giovedì 8 dicembre 2011

Echi nepalesi.

Un bucolico Oscar Salvador, autore di Di Kali ed altre storie, corrispondente dall'Asia per Viverealtrimenti, a zonzo sul lago Phewa Thal, a Pokhara, in Nepal.

Il requisito primario per passare una piacevole giornata  a remare sullo splendido Lago di Pokhara in cerca di uccelli e farfalle, è chiaramente quello di svegliarsi presto e di uscire dalla camera intorno alla sette, ma anche prima.
Nella borsa, poco ma tatticissimo materiale: libro uccelli, libro farfalle, binocoli, macchina fotografica, matita, orologio, panno (la cui utilità vedremo più avanti), sacchettata di noccioline e snack, e qualcosa bere.
Ci si reca quindi al molo ufficiale numero due, situato in posizione comoda e leggermente più economico degli altri.
Il prezzo del noleggio della barca in effetti è uno dei due unici lati negativi di queste gite (il secondo lo si vedrà alla fine), visto che, almeno secondo i canoni nepalesi, costa parecchio: circa 7 euro, quasi il doppio dell’affitto della stanza con bagno e acqua calda...
Il mezzo, tra l’altro, non è un panfilo di 18 metri, ma consiste in una semplicissima imbarcazione di legno, divisa da cinque assi che fanno da panchette, dotata di un utilissimo e usuratissimo remo di legno, e un’inutilissimo giubbotto salvagente.
Il metodo migliore per remare, come appreso da anni di attenta osservazione dei barcaioli locali, consiste nel sedersi a un’estremità, su una punta, con i piedi su una panchetta (o sedendosi sulla panchetta stessa come sembra preferiscano donne e turisti stranieri) e si procede in avanti spingendo il remo indietro, dando due-tre pagaiate per lato, in base alla corrente, che per fortuna essendo un lago è in genere quasi inesistente.
Cambiando lato, il remo va fatto passare sopra alla barca, quindi sgocciola un po’ e il fondo si riempie immancabilmente d’acqua, ma è un inconveniente di poco conto, dato che il bagaglio sta comodamente appoggiato sull’ampia panca centrale.
Un altro sistema per remare è lo stesso ma in piedi (sul fondo della barca, non proprio sulla punta), remando a mo’ di gondoliere, facendo sempre sgocciolare all’interno.
Questo sistema, apparentemente scomodo, è in realtà utilissimo per sgranchirsi un po’ dalla posizione seduta, nonché per scrutare tra il sottobosco, seppur l’utilizzo dei binocoli in piedi sulla barca sia decisamente pericoloso, dato il rischio (appurato!) di cadere in acqua...
Infine, è possibile l’andatura “retromarcia”, cioè remando al contrario spingendo il remo in avanti, che seppur scomoda per gli spostamenti veloci, risulta ottima per gli avvistamenti naturalistici, in quanto è molto utile per i difficili avvicinamenti e appostamenti zoologici.
Quindi, saliti sul mezzo, si poggia un foglio di giornale (offerto dal ragazzo che prepara l’imbarcazione) su una punta, giusto perché dopo l’umidissima notte invernale alla mattina presto è bagnata, ci si mette sopra il tatticissimo panno menzionato all’inizio, per salvare un po’ il sedere, e si comincia la lunga attraversata del lago.
Veniamo quindi all’aspetto geografico: bisogna attraversare il lago perché la sponda più interessante per uccelli e farfalle, è chiaramente quella opposta alla città, delimitata da verdissime colline quasi disabitate.
La zona di caccia principale è quella più remota, a nord, caratterizzata da numerose insenature, per l’esattezza 5, che vanno perlustrate in ogni minimo anfratto, remando il più lentamente e vicino possibile alla riva.
Il primo golfetto è delimitato dai due unici alberghi-ristoranti della zona, peraltro piuttosto desueti, situati molto tatticamente sui piccoli promontori che dividono i golfetti.
L’insenatura in sé è piccola ma molto selvatica e seppur sia la più vicina alla città, alla mattina presto può offrire splendide sinfonie cinguettose.
Dietro al promontorio del secondo ristorante, si apre quindi il secondo golfo, probabilmente il più grande, vagamente popolato su un lato di una collina, coltivata molto himalayamente (e liguriamente) a terrazze.
E appena si gira la curva sotto al ristorante, bisogna ricordarsi di salutare Ananda, il Serpente a Sette Teste, di pietra per fortuna, anche se nascosto lì tra i cespugli, all’ombra della mattina, la prima volta può fare un po’ spaventare...
Il terzo golfetto inizia a essere decisamente selvatico, ci sono giusto un paio di costruzioni abbandonate, semi-nascoste tra la vegetazione, e basta: alberi. Di qui si ha anche la miglior vista dell’Himalaya che sorge maestoso sopra le colline che sovrastano la città sull’altra sponda del lago.
All’andata questo sarebbe il punto migliore per fare fotografie; non al ritorno perché verso le dieci dalla cima di una delle colline proprio sotto alle montagne, si librano in volo quei venti-trenta rompiscatole col parapendio, che poi si passano la giornata a roteare in cielo come avvoltoi.
Sempre meglio degli aereoplanini o dei deltaplani a motore che spuntano ogni tanto alla mattina presto e ronzano come gigantesche zanzare giurassiche.
Il promontorio che delimita questa insenatura con quella successiva è piuttosto selvaggio e irregolare, e termina con un mini-ghat crematorio, probabilmente in disuso da anni, e quasi ingoiato dalla vegetazione.
Il quarto golfetto è piuttosto piccolo, ma privo di qualsivoglia presenza umana, e quindi il migliore...
Oltre a oggetti volanti più o meno identificabili, e identificati, va segnalata la presenza di scimmie, scoiattoli, nonché di un assurdo pesciolino lungo-lungo stretto-stretto che nuota anche di traverso come un cavalluccio marino.
Questo è anche il punto dedicato allo spuntino, non solo per l’atmosfera particolarmente idilliaca, ma anche perché, tra un’osservazione e l’altra, ci si arriva intorno alle dieci, e dopo aver già remato circa tre ore.

La tattica migliore è quella di avvicinarsi alla riva e quindi lasciare andare la barca dove vuole, dando giusto qualche colpo ogni tanto per non finire tra i cespugli.
Questo metodo è utilissimo per gli avvistamenti, dato che ci si muove lentissimi e silenziosissimi (a parte il rumore delle ganasce e dei denti che schiacciano noccioline e semi) ed è così infatti che fu avvistato il timidissimo pesce-cavalluccio.
Terminato il pic-nic acquatico, si procede molto lentamente lungo il promontorio, lungo e verdeggiante, finché si giunge nell’ultima ampia insenatura: La Laguna delle Anatre.
Nome dato alla zona quando, tanti anni fa, durante la primissima escursione da birdwatcher, furono osservati due magnifici esemplari di Ruddy Shelduck (o Casarca), una meravigliosa anatra dallo sfavillante colore arancione.
E nonostante la specie in quella zona non sia stata mai più osservata, ci sono comunque spesso altre anatre, molto schive e difficilissime da identificare, oltre ad una particolare presenza di Grebbi (o Tuffetti) e Cormorani, che nuotano, si tuffano, e si immergono più indisurbati che altrove, dato che quella è la zona più remota del lago.
Sulla collina più a nord, a dire il vero, ci sono alcune abitazioni, ma forse quel gruppetto di case sparpagliate tra le terrazze, non si può neppure chiamare villaggio...
Una volta doppiato il promontorio, si raggiunge la riva, si attracca e ci si reca sotto al solito cespuglio per fare una bella pisciatella, dopodiché ci si può dedicare al farfalla-watching visti i movimenti più che sospetti provenire da ogni cespuglietto...
E dopo aver goduto della pacificissima atmosfera, verso mezzogiorno si intraprende il lungo e lentissimo ritorno alla civiltà, costeggiando chiaramente tutta la riva in cerca di qualcosa che si muova.
Verso le 3 del pomeriggio, in genere si raggiunge il molo, stanchissimi, anzi, distrutti, ed è questo il secondo lato negativo delle gite in barca, oltre al già citato prezzo assurdo del noleggio: la condizione fisica dopo aver remato, seppur lentamente, per 7-8 ore
Fondamentalmente fanno male tutti i muscoli che vanno dai glutei ai lobi delle orecchie!
Per riprendersi ci vogliono almeno due giorni, anche se magari col tempo ci si potrebbe fare l’abitudine, sempre che venga un callo gigante sul sedere e il fisico di Schwarzenegger, entrambe possibilità in genere decisamente improbabili...


 

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