sabato 19 giugno 2021

Pianura Padana. Da terra promessa a terra avvelenata, per cupidigia...

Upadana, in lingua pali, indica la brama intensa o il forte attaccamento che fa nascere la falsa idea di “io” e “mio”.

Grazie all’indubbia somiglianza e assonanza con la parola Padana, che identifica la pianura nella quale vivo, sono affiorate in me profonde riflessioni sulla relazione con il territorio. Ho sempre definito la pianura Padana una “terra troppo comoda”, sfruttabile senza troppa fatica. Oggi è l’immagine manifesta dell’Upadana, dalla quale sono nate e incessantemente continuano a perpetuarsi azioni nefaste di prepotenza contro la Natura. Una prepotenza nata dalla paura. Paura di non avere abbastanza cibo, paura di non avere abbastanza denaro per vivere nel mondo, paura del femminile, dell’ignoto e della morte.

Yuval Noah Harari nel suo libro “Da animali a Dei” segna l’inizio della fine con l’avvento dell’agricoltura tra i 12.000 ed i 9.000 anni fa, definita una vera e propria rivoluzione. Fabio Bortesi lo spiega bene con queste parole: “L'essere umano passa da essere parte del tutto a essere tutto. Tutto è stato creato per lui, e goderne è un insieme di diritti senza doveri, o almeno senza doveri verso ciò che non è umano. In questo modo gli altri esseri viventi, fossero animali o piante, vengono posti un gradino sotto l'uomo. […] Credo che da qui, partendo proprio da quando abbiamo sostituito l'uomo al sacro, al divino, siano partite le molte sventure del genere umano e quelle di chi, sfortunatamente lo incrocia sul cammino.” Questa arroganza ha sostituito le religioni naturali divenendo una vera e propria religione antropomorfa e antropocentrica, i cui effetti sono aimè ben visibili e sotto gli occhi di tutti.

Per coltivare sono stati abbattuti gli alberi, ritenuti sacri fino ad allora, spelando la terra prematuramente. Oggi i campi vengono arati fino all’ultimo centimetro spingendo il limite sempre più verso i fossi o le strade. Siamo arrivati all’apice della follia coltivando addirittura cibo che nutre i biodigestori per la produzione di energia elettrica. Monocolture ovunque, ed includo anche quelle dei pioppeti da carta che aimè abbiamo identificato come la parte bella del paesaggio rurale senza nemmeno riuscire più a distinguere un paesaggio naturale da uno antropizzato. Sono stati rasi al suolo i rivali, protettori dei campi stessi e custodi preziosi di quella biodiversità ecosistemica di flora e fauna ancora sopravvissuta. Terreni violentati dai continui trattamenti chimici e meccanici ad opera di omuncoli ignoranti e privi di lungimiranza che inseguono il profitto ad ogni costo privando le generazioni future del proprio avvenire. Fiumi serrati fra alti argini che li intrappolano e rendono inaccessibili privandoci di quella relazione sacra e ancestrale con loro, simbolo del tempo e della vita umana.

Da raccoglitrice, non nascondo la difficoltà di trovare erbe spontanee in aree lontane da fonti d’inquinamento. Ci stanno privando della nostra stessa possibilità di nutrirci in maniera sana e di svincolarci anche solo in parte dalla perversa logica del consumismo.

E dov’è finito il senso della comunità? Nonostante tutto, nell'antichità non si raccoglieva mai fino all'ultima spiga di grano ai bordi dei campi, venivano lasciate le spighe per le vedove, gli orfani e i viaggiatori. “Se le verdure non fossero di tutti non crescerebbero solo nei campi”. Non ricordo chi lo disse o dove lo lessi, ma mi colpì molto. Oggi non solo nulla del raccolto viene lasciato, ma siamo addirittura arrivati a coltivare in serre di plastica svincolandoci anche dai cicli universali, e con la tecnica dell’idroponica anche dalla terra.

Chi si cura più dell’altro? Abbiamo creato un sistema sociale che ci lava dalla responsabilità dell'altro, dell'aiuto dell'altro. Abbiamo barattato il senso di comunità in cambio di un illusorio senso di controllo e potere. Non è difficile riconoscere però che le leggi sociali producono sofferenza perché non seguono le leggi naturali dell'amore.

Ungaretti, intervistato da Pasolini, nel 1965 dichiarava: “l'atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura”.

Ognuno di noi ne è responsabile, fin dal principio. Nessuno escluso. Siamo testimoni e complici di una civiltà aberrante che ha sostituito la spiritualità della Natura con l’uomo, per poi barattare la propria libertà con il dio denaro in cambio di un illusorio senso del potere e del controllo.

Ribelliamoci, individualmente, ogni giorno, ritrovando la spiritualità della Natura, compiendo consapevolmente ogni scelta, acquistando meno e consapevolmente, dando l’esempio, parlando con le persone che incontriamo, denunciamo i soprusi e la crudeltà nei confronti della Natura che è la nostra stessa anima. Ogni atto contro Natura è un atto di prepotenza nei confronti della nostra stessa anima.

Sii il cambiamento che vuoi avvenga nel mondo.

Elena Pradella



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