mercoledì 9 settembre 2015

Migrazioni di massa... l'inevitabile effetto di una causa



Il dramma quotidiano dei migranti è la testimonianza (se mai ce ne fosse bisogno, anche grazie alla globalizzazione telematica) che tutto è inevitabilmente connesso, al punto che disinteressarsi delle condizioni di una parte del Tutto significa votarsi agli effetti prodotti da una ferita che mette in pericolo l’intero organismo.. Può sembrare semplicistico parlare del grande dramma delle migrazioni in termini di coscienza, ma ciò che succede di negativo nel mondo è conseguenza dell’indifferenza umana verso chi soffre  e la nostra visione delle cose ci porta alle cause che determinano le tensioni sociali che sempre risiedono nella coscienza umana malata, priva o scarsa di solidarietà e compassione verso le popolazioni bisognose.

L’umanità è identificabile ad una grande massa in una sala gremita in cui pochi componenti, più forti e furbi, hanno occupato l’unico lato dotato di finestre; in tale contesto è consequenziale che il resto della comitiva (spesso in lotta per tensioni interne) cerchi di spostarsi verso zone che consentono la sopravvivenza. La soluzione di porre barriere di separazione o impedire con la forza alla massa di avvicinarsi nelle aree più fortunate è una bomba destinta ad esplodere con l’inevitabile aumento del numero dei disagiati.

L’unica soluzione possibile è quella di aiutare la massa ad aprire finestre nei lati oscuri dell’ambiente e soprattutto cercare soluzione ai conflitti interni. E di questo progetto possono farsi carico solo i governi e grandi capitalisti che dovrebbero intuire che i loro stessi interessi sono in pericolo e che l’unica soluzione è quella di investire nelle zone più indigenti del pianeta in modo che le popolazioni più povere possano trovare sostentamento e dignità di vita senza la necessità di fuggire dalla miseria, persecuzioni, dittature, guerre, verso paesi in cui c’è lo spiraglio di un’esistenza migliore. Ma i grandi dell’economia mondiale, come le multinazionali della chimico farmaceutica, petrolifera, agroalimentare ecc. (alcune delle quali con un fatturato annuo di 30 miliardi di dollari), non interessa improntare progetti a scopo umanitario, perché manca nella loro visione delle cose la componente umanitaria, e questo probabilmente sarà la loro stessa rovina.

Un ruolo determinante potrebbe venire dalla Chiesa cattolica se tornasse alla sua antica missione caritativa. Ritengo incomprensibile l’incalcolabile ricchezza dello Stato Vaticano, gli immensi possedimenti del clero che consente ai vescovi di vivere come principi, mentre Gesù ed i primi Padri della Chiesa condannavano la ricchezza come impedimento alla realizzazione spirituale. Anche se è innegabile l’impegno della Chiesa a favore dei poveri, quando per mezzo dei missionari lotta contro la povertà e le malattie delle popolazioni indigenti. Ma scavare un pozzo o aprire un’infermeria sono solo palliativi che non scalfiscono il dramma della povertà e dell’emarginazione. Unitamente ai grandi della terra la Chiesa dovrebbe impegnarsi a risolvere il problema alle sue radici magari: la realizzazione di grandi infrastrutture nei paesi, magari non cristiani, in cambio della costruzione di alcune chiese: ma questa è solo l’idea di uno come me digiuno di politica economica.


Franco Libero Manco






Un libro prodotto negli anni 60 da Karlheinz Deschner dal titolo“Il Gallo cantò ancora” Massari Editore, riporta questi dati: 
 “La Chiesa cattolica riceve  annualmente circa 200 milioni di dollari tra obolo di san Pietro ed altri contributi. Solo dai sussidi dello Stato italiano incassa oggi 14 miliardi di lire l’anno. In Italia il  Vaticano dispone approssimativamente di mezzo milione di ettari di terra e per di più nei  territori più fertili. I possedimenti terrieri dell’alto clero in Spagna e Portogallo si aggirano sul milione di ettari, e così in Argentina. In questi paesi quasi il 20% delle terre appartiene alla gerarchia cattolica. Capitali vaticani vengono investiti nelle imprese più disparate: nelle società petrolifere francesi, nelle aziende del gas e dell’elettricità argentine, nelle miniere boliviane di zinco, nelle fabbriche brasiliane di caucciù, nelle acciaierie nordamericane, nelle grandi fabbriche italiane, tedesche, svizzere e persino nella speculazione in borsa e nei dividendi dei casinò, nelle compagnie telefoniche, delle ferroviarie, dell’Alitalia, della Fiat. Inoltre dipendono in parte o del tutto dall’alto clero una lunga serie di società assicuratrici ed edili. Il Vaticano e i gesuiti posseggono molte azioni della General Motors Corporation…La proprietà complessiva del Vaticano in azioni e in partecipazioni di capitali nel 1958 fu stimata all’incirca intorno ai 50 miliardi di marchi”.



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