venerdì 6 marzo 2020

Restare in "solitudine" giova alla salute, mentale e fisica


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È la realtà che ti dice che sempre ora è l'occasione della pratica, non la tua volontà, non la tua scelta, non il tuo umore. Ma ciò che ti propone l'adesso. Anche le restrizioni imposte o suggerite in riferimento al coronavirus sono il luogo della pratica: osservare quanto sono dipendente dal dover aver rapporti, dal vedere persone, dal frequentare posti, dalle abitudini del sociale, dal camminare godendo delle vetrine lucenti, dall'entrare nei bar, nei ristoranti, dal frequentare corsi, dall'appuntamento con questo o quello. 
Quanto essere invece escluso da tutto ciò potrebbe essere un grande lavoro di ascolto di me medesimo nella mia intimità, nel silenzio rispetto al resto? 
Quanto tutto questo potrebbe essere vissuto come una sorta di pratyahara, cioè ciò che nella terminologia yoga è la ritrazione dei sensi dai loro oggetti? Quanto ad esempio la mia vita interiore, il mio ben-stare in me stesso è influenzato dalla mia fruizione o anche solo esposizione visiva alle merci, al mio godimento dei servizi, a ciò che insomma è il centro cardine di ogni capitalismo?
L'isolamento assoluto che ora qualcuno di noi può vivere in quarantena è possibile pensarlo come una grande possibilità? Non puoi vedere e parlare di persona con nessuno, è una perdita totale delle tue abitudini, anche di ciò su cui avevi costruito la tua libertà. Qualche familiare magari ti porta qualcosa, cibo o altro per andare avanti, ma lascia tutto in fondo alle scale. Sei ritirato, "la tua vita è il tuo monastero" (Ramana Maharshi). 
Occasione temporanea di piccolo eremitismo personale. Si è sganciati dalla propria apparente o consistente “utilità”, ma forse c'è qualcosa precedente ad essa che si può incontrare: “Gli uomini conoscono tutti l'utilità di essere utile, ma nessuno conosce l'utilità di essere inutile” (Chuang Tzu). 

E soprattutto c'è forse l'incontro con un'infinità che oggi oramai è infangata, coperta, dimenticata da un'altra (finta) infinità, quella del “fuori”. Nei versi di Emily Dickinson:
"Ha una sua solitudine lo spazio,
Solitudine il mare
E solitudine la morte – eppure
Tutte queste son folla
In confronto a quel punto più profondo,
Segretezza polare,
Che è un’anima al cospetto di se stessa:
Infinità finita."

Gianfranco Bertagni

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