La Corte Costituzionale ha bocciato la riforma della Regione Toscana in termini di ampliamento degli Ambiti territoriali di caccia (Atc) - che scendono a nove e corrispondono ai territori delle ex province (con accorpamento di Firenze e Prato) - dichiarandola "illegittima". La Consulta era stata coinvolta da un ricorso in via interpretativa promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro la legge regionale toscana 88 del 2014, in relazione alla lettera 's' dell'art. 117 della Costituzione.
La riforma toscana degli ambiti di caccia stabiliva nove Atc corrispondenti ai confini provinciali e prevedeva che con il piano faunistico venatorio pottessero essere istituti dei sottoambiti, privi di organi, per garantire una zonizzazione più omogenea. Per la Corte Costituzionale questa impostazione è "illegittima" e "tradisce" la finalità del legislatore statale di volere "attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori nel territorio" e "conferire specifico rilievo alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio". "Il carattere provinciale dell'ambito voluto invece dal legislatore toscano - scrive la Consulta - al quale si lega l'istituzione di sottoambiti privi di funzioni amministrative, tradisce questa finalità. Esso diluisce infatti una sfera di interessi (connessi alla caccia e alla tutela dell'ambiente) incentrata sul territorio locale, nella ripartizione per province, ove la dimensione territoriale implica più ampie e meno specifiche esigenze di decentramento amministrativo".
Nel suo ricorso alla Consulta il Governo ritiene "lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema l'attribuzione agli ambiti di caccia di una dimensione provinciale" in contrasto con la norma della legge 157/92 per cui le Regioni "ripartiscono il territorio destinato alla caccia in ambiti territoriali di dimensioni sub-provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali". Nelle considerazioni di fatto la Consulta riporta anche di aver indicato "uno standard minimo di tutela della fauna, cui le Regioni non possono derogare. Sarebbe infatti in gioco la necessità di suddividere il territorio aperto alla caccia in ambiti omogenei, al fine di valorizzare il ruolo delle comunità ivi insediate e di costituire aree dai confini naturali, anziché soltanto amministrativi" (LAC Liguria, 3 giugno 2016).
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