domenica 15 febbraio 2015

TTIP - Tutto quel che c'è da sapere, prima di scavarsi la fossa...


Joseph Stiglitz fu tassativo nell’affermare che “… il grande obbiettivo del TTIP è la declassificazione della funzione sociale del lavoro. Con il TTIP, in Europa la maggior parte degli stipendi saranno abbassatiper equipararli a quelli degli USA che, come tutti sanno, sono più bassi di quelli europei. Quindi gli unici a essere avvantaggiati saranno le filiali europee delle multinazionali statunitensi che potranno, finalmente pagare i loro operai europei secondo i parametri vigenti negli USA. Poi se qualcuno cercherà di opporsi, non potrà ricorrere al tradizionale tribunale nazionale, dove il giudice usa i codici penali e civili nazionali. No! Con il TTIP il ricorso dovrà essere fatto attraverso una corte arbitrale statunitense, che è un tribunale di natura privata, dominato dagli staff di avvocati delle multinazionali, molti dei quali esercitano anche la funzione di giudici!”
Le principali vittime del TTIP: Agricoltura, Acqua, Servizi Pubblici, Ambiente e Lavoro

Il 9 ottobre del 2014, il direttore della direzione generale del commercio della Commissione Europea, il belga Karel De Gucht, – oggi sostituito dalla svedese Cecilia Mallstrom – rendeva pubblico un documento di diciotto pagine, in cui erano riassunti, in modo abbastanza succinto, i termini dell’accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. Accordo identificato con la sigla TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti).

Il testo integrale delle questioni dibattute dalle commissioni presiedute dai due negoziatori, lo spagnolo Ignacio Garcia Bercero per l’UE e Dan Mulley per gli USA, resta, tuttora, un misterioso segreto di stato, di cui soltanto otto funzionari della Commissione Europea ne conoscono i contenuti. Anche i deputati del Parlamento Europeo, che nel mese di giugno dovrebbero ratificare il testo dell’accordo, sono rimasti all’oscuro di questi negoziati.

Purtroppo si conoscono solo alcuni capitoli concernenti il commercio dei servizi pubblici e a quello elettronico (e-commerce), che sono stati pubblicati l’anno passato dal settimanale tedesco Zeit. Da parte sua l’Huffington Post recuperava altri tre capitoli sull’energia mentre l’organizzazione statunitense Center for International Environmental Law riusciva a recuperare alcuni stralci sulla normalizzazione tariffaria del settore chimico.

Ufficialmente il TTIP nacque nel giugno del 2013, quando il presidente Barak Obama e l’allora presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, dettero inizio al primo round dei negoziati, terminando una complessa fase di preparazione che si è protratta durante dodici anni. In questo lungo periodo fu registrato il fallimento del MAI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti), il congelamento degli accordi promossi nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), il trattato di libero scambio NAFTA, tra USA, Canada e Messico e i fallimentari negoziati per l’ALCA (USA e paesi del Sudamerica).

L’esperienza accumulata nella definizione di questi accordi è stata usata dagli USA e dall’UE per definire il TTIP ed anche il CETA (Accordo bilaterale UE-Canada), il TISA (Accordo generale sui servizi pubblici), il trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e i paesi del Magreb e per ultimo il TPIP, l’accordo di libero scambio transpacifico tra gli USA e i paesi asiatici, esclusi la Cina, la Corea del Nord, il Vietnam e l’India.

Tutti questi accordi hanno in comune la logica geopolitica della globalizzazione del capitalismo, rivelandosi, quindi, un poderoso strumento al servizio della strategia globale degli Stati Uniti e, nello stesso tempo necessari per mettere in piedi un sistema di controllo economico di ambito mondiale da parte delle multinazionali e dei conglomerati finanziari.

Oggi gli Stati Uniti pretendono riaffermare la loro leadership imperiale nell’ambito del nuovo contesto internazionale, perché gli effetti e le conseguenze della dinamica dei differenti processi di globalizzazione (economica, commerciale, mediatica e culturale) hanno prodotto importanti cambiamenti nel mondo. Primo fra tutti l’affermazione di un’alternativa geopolitica, rappresentata dai paesi emergenti, oggi conosciuti con la sigla BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Infatti, la diretta conseguenza della liberalizzazione dei mercati ha provocato, anche, la rapida decadenza della “Trilaterale” (USA, Giappone e Unione Europea) che, dal 1997, cioè subito dopo l’imposizione dell’accordo multilaterale sugli investimenti (MAI), non riuscì più ad affermare la sua centralità, nonostante gli USA fossero riusciti a disintegrare l’URSS e ad asserragliarsi militarmente nel Medio Oriente.

Per riacquistare una centralità geopolitica e geostrategica le “eccellenze” della Casa Bianca, oltre a rispolverare le vecchie teorie degli anni cinquanta, messe a punto durante l’esecuzione del Piano Marshall in Europa, hanno dato molta attenzione agli studi del CATO Institute e del Consiglio Atlantico, che hanno analizzato le conseguenze geopolitiche di una globalizzazione sempre più profonda e dinamica e l’affermazione della liberalizzazione dei mercati. Inoltre questi studi preparavano una “road map” identificando gli elementi che la Casa Bianca avrebbe dovuto costruire per riaffermare la leadership economica mondiale degli Stati Uniti. In pratica, si suggeriva alle eccellenze della Casa Bianca di usare l’autorità politica e il potere militare per cominciare a ridefinire gli standards della produzione mondiale, stabilendo discipline capaci di ordinare i mercati, oltre ad imporre il superamento del concetto del lavoro salariato. Uno scenario in cui gli USA si sono mossi perfettamente, cercando di fissare le nuove regole per la circolazione delle merci e dei capitali, per poi stabilire i processi normativi dei differenti settori commerciali, con l’obiettivo di garantire alle multinazionali e ai conglomerati finanziari di Wall Street un maggior profitto capitalista e un’elevata capacità di penetrazione in tutti i settori dell’economia mondiale.

Elementi, che diverranno affermativi in senso geopolitico e geostrategico quando gli USA, dopo la deludente esperienza del MAI, nel 1997, cominciarono a usare l’arma dei trattati bilaterali per il commercio e gli investimenti, con l’obiettivo di ridefinire la loro sfera d’influenza geostrategica ed espandere il potenziale economico, tecnologico e culturale delle multinazionali sui mercati mondiali, grazie anche al potere dell’industria militare, dei media e dei conglomerati finanziari di Wall Street.

Il trattato di libero scambio tra USA, Canada e Messico ”NAFTA” (North American Free Trade Agreement) ratificato nel 1994 da Bill Clinton, fu la prima esperienza in cui le eccellenze della Casa Bianca, si cimentarono per “armonizzare le normative del commercio bilaterale con il Messico e il Canada e, di conseguenza, dare una maggiore dinamica all’economia dei tre paesi”. In realtà, fu un brillante tentativo a scapito del Messico, in cui il potenziale delle multinazionali statunitensi e canadesi riuscì a sviluppare forme di monopolio in quella parte del continente americano, che si rivelarono i primi strumenti metodologici per rimettere in discussione la sovranità dello stato, il concetto di nazione, l’essenza dei diritti dei cittadini e, soprattutto, la funzione del lavoro e dei sindacati.

In seguito George W. Bush cercò di vassallizzare il Sudamerica e l’America Centrale con il trattato per la Zona di Libero Scambio delle Americhe “FTAA” (Free Trade Area of the America, ALCA in spagnolo), che però, nel 2005, venne meno alle sue aspettative, grazie alla posizione critica dei paesi legati al Mercosul e all’intransigenza del Brasile. Un trattato che poi fu definitivamente sotterrato nel 2008, quando negli USA scoppiò l’insolvibilità dei titoli immobiliari (bond) provocando una crisi finanziaria mondiale, che mise a nudo le contraddizioni del capitalismo statunitense, oltre a provocare autentici disastri in Europa, in Asia e nel resto del mondo.
Nel 2009, dopo i massicci interventi della FED, l’economia degli USA ripartì preferendo le relazioni politiche ed economiche con i paesi dell’Unione Europea che nel 2010 esportarono 220 miliardi di dollari, rappresentati da 720 milioni di prodotti con un valore che, complessivamente, rappresenta il 40% del PIL mondiale. La manutenzione di questo trend commerciale e la conclusione dei lavori della Commissione Prodi – favorevole, invece, ai trattati multilaterali con altri paesi del mondo -, mise in moto l’idea di un trattato bilaterale tra l’Europa e gli USA.

Quindi, nel 2010 gli USA rilanciano la proposta di un trattato di libero scambio che la Commissione Europea accettò a occhi chiusi, pur sapendo che i negoziati non si sarebbero limitati alla definizione dei prodotti e all’abbassamento dei dazi doganali, già molto bassi e che, in media, toccavano il 3%, ad eccezione di alcuni prodotti tessili e articoli della componentistica automobilistica che arrivavano fino all’8%.

Oggi, invece si sa che il trattato TTIP pretende “armonizzare le normative abbattendo le barriere non tariffarie” che impediscono alle multinazionali e alle grandi imprese esportatrici degli Stati Uniti di poter invadere i mercati europei. In pratica il TTIP è una specie di grimaldello con cui la Chevron e le altre multinazionali dell’energia, la Monsanto e la Cargill insieme agli altri colossi industriali dell’agro-bussiness, della farmacologia, della chimica, dell’elettricità, dei trasporti e i conglomerati finanziari degli Stati Uniti, cercheranno di scardinare gli elementi normativi che fino ad oggi hanno frenato le esportazioni statunitensi nei paesi dell’Unione Europea perché non presentavano le necessarie garanzie che invece i prodotti europei hanno.

È necessario ricordare che il comportamento di Karel De Gucht, direttore della direzione generale del commercio della Commissione Europea, fu determinante per imporre una svolta ai negoziati del TTIP. Infatti, De Gucht provocò una frenetica passione per il TTIP dichiarando alla stampa che: “…uno studio richiesto dalle industrie statunitensi sul TTIP mette in evidenza la crescita annuale del PIL dell’Unione Europea dell’1%, oltre a registrare la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dichiarazioni a effetto che permisero al Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, di “secretare” i negoziati per evitare le critiche, poiché uno studio economico richiesto dalla Commissione Europea, sottolineava che “… L’impatto del TTIP sul PIL dei paesi dell’Unione Europea si sarebbe limitato a un tasso di crescita dello 0,1% su un arco di dieci anni… “. Un valore che gli economisti definirono “insignificante”.

Ma le critiche più importanti che si fanno al TTIP sono soprattutto di carattere politico oltre che economico, giacché con la cosiddetta “armonizzazione delle normative” in realtà le multinazionali statunitensi, finalmente riusciranno a eludere il “principio di precauzione” che l’Unione Europea adottò nel 1992, dopo il Summit dell’ONU a Rio de Janeiro. Un principio che si basa “… Sulla logica della precedenza in assoluto dei diritti delle persone fisiche sui diritti delle persone giuridiche”. Per questo motivo nei paesi dell’Unione Europea un prodotto non può essere posto in vendita se non ha sostenuto una serie di test obbligatori, con i quali le agenzie di controllo hanno la certezza che il suddetto non farà male ai consumatori. Un principio che non esiste negli USA, dove le agenzie di controllo, in base alla logica del liberalismo economico, permettono l’immediata commercializzazione dei prodotti che sarà interrotta soltanto quando migliaia di consumatori denunciano di essere stati danneggiati con avvelenamenti o altri drammi di natura fisica. Inoltre il consumatore statunitense dovrà assumersi tutti i costi giudiziari per denunciare l’industria e chiedere un risarcimento.

Per questo motivo, le multinazionali farmacologiche degli USA, nel maggio del 2013, imposero all’allora capo negoziatore degli USA, Michael Froman, di presentare sul tavolo dei negoziati di Bruxelles due importanti questioni “a) il ritiro del principio di precauzione perché aumenterebbe i costi di produzione, oltre a ritardare il lancio dei nuovi prodotti sul mercato; b) il riconoscimento dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale, per evitare la produzione dei farmaci generici. Secondo “Big Farma” queste due questioni sarebbero “… Una barriera non tariffaria che impedisce di esercitare il proprio diritto al profitto…”.

In proposito il premio Nobel per l’economia del 2001, Joseph Stiglitz, nell’agosto del 2014, in una conferenza realizzata nel National Gallery of Scotland, di Edimburgo dichiarava: “… In sostanza il TTIP comporterà la riduzione delle garanzie e una mancanza di tutela dei diritti dei consumatori. Da parte loro, i sostenitori del TTIP dicono che l’accordo favorirà la crescita economica nei paesi dell’Unione Europea. Una crescita che però uno studio della Tufts University del Massachusetts mette in discussione, ricordando che il TTIP presenta altri effetti negativi, tra cui la disarticolazione del mercato interno europeo, la depressione della domanda interna e, quindi, la conseguente diminuzione del PIL nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. Lo studio della Tufts University è importante perché focalizza il futuro dell’agricoltura europea, normalmente realizzata con piccole proprietà che non potranno resistere alla sleale concorrenza dei prodotti OGM e tanto meno impedire che le multinazionali statunitensi dell’agro-bussiness, con l’acuirsi della crisi nel settore agricolo, comprino a ‘prezzi da banana’ i terreni dei piccoli proprietari per farne delle piantagioni OGM. E poi che dire delle differenze qualitative nell’allevamento dei bovini che negli USA sono ingrassati con prodotti a base di ormoni e fitormoni, in quanto che i polli sono sottoposti a bagni di cloro?”

In seguito, Joseph Stiglitz fu tassativo nell’affermare che “… il grande obbiettivo del TTIP è la declassificazione della funzione sociale del lavoro. 


Dal 1996, le “eccellenze” del liberalismo statunitense e britannico cercarono di far approvare un Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (AGCS) nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per annullare la logica del “Welfare State”. Un’operazione che non andò in porto perché all’interno del WTO prevalse l’idea che “i servizi pubblici non forniscono prodotti commerciali ma, bensì corrispondono i diritti universali dei cittadini con il funzionamento di aziende pubbliche per la sanità, i trasporti, le telecomunicazioni, l’energia, l’istruzione e la cultura…”. Tutto ciò, secondo i “guru” del liberalismo, avrebbe rafforzato enormemente i sindacati creando nei paesi europei un clima contrario al profitto e avverso alle imprese private.

Il perdurare della crisi finanziaria ed economica che affligge i paesi europei e l’imposizione delle drastiche misure di austerità ha permesso alle “eccellenze” della Casa Bianca di proporre alla Commissione Europea un trattato di nuovo tipo che risanerebbe l’economia europea, annullando il fiscal compact e le misure di austerità. In pratica le eccellenze del liberalismo statunitense affermano che con l’implementazione del TTIP (accordo tra USA e Unione Europea), del TIPP (accordo tra USA e paesi asiatici del Pacifico) e il TISA (accordo sulla globalizzazione dei servizi pubblici non commerciabili) l’economia capitalista entrerà in una fase superiore.

Nella riunione del nuovo G7 (senza la Russia e la Cina) Barak Obama ha imposto che il Parlamento Europeo ratifichi il TTIP senza tergiversare, poiché con questo accordo gli Stati Uniti potranno essere la base di un colosso economico, tecnologico e finanziario capace di respingere l’avanzata dei BRICS. La Cina, per esempio, nel 2014 ha registrato il record commerciale mondiale con un attivo di 4.160 miliardi di dollari, di cui più della meta, 2.210 miliardi, rappresentati dalle esportazioni. Di conseguenza, nel 2014, gli USA sono scesi al secondo posto con un attivo di 3.560 miliardi di dollari, di cui 368,4 d’importazioni provenienti dalla Cina. È per questo motivo che la Casa Bianca sta usando 600 consiglieri nei negoziati con l’Unione Europea di modo che il TTIP adotti integralmente la versione statunitense con la quale si registreranno profondi cambiamenti nell’economia europea e soprattutto in quella dei paesi del sud, cioè Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Grecia, Bulgaria e Romania, seguiti da profonde modificazioni nelle relazioni tra cittadini e istituzioni e nel concetto di sovranità nazionale degli stati.

Uno scenario che dovrebbe preoccupare i popoli dell’Unione Europea che sono mantenuti all’oscuro di tutto grazie all’accettazione servile dei negoziati segreti da parte dei tecnocrati della Commissione Europea; alla complicità dei primi ministri e rispettivi presidenti dei ventotto paesi dell’Unione Europea; e alla “censura intelligente” realizzata dai direttori di 98% dei quotidiani, delle riviste e delle radio e di tutte le televisioni.

Per questi motivi è iniziata la campagna STOP TTIP con l’obbiettivo di spiegare alle popolazioni quello che sta succedendo a Bruxelles e quindi denunciare cosa succederà in Europa con il TTIP.

1) Agricoltura, Allevamenti e Sovranità alimentare — Questi settori saranno stravolti con l’arrivo dei prodotti OGM (geneticamente modificati) che negli Stai Uniti sono venduti a prezzi stracciati soprattutto all’industria alimentare, che inonderà i supermercati europei con i suoi prodotti. Infatti, riducendo le informazioni sulle etichette, i consumatori non sapranno più distinguere i prodotti naturali dagli OGM. Cioè nessuno riuscirà a capire se la carne bovina o suina proviene da un animale che è stato ingrassato con ormoni, o con fitormoni. Se i polli sono cresciuti con alimenti a base di antibiotici e se le sue carni sono state conservate con il lavaggio chimico del cloro. L’esperienza messicana del NAFTA, insegna che le multinazionali dell’agro-bussiness statunitense dispongono di una perfetta struttura finanziaria e pubblicitaria preparata per invadere le campagne vendendo i semi OGM, i nuovi fertilizzanti e i pesticidi (senza alcuna garanzia sulla potenzialità delle componenti velenose) a prezzi bassissimi nei primi tre anni di produzione. Di conseguenza i piccoli e medi proprietari agricoli europei che rifiutassero associarsi al carrozzone pubblicitario dell’agro-bussiness saranno costretti a vendere le loro terre a causa della concorrenza sleale dei prodotti OGM. Nello stesso tempo altri contadini saranno conquistati dalle campagne di pubblicità delle imprese di bio-combustibili e passeranno a coltivare super-prodotti OGM destinati alla produzione dei bio-carburanti. Cosi facendo la sovranità alimentare e cioè il diritto a un cibo di qualità e il diritto alla difesa di un ambiente sano saranno praticamente stravolti.

2) Acqua — Tutti i governi che in Italia si sono succeduti dopo il referendum dell’acqua, nel 2011, hanno fatto finta di essersi dimenticati che la sovranità popolare ha deciso che l’acqua non è privatizzabile. Per aggirare questo ostacolo, il governo Berlusconi inventò la semplificazione amministrativa delle imprese municipali dell’acqua. Poi il governo di Matteo Renzi ha redatto un decreto legge in cui queste imprese hanno l’obbligo di costituirsi in SpA e quindi di associarsi tra di loro per meglio convivere nel mondo delle borse valori. In questo modo si è realizzata una privatizzazione ‘bianca”, giacché l’obbiettivo principale di queste imprese non è più il servizio universale della distribuzione dell’acqua potabile, bensì il profitto e la rendita delle stesse imprese, che per ottenerlo dovranno essere gestite come una qualsiasi azienda commerciale. Che è quello che sta facendo l’ACEA ATO2 a Roma e nel Lazio.
Da sottolineare che la quotazione in Borsa comporta il rischio degli attacchi speculativi con cui le azioni della parte maggioritaria (pubblica) potranno essere comprate o addirittura vendute per “sanare il bilancio”. Se poi qualche Comune o Regione si rifiuta di cedere l’impresa municipale all’investitore privato o se richiederà l’intervento delle autorità giudiziarie nazionali per contestare l’aumento dei prezzi per la distribuzione dell’acqua imposti dalla nuova azienda (filiale di una multinazionale degli USA), l’investitore statunitense si rivolgerà all’arbitrato internazionale Stato-Impresa, il cosiddetto ISDS, Investor State Dispute Settlement. L’ISDS realizzerà il processo negli USA per condannare il Comune, la Regione o addirittura lo Stato ratificando una condanna con una multa di vari i milioni di euro che dovranno essere pagati all’investitore per poter questi “avere perso il profitto previsto”.
Inoltre se per esempio il Parlamento italiano, prima dell’entrata in vigore del TTIP, approva una legge che stabilisce norme che regolano prezzi e obblighi di distribuzione idrica, una qualsiasi multinazionale degli USA o di altri paesi europei interessata alla gestione del servizio idrico in Italia, potrà processare lo stato italiano ricorrendo al cosiddetto ISDS e richiedere compensazioni di vari miliardi di Euro invocando il “mancato previsto profitto”. Così facendo, il mancato previsto profitto si trasforma in una specie di ricatto preventivo nei confronti delle istituzioni o delle agenzie di controllo che contestano le filiali delle multinazionali.

3) Servizi Pubblici — Senza voler considerare quello che sarà deciso con il nuovo trattato TISA sulla commercializzazione dei prodotti dei servizi pubblici non privatizzabili, il TTIP prevede l’annullamento del concetto di servizio pubblico universale. In questo  modo ogni servizio prestato da un’istituzione o impresa pubblica (scuola, salute, trasporti,elettricità, assistenza ecc) dovrà essere considerato “… un prodotto commercializzato tra un erogatore privato e un cliente”. Scompare, quindi il diritto universale per l’istruzione, la salute e tutti quei servizi garantiti dal “Welfare State”.
Con il TTIP sarà rivoluzionato il sistema dei ticket sanitari e scompariranno i medici di famiglia. Infatti i primi saranno allargati a tutte le prestazioni sanitarie escluse quelle di pronto soccorso grave, però chi non possiede un’assicurazione sarà direzionato negli ospedali pubblici per i “non assicurati”, vale a dire per i più poveri, con evidenti differenze nella qualità delle prestazioni sanitarie. Nelle scuole i genitori dovranno ricorrere al “voucher istituzionale” per iscrivere il figlio in una scuola pubblica, che, però è organizzata come una scuola privata. É chiaro che le università e le scuole superiori saranno trasformate in “aziende” con un bilancio che non potrà eccedere in nessun caso.
Comunque il peggio sarà per i trasporti pubblici e l’elettricità, dove le grandi imprese pubbliche saranno prese d’assalto dagli investitori statunitensi ed europei, obbligando lo stato ad accollarsi l’onere delle linee di trasporto che non offrono profitto. Per esempio i treni pendolari, le linee di autobus nel territorio suburbano. Inoltre, la liberalizzazione dei servizi pubblici riguarda anche gli appalti pubblici, dove sarà proibito offrire “un trattamento più favorevole” alle imprese e alla mano di opera locale…”. Insomma le aziende europee potranno partecipare alle gare d’appalto statunitensi e viceversa che potranno “importare” lavoratori, senza aver l’obbligo di ricorrere alla mano d’opera locale.
Ambiente — Il conflitto geostrategico che oppone gli USA alla Russia ha spinto il presidente Obama a proporre ai capi di governo dei principali paesi europei di sostituire le forniture di gas russo con lo shale-gas estratto negli USA. Il problema è che per ottenere il gas e il petrolio di scisto le imprese usano la tecnica estrattiva del fracking che è un vero disastro per l’ambiente.

In pratica con il TTIP il governo degli USA potrà legittimare il fracking e quindi incentivare tutte le forme di distruzione dell’ambiente naturale per ottenere profitto con l’estrazione di minerali, o con il taglio indiscriminato di foreste o il ritiro massivo di sabbie e sassi dai letti dei fiumi. Ugualmente con il TTIP potranno venire meno tutte quelle norme che limitano l’uso eccessivo delle discariche e che esigono una funzionalità specifica per il trattamento dei residui organici, tossici e riciclabili.
Lavoro e Sindacati — Come è stato detto, il lavoro è il capitolo che meno spazio occupa nei negoziati perché anche in Europa la logica liberista ha voluto annullare l’ importanza sociale e politica del lavoro, per poi svilirlo al semplice conteggio dei costi occupazionali. Il Jobs Act di Matteo Renzi è una proposta che si inserisce perfettamente nella logica del TTIP, minimizzando i diritti fondamentali dei lavoratori. Quasi tutti i grandi economisti non compromessi con le multinazionali hanno previsto l’abbassamento dei salari, giacché a causa della cosiddetta libertà di circolazione, le imprese di un paese potranno applicare in un altro paese i salari vigenti nel proprio. Ciò significa che le imprese statunitensi, che si stabiliranno in Europa, potranno beneficiarsi di abbassare i salari fino ai valori esistenti negli USA.

Con il TTIP la definizione dei diritti sindacali europei sarà sempre più indefinita, saranno cancellati se contrari alle norme sul libero scambio e la libera circolazione. Cioè se differenti dalle norme adottate negli USA dove, come tutti sappiamo il sindacalismo è uno dei peggiori al mondo. Inoltre, se per esempio il sindacato dei lavoratori di una industria vuole contestare la cancellazione di alcuni diritti sindacali, non potrà farlo querelando l’industria presso il locale giudice del lavoro. Dovrà, invece, armarsi di molta pazienza e dollari per aprire un processo negli USA rivolgendosi a una corte arbitrale statunitense. Processi che saranno sempre vinti dalle imprese statunitensi visto che gli Stai Uniti hanno ratificato solo due delle otto norme fondamentali fissate dall’ONU attraverso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).

Oltre a questi capitoli specifici, il TTIP stralcia la maggior parte delle “norme non tariffarie” che regolano il commercio dei prodotti energetici, chimici, farmaceutici, disgregando, anche, gli interventi legislativi che regolano l’implementazione dei progetti d’investimento nei suddetti settori. Non possiamo dimenticare che le multinazionali statunitensi vogliono riprodurre nel TTIP le norme suggerite dall’ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), con cui si voleva imporre un trattato internazionale sulla proprietà intellettuale, che però le mobilitazioni europee in difesa della libertà d’espressione online costrinsero i governi a sospendere quei negoziati.

D’altra parte la sicurezza dei dati personali è fondamentale per il libero funzionamento delle reti telefoniche e dei grandi server. Il rischio che si corre con il TTIP è che la violazione della privacy rischia di essere legalizzata per commercializzare i dati personali di potenziali consumatori. 
Cosa che alcuni hacker già fanno negli Stati Uniti. Infatti, il recente scandalo “Datagate”, che scoppiò l’anno passato negli Stati Uniti, ha dimostrato che quando le regole sono bassissime le intercettazioni telefoniche e la violazione dei grandi server come Google, Yahoo, Facebook, Apple e Youtube, possono essere realizzati con estrema facilita da chiunque e non solo dai funzionari del FBI o della CIA.

Per concludere, risulta evidente che le “regole del libero mercato americano” che Barak Obama vuole imporre ai paesi dell’Unione Europea con il trattato di Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP), in realtà è solo una truffa metodologica, più o meno intelligente. Oggi, le eccellenze del capitalismo mondiale pretendono obbligarci a convivere con l’abbassamento degli standards di qualità; con maggiori rischi per la salute e per l’ambiente. Vogliono, in pratica annullare i diritti sul lavoro e sottometterci con il falso sogno di un mercato che risolve tutti i problemi e che si sostituisce anche alla democrazia.

Quindi non siamo estremisti quando diciamo che il TTIP, è, soprattutto, l’ennesimo tentativo degli Stati Uniti di imporre la centralità di un imperialismo arrogante e assolutista che bisogna combattere, con buona pace per le visionarie ‘moltitudini’ di Toni Negri.

Comitato contro il TTIP – Ladispoli



Fonte: ALBAINFORMAZIONE

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