“Pier Paolo Pasolini – Una disperata vitalità”
Ideazione e regia Paola Chiama, Piergiorgio Cinì
Testi di P.P.Pasolini
Teatro delle Energie - Grottammare 10 aprile 2016 h21
“Le vicende un po’ indecenti / di questa tragedia che finisce ma non comincia…”: così parla l’Ombra di Sofocle nel prologo di “Affabulazione”, rovescio dell’Edipo sofocleo e metafora di un tempo che è disperatamente anche il nostro. Inizia da qui l’intenso percorso di una serata che dalla parola pasoliniana estrae con sapiente misura la carica profetica e l’inesausto vitalismo, il pathos tragico e l’accorato lirismo, la passione civile e il rigore analitico.
Nuda la scena; luce sobria, quel po’ che basta, e non per caso; gesti e movenze dei trenta attori (sfidano eroici la pessima acustica di un teatro “sbagliato”) trascolorano dal dolente al tragico, dal frivolo al grottesco, dall’apocalittico al satirico: coreografica fisicità che dà volti e corpi alla voce di un poeta “testimone diverso”, ingombrante presenza “nel corpo inerte della società italiana” (A.Moravia).
Il moto austero delle figure, l’ordinata cadenza delle entrate/uscite, alcuni “quadri” statici, tutto assume plasticità caravaggesche nella avara luce della scena.
Il buio totale scandisce i passaggi da un “movimento” al successivo in questa sinfonia per coro e voci soliste. Queste ultime mai al centro della scena ma sempre al lato di essa, un raggio di luce dallo zenit a illuminarle appena.
La coralità ora si frantuma in dissonanze graffianti che urlano la ribellione, ora si scolpisce in michelangiolesche Pietà nell’abbraccio che stringe la madre al figlio spezzato (… Mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più), a tutti i figli spezzati che nella Resistenza cercarono la luce, finchè “Venne il giorno della morte / e della libertà, il mondo martoriato / si riconobbe nuovo nella luce…”; ora si addensa nel dolente “tutti” della Crocifissione nel cui Cristo esposto e umiliato palpita l’attualità del sottoproletariato offeso, identico nel sacrificio e nella crocifissione alla marea migrante del bruciante profetico Alì dagli occhi azzurri, “Migliaia di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri”.
Eccellenti musiche, selezionate con sensibilità, sottolineano il pathos o ne attenuano l’asprezza; musica colta ma anche una indimenticata Gabriella Ferri, ma anche il misurato cinematografico Modugno del canto struggente – pasoliniano nel testo – che guida in discarica le disarticolate marionette (Totò – Davoli) con la loro domanda irrisolta (“Che cosa sono le nuvole”) e lo sguardo a un cielo che ha in sé tutta la “straziante, meravigliosa bellezza del creato”.
“Ci sono epoche nel mondo / in cui i padri degenerano”: è saggia l’Ombra di Sofocle; e Pasolini ha sempre avuto ragione. Perfino quando sulla Lunga strada di sabbia che gli fa attraversare l’Italia incontra e annota il vuoto nulla di una San Benedetto di chalet e turismo e il soffocante orrore della provincia.
“A rileggere oggi queste pagine si resta folgorati come da una profezia” (Corrado Stajano)
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