mercoledì 23 ottobre 2019

"L'illuminazione sorge dall'interno"... di Beatrice Udai Nath



Se qualcuno è toccato dalla Grazia, l'evento è deciso dall'interno, non è causato da nessuna forma esteriore. All'esterno avvengono fatti, eventualità che la materia resiste o agevola, secondo le informazioni che già ha accumulato, ridisegnando il suo bisogno o la sua soddisfazione, la sua perpetuazione. Tutto scivola sulla via che produce minore resistenza. Qualcosa che all'interno del fluido liquido invece si è agitato di moto proprio, di voce interna, di compassione, che è commosso e che si sente chiamato, non ha nome e non ha altra dinamica che il suo sollevarsi istantaneo. 

Cosa lo ha chiamato? Cosa lo ha trattenuto? Sono le forme, l'abbaglio di un concetto, un concerto, un fenomeno ben riuscito, conosciuto, digerito, addentato per l'ultima e l'ennesima volta? L'altro, l'altrove o il medesimo? Non è questo e non è quello. E se qualcosa ci separa non è il concerto di una cultura o dell'altra, se ci unisce non è l'esperienza epidermica del piacere momentaneo. Qual è l'esperienza? Che nessuno è estraneo all'altro, nessuno è estraneo all'umano, al vivente che abita ogni cosa, che sale quando sale, che si accascia che ricade, che resta vivo quando ogni luce muore, quando il mondo si spegne, serpeggia, si ferma, si racchiude e si apre al silenzio suo e del mondo tonante di beatitudine. Che in ogni cosa anela la liberazione. 

Non è bello, ben formato, acculturato. Consola con la propria consolazione, la caducità del mondo, la sua innata sofferenza, incarnata per l'ennesima volta, che risale senza appigli al cielo, non visto, sempre conosciuto. Come un albero sotto cui si resta all'ombra, non deve che restare dove si trova, appena agitato dal  vento, riparare e accogliere chi lo cerca. Non deve offrire che il suo riparo. Quello che cerca il suo riparo, lì lo trova. Potente di tutte le parole appese a farsi voce del vento, solitario aperto sotto il sole, senza che abbia lui alcun riparo.


Beatrice Polidori  Udai Nath



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