, mentre da varie parti del Pianeta vengono a galla rivendicazioni causate da un passato di ingiustizie soffocate per anni dall’informazione, le quali per lungo tempo hanno seminato sofferenze morte e suicidi, distruggendo tantissime famiglie Italiane e straniere non soltanto in Italia, con il pensiero rivolto anche ai clandestini e agli sfollati che scappano dai vari Paesi dove la sofferenza è maggiore, dove la tirannia non ha limiti, considerando che tanta povera gente, intere famiglie affrontano lunghi viaggi al limite dei tanti pericoli sfidando anche la morte pur di cambiare vita. ONU, RELIGIONI, GIUSTIZIA, DIO, tutti barattoli di marmellata per ingannare l’Umanità.

Mentre il mio pensiero divagava in modo confuso ripercorrendo alcuni fatti importanti della vita in un mondo che da giovanissimo consideravo piccolo per la possibilità di muovermi liberamente da un continente all’altro, invece attualmente che ho raggiunto la maturità, vedo il pianeta grande quasi infinito,  pieno di pericoli, di rivendicazioni, di tiranni all’opera sotto false vesti.

La partenza di mia figlia per l’Australia mi si presenta come un viaggio verso un altro mondo, laico e libero, riportandomi indietro nel tempo, pensando a quando ero di passaggio per lo stivale, mi appariva come un mondo di ipocrisie dominate da cupole, campane e gruppi di potere che sprizzano tutto l’egoismo per mantenere posizione dominanti senza preoccuparsi dei danni verso la società, verso il prossimo.

Questa specie di uomini refrattari alle sofferenze che essi stessi infondono alla Comunità, soltanto nel letto di morte hanno una visione completa delle loro malefatte e chiedono perdono.

Anthony Ceresa

domenica 26 ottobre 2014

Il limite del limite - Fra discriminazione e sopportazione


Con il trascorrere del tempo ho constatato di avere esaurito la mia sopportazione (Infatti, se la cerco non ne trovo più) nei confronti delle persone che invocano con esasperante noiosa e tenace insistenza "il rispetto delle regole", a qualsivoglia livello considerate. Se è solo il "rispetto delle regole" ciò che si richiede, si ricordi che qualunque feroce tirannide è sufficiente allo scopo. Invece, se vogliamo osservare più in dettaglio il problema, ne possiamo scoprire interessanti altri aspetti.

Anzitutto, le uniche regole rispettate in modo automatico sono quelle naturali: il rispetto delle regole imposte dalla forza di gravità non è una scelta, bensì un fenomeno, come evidenziato dal fatto che chi provi ad uscire dalla finestra del sesto piano precipita a terra, lo voglia o no.


Le regole "sociali", invece, sono convenzioni, ovvero risultati di scelta, e le scelte si compiono dipendentemente dalle motivazioni.


L'unica motivazione psichicamente sana per una scelta è data da comprensione e accettazione spontanea per intima convinzione: scelgo di rispettare la regola del verso di percorrenza stradale (tutti i veicoli viaggiano sul proprio lato destro, salvo che in Inghilterra tutti sul proprio sinistro) perché è logica, e mostra di rispondere razionalmente all'esigenza di minimizzare il rischio di incidenti e i danni che essi comportano (e l'istinto di autoconservazione collabora spontaneamente allo scopo).


Esistono naturalmente altri metodi per generare una scelta: ad esempio la coercizione, sotto minaccia di punizione.


Il metodo coercitivo tramite minaccia può funzionare comportamentalmente, ovvero indurre il risultato concreto richiesto. Tuttavia esso è pischicamente malsano, causando paura, risentimenti, inimicizia, conflitto, ed altre conseguenze mentalmente assai negative. Ciò significa che qualunque risultato positivo costruisca da un lato, parimenti vi corrispondono indesiderabili risultati negativi da un altro.
Infatti, la società in cui ci troviamo a vivere, ampiamente fondata sulla coercizione realizzata dall'abitudine a sorvegliare e punire, è caratterizzata da radicale e diffusa malsanità psichica, insoddisfazione mentale, instabilità emozionale, carenza affettiva, sfiducia nella sincerità e nella verità.
Tutto ciò non è razionale, non è intelligente, non è utile.


E' ampiamente preferibile favorire la comprensione dei sentimenti profondi, dell'intelligenza, dell'analisi di motivazioni e finalità di ogni pensare ed ogni agire, in modo da poter vivere in una rete di relazioni (inclusa quella con se stessi!) soddisfacentemente fondata sulla integrità individuale tra sentimento, pensiero ed azione, presupposti necessari alla felicità del vivere. Solo a partire dall'integrità individuale tra psiche interiore e comportamento esteriore si può realizzare una rete relazionale che sia simultaneamente coerente (ovvero non autocontradditoria) e soddisfacente per l'anima dei suoi membri.


Non ha alcun senso utile organizzare i comportamenti, se essi non rispondono al bisogno di benessere interiore: non si può ignorare la vita interiore profonda dell'anima senza pagarne costose gravi conseguenze, mentre è possibile beneficiare ampiamente di ogni forma di sincera integrità interiore ed esteriore degli esseri umani.


La superficiale finzione adattiva costa cara (e non di rado: molto), mentre la sincerità interiore profonda paga con larghezza.


Tutto dipende, dunque, da quanto valore si voglia riconoscere, oltre che alla funzionalità, anche alla felicità del vivere. Senza felicità, un vivere meramente funzionale non ha grande valore (e spesso, invece, comporta non poco disvalore). E numerosissime storie di vita stanno a testimoniarlo.
Infelici ? No, grazie: non ne vale la pena.


Sarvamangalam.