giovedì 15 settembre 2011

Teodoro Margarita: "Il persic de Nobil e altre storie bioregionali della Brianza"

Questa del persic de Nobil è una storia emblematica, un esempio di come la salvaguardia della biodiversità locale non possa e non debba essere coniugata senza un vasto concorso di amicizie, di sodalizi organizzati e radicati sul territorio, di individiu generosi e sensibili, di enti locali premurosi e riguardosi verso il bene pubblico. E' anche una storia di profumi, di sapori, c'è dentro poesia e pure incuria, e allora narriamola, questa storia del pesco di Nobile.

Con orgoglio misto a nostalgia, con rimpianto ed anche rinnovata fede, il signor Eliseo Sangiorgio, coltivatore e vivaista in quel di Monguzzo, dove il nostro pesco era in auge fino agli anni '50, ci ha raccontato di come i contadini del suo paese, nel Comasco, in particolare quelli della frazione di Nobile andavano fieri del loro eccezionale "persic de Nobil", una varietà locale, originata da seme, magnificamente profumata e ne facessero commercio con buon profitto in tutte le località vicine.

Era un pesco che si annunciava da lontano, la madre dell'architetto Antonio Corti, dal suo letto, avendone richiesto al figlio qualche frutto, gli disse di averne avvertito l'odore, e non abitava al primo piano. Ho sentito parlare già da molti anni di questo profumo, di questa fragranza, qui, in Vallassina, nella zona dove abito, in tanti me l'hanno decantata: non lo sapevo, ma, due anni orsono, proprio nel terreno che ho acquistato, a Cranno, frazione di Asso, ve n'era un esemplare.

Questo agosto, nonostante una tremenda grandinata e tempesta di vento, il 13 luglio, molte di queste pesche son sopravvissute: vi assicuro che la leggenda del profumo di questo persic è assolutamente veritiera. Non solo buono e profumato, resistente alle intemperie, coriaceo di fronte ad ogni attacco fungino, ci ricorda il sig. Sangiorgio che questi peschi, come in tutta la Brianza, una volta vero "verziere" di Milano, venivano originati solamente da seme, senza alcun innesto, forti, longevi, produttivi.

Già conosciuti sin dalla fine del Settecento, coltivati intercalati a granturco, grano, a gelsi, erano la fonte di reddito principale nel contado brianzolo. V'erano tante varietà locali, ciascuna col suo nome dialettale, v'erano le pesche "pelusitt" , così chiamate perchè piccole e verdi a maturazione, dotate di peluria, ancora più piccoline v'erano le "nusitt", ovvero noccioline, le "morelon" di colore violaceo. Quando nevicava occorreva uscir fuori e scuoter via la neve, pena la rottura dei rami.

Il sig. Sangiorgio rammenta che queste buone pesche si conservavano in cassette di legno ricoperte di felci alte. Come mai, allora, data la larga diffusione di questa varietà, la sua rinomanza, la sua preclara bontò, noi di Civiltà Contadina, insieme ad altri enti ed associazioni ci stiamo preoccupando? E' sempre il signor Sangiorgio che ci racconta di come, poco alla volta, per una serie di fattori, sia andato via via sparendo tutto.

Spariti i filari di gelso, come i peschi, questi si seminavano, dopo pochi anni erano già pronti per esser messi a dimora in terra e cominciare a produrre: i bachi da seta si alimentavano solamente delle loro foglie. Nella zona di Monguzzo attività industriali di tipo invasivo, leggi, è sempre Sangiorgio e con lui tanti vecchi contadini confermano, le ceneri di una cementeria locale causarono, depositandosi sulle foglie, come dappertutto, la morte di queste piante.

Oggi, con filtri e sistemi di depurazione nuovi, si può sperare di ripristinare, almeno in parte, qualche frutteto e recuperare le antiche e buone varietà.

Associazioni come la Cumpagnia di nost di Canzo, località vicina, la nostra, Civiltà Contadina, diversi privati volenterosi, lo stesso comune viciniore di Monguzzo, Merone, vogliono far rivivere se non tutto quel mondo, quel paesaggio vario, peculiare delle colline brianzole, almeno delle oasi presso scuole pubbliche, terreni privati, auguriamoci che tutti questi sforzi, tutto questo amore porti ad una concentrazione di energie. Un persic di Nobil c'è, piantato sulla tomba della madre di Antonio Corti a Canzo, molti amici della Cumpagnia di Nost, nella stessa località, ne hanno diversi esemplari, io ne ho uno nel terreno: dai noccioli potremo ridar vita a questo pesco, potremo , partendo dalle scuole dei comuni interessati, fare assaggiare ai bambini questi profumati e prelibati frutti, e saranno loro, lo speriamo vivamente, a continuare a interrare noccioli, unico modo per la propagazione del nostro persic de Nobil e di tutte le sue sorelle, le altre altrettanto buone varietà.

Certamente ho tralasciato altri nomi, voglio ricordare il sig. Pier Paredi di Canzo, Leopoldo Tommasi, insegnante presso l'Istituto agrario del parco di Monza, nonostante mi abbia "smarrito" una pianta di persic, anni addietro, mi ha pur confermato tante e vere cose sulla coltivazione degli alberi da frutto in Brianza, esattamente nelle modalità confermate dai contadini anziani che ho contattato.

Questa è una storia esemplare, la biodiversità locale non si salvaguarda se non tutti insieme e solo con la collaborazione di una pluralità di soggetti che si mette insieme una narrazione, una storia, "etnobotanica", il nome colto, che meriti essere tramandata, non sui libri, soltanto, ma negli orti e nei campi.

La nostra biodiversità, la nostra ricchezza, il nostro "germoplasma" non lo deleghiamo a multinazionali che lo ibernino in banche del seme come quella immensa alle isole Svalbard, noi, vogliamo i nostri alberi, la nostra frutta, la nostra verdura, qui, vicino a noi, vogliamo che i monelli delle scuole si arrampichino sugli alberi e ne rubino i frutti, vogliamo che massaie intelligenti inventino ricette nuove per marmellate e salse. Il nostro patrimonio genetico locale, tale, deve restare, locale, e pubblico, di tutti.

Teodoro Margarita

Asso, 15 settembre 2011

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