domenica 30 gennaio 2022

Misteri e piante della Candelora...

 


"Preparativi all'incontro della Candelora del 2 febbraio... In questi giorni trascorre la decade del  compleanno Larice (pianta) e  Delfino (costellazione) e celebriamo la luna calante. Per il superamento della svogliatezza: larch (fiore di Bach) è la cura x credere in se stesso, il Delfino parla già la lingua del mondo in creazione" (Sonia Baldoni).


Le piante sintetizzano la Luce. Uno dei prodotti sostanziati di questa Luce, che le api attingono dai fiori e che poi fanno fuoriuscire sotto forma di piccole scaglie dal loro minuscolo corpicino, è la cera. LA CERA NUTRE LA FIAMMA, una fiamma utilizzata nei riti sacri dai sacerdoti di ogni epoca. 
FEBRUARIUS=PURIFICARE - La linea sottile tra luce e buio si risolve nella CANDELORA, festa di luce e purificazione. In questo periodo si celebrano varie liturgie che prevedono l’accensione di candele benedette come simbolo e metafora della Luce che illumina l’oscurità.
Febbraio deriva dal dio etrusco FEBRUUS o dalla dea romana FEBRIS, e FEBRUM=febbre  è il FUOCO PURIFICATORE. Nei riti di purificazione infatti le candele vengono portate in processione notturna a segnare simbolicamente La Via. Nella liturgia cristiana, il 2 febbraio è il giorno in cui si celebra la presentazione della LUCE DEL MONDO al Tempio da parte di MARIA, simbolicamente 40 giorni dopo il parto=QUARANTENA=PURIFICAZIONE. 
L'antica festa di IMBOLC che nella lingua irlandese significa IN GREMBO, è la festa della luce. La tradizione vuole che una DIVINITÀ MATERNA, CUSTODE DI UN PRINCIPIO LUMINOSO (vedi: la Vergine Maria, Brigit, Santa Brigida, Giunone Lucina  ecc…), DOPO ESSERSI PURIFICATA manifestandosi nel massimo del suo fulgore, PRESENTI  tale  PRINCIPIO di LUCE AL MONDO.
Possa allora la Luce che è all'interno del nostro tempio interiore ESPRIMERSI, presentarsi anch'essa al mondo ... possa la nostra GOLA, attraverso il potere taumaturgico di SAN BIAGIO, essere liberata in tutto il suo potere creativo per annunciare  così la buona NOVELLA al mondo. Una lucina splende ora nel buio della notte affinché SIA La NOTTE A MOSTRARSI, A MOSTRARE CIÒ CHE IL GIORNO IGNORA.  Un abbraccio di luce a tutti. 

Luca Merolla



sabato 29 gennaio 2022

La stanza magica di Ferdinando Renzetti

 


...Questa stanza è il posto più bello dove abbia mai dormito. Dalla finestra di questa stanza si vedono il sole e la luna sorgere e le stelle brillare nello scorcio di cielo notturno. 

Dalla finestra di questa stanza si sentono le rane gracidare nel vicino torrente. In questa stanza ho ascoltato storie incredibili e racconti meravigliosi. In questa stanza, al mattino presto, si sentiva Carlo, in cucina, suonare la chitarra e cantare le canzoni di De André. 

In questa stanza sembrava di vivere in una favola, dalla finestra comparivano asini cani gatti galli galline uccelli. In questa stanza ho capito il vero valore della diversità. In questa stanza mi sono illuminato… In questa stanza sono diventato uomo. 

Al ramo che fuoriesce dall’albero dipinto sul muro, è appesa la mia giacca da metalmeccanico, la indosso ancora durante l’estate, anche se un po' sdrucita è ancora bella!

Ferdinando Renzetti



venerdì 28 gennaio 2022

Vignola piange la dipartita di "Agonia", l'ultimo figlio dei fiori del basso modenese...

 



Carissimi, ho appreso il 28 gennaio 2022 E' MORTO  AGONIA.

Scompare un protagonista della storia della cultura alternativa di Vignola degli anni '70 .

Fondatore insieme ad altri del Movimento Anarchici e Libertari di Vignola  del Centro di Documentazione Prometeo e del Lambicco

Fece dei suoi capelli lunghi un simbolo di libertà.

Con  il suo stile di vita mise a forte prova l'ottusità dei conformisti.

Attraversò le strade di Vignola con dinoccolata eleganza e sempre si interessò della vita di essa.

Lo troviamo, così, nelle prime battaglie ecologiste contro l'inquinamento di alcune fabbriche locali e fu molto attivo sul piano culturale

Collaborò con Marcello Baraghini e divenne diffusore, per l'Italia del Nord, di Stampa Alternativa, di Cannibale e di Frigidaire.

Mitico il suo Ford transit azzurro carico di stampa della cultura alternativa davanti agli ingressi dei raduni e dei concerti rock. 

Al Festival di Rubiera salì sul palco e invitò gli Hippie a Vignola per la raccolta delle ciliegie.

Così, per anni la città dei ciliegi in fiore visse un' alternativa primavera. 

Si deve a lui la venuta a Vignola dell Living Theatre sul finire degli anni settanta.

Valente bassista, suonò nel complesso "Le cinque lire" con Gaetano Curreri.

Antifascista, venne condannato nel 1980 ad oltre un anno per aver contestato a Modena un comizio del missino Tassi.

A volte dietro a sue  certe asperità c'era la sua inconfessata timidezza.  

Insieme abbiamo sognato e lottato, mi mancherai tanto amico.

On the road

Maurizio  Tonelli 




A tuo ricordo Ago riporto questa canzone dei Nomadi con le parole di Francesco Guccini 

Un figlio dei fiori non pensa al domani

Amico che cerchi il tuo paradiso

l'inferno lo vivi quando hai la paura

la benda che porti tu stesso hai voluto

la crei da solo pensando al tuo futuro.

L'inferno, la benda hanno nome domani,

il tuo paradiso forse hai nelle mani

ma tu non lo sai perché pensi al domani,

ma tu non lo sai perché pensi al domani.

Amico non chiedere qual è il tuo destino

un fiore avvizzisce se pensa all'autunno

i fiori che hai dentro non farli morire,

ma lascia che s'aprano ai raggi del sole.

Il sole avvizzisce se pensi al domani,

il tuo paradiso forse hai nelle mani.

Un figlio dei fiori non pensa al domani.

Un figlio dei fiori non pensa al domani


I Nomadi - https://www.youtube.com/watch?v=tTPJu0Zf-fk


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Commento di Maria Miani, detta La Bifolca: "Il suo nome anagrafico era Loris Solieri,  soprannominato Agonia, forse per il disagio provocato alla comunità bigotta di Vignola,  nell'abito degli alternativi  era conosciuto come  il capo degli hippy, un personaggio indimenticabile e scandaloso per la "gente perbene", essendo figlio di un sacrestano gettò con il suo comportamento originale la "vergogna" sulla chiesa. Ma a lui non importò nulla del parere dei benpensanti e fino all'ultimo non tradì la sua bandiera, che garriva sempre controcorrente..."



martedì 25 gennaio 2022

Cosa e chi sono le anime "indaco"?

 


Gli Indaco son venuti qui (nell'arco temporale: 1940/1970) con questo obiettivo: demolire il sistema.

Sta scritto nel loro bagaglio animico.
Gli Indaco sono portatori di codici di destrutturazione.
In parole povere, è loro compito ribellarsi all'autorità. 
All'ingiustizia.
Alla violenza.
Alla sottomissione.

Inoltre, sono tra le Anime più antiche. 
Le più toste.
E sono state preparate per essere qui ora.
La loro Frequenza Vibratoria è potente.
Basta la loro Presenza:
La loro energia... spacca in due la 3d.

Quindi  ora gli Indaco sono stati ATTIVATI PER FARE ESATTAMENTE CIÒ CHE DEVONO.

Marika



Mio commentino: "Fantasy spiritual-politica? Di "eletti" ne abbiamo avuti abbastanza. La mia opinione sul processo evolutivo  è espressa qui (P.D'A.):   https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/2014/09/05/successo-non-significa-riuscita-la-teoria-degli-pseudopodi-e-del-corpo-massa-nel-riciclaggio-della-memoria/





venerdì 21 gennaio 2022

Kristalina Georgieva istruisce i Sette Nani...



Kristalina Georgieva fa sedere i Sette Nani e inizia:

“Dovete sapere che le cose non vanno bene. Ricordate ciò che predisse la maga Christine Lagarde nell’ottobre 2019 quando insegnava lei? Le cose vanno male, dunque, i costi aumentano e la famosa ripresa economica non riprende. Anzi!

E, se i ricchi diventano sempre più ricchi, e questo va bene, a preoccupare sono i poveri, sempre loro, che diventando ancora più poveri, causeranno, proteste, tensioni e insicurezza!



Capito? Proteste, tensioni e insicurezza!  Chiaro?

Sapete allora cosa dovete fare” conclude Kristalina con piglio severo.

I Sette Nani fanno sì con le loro testone.

“Bene, allora tornate da dove siete venuti e provvedete.”


In Italia l’apposito Nano sta provvedendo. Così come gli altri.


Giorgio Stern




Commento di Olivier Turquet: "I leader di tutto il mondo devono immediatamente impegnarsi in una rinnovata cooperazione nei molti modi e luoghi disponibili per ridurre il rischio esistenziale. I cittadini del mondo possono e devono organizzarsi per esigere che i loro leader lo facciano – e rapidamente..."

martedì 11 gennaio 2022

Dove siamo arrivati...?

 


La linea è non destinare legittimità e dignità a chi non è allineato.


Ci provo, ma non ci riesco. Provo a costruire un sistema che produca l’idea contraria alla mia. È un po’ uno dei miei motivi frequenti al cospetto di ciò che è diverso o contrario al mio pensiero. Di solito ci riesco. Magari impiego un po’, ma poi arrivo a percorrere una linea che a mia volta mi permette di affermare quanto avevo sentito sostenere da altri.


Non è un appello ad essere empatici o di superficiale valore da sbandierare alla prima occasione, ma a riconoscere quanto siamo fautori proprio della storia che vorremmo migliorare. È un esercizio utile. Dare dignità al diverso, dare pari legittimità, riconoscere la reciprocità delle nostre biografie è un gioco sostanziale, relativo al tentativo di comprendere le scelte degli uomini, di qualunque specie esse siano. Adatto a comprendere la verità dell’eterno ritorno. Un circolo vizioso che fa perno su un punto di facile individuazione: la lettura del mondo secondo interessi personali.


Per dare pari dignità al diverso, è necessario astenersi dal farsi prevaricare dalla propria moralità. È necessario prendere le distanze dal proprio sentimento separatore. Emettere un giudizio, attribuire perciò delle proprietà a quanto crediamo di vedere fuori da noi, ritenere perciò ci sia una realtà oggettivabile e oggettivata è esattamente quanto impedisce la realizzazione del mio intento, la cui sintesi potrebbe essere che il problema non è se una posizione è giusta o sbagliata, se un fatto è vero o no, ma in che termini lo è vero e in quali non lo è.


Tutte le nostre posizioni sono arbitrarie e fanno capo alla nostra biografia. Questa è un deus ex machina che per sua natura sceglie dal volume infinito dell’ipotetica realtà, dell’iperuranio direbbe Platone, i dati necessari alla sua sopravvivenza. Li prende, li allinea e ne conclude una certa verità. E un procedimento del quale non si ha consapevolezza. Ne deriva un campo con le sue regole, i suoi limiti e la sua verità. Che guarda a caso ben si addice a sostenere noi stessi. È una modalità ineludibile, la cui consapevolezza o meno genera però mondi diversi.


Non si tratta però di ardire all’astensione del giudizio, quanto piuttosto di non identificarsi in esso. Tutte le posizioni ci sono già: come sarebbe possibile che la nostra abbia più ragione d’essere di quella affermata da altri? Evitare di identificarci con il nostro giudizio significa non concedere ad esso il diritto di sopraffazione.


Acquisire le consapevolezze necessarie a riconoscere la centralità egoistica del cosmo, la sua ermeneutica, la sua episteme, comporta un processo possibile a chiunque sia motivato a questa ricerca, nonostante il nostro humus culturale non la agevoli. In ogni caso, per certi aspetti, già lo pratichiamo. In esso risiede il motivo per cui non ci puniamo, per le nostre mancanze di un tempo. Ne comprendiamo invece le ragioni e semplicemente ne prendiamo – consciamente o inconsciamente – le distanze. Come se il nostro io di allora non fosse più quello di ora. Giustificare ciò che facevamo e credevamo ci è possibile in quanto ricostruiamo la struttura di circostanze che ci ha condotto a certe scelte. Nel medesimo modo tendiamo ad accettare i misfatti compiuti da altri. Con queste modalità possiamo perciò riconoscere come allora e come ora, giocando su campi differenti ai nostri differenti comportamenti, diamo, nel loro presente, tutta la dignità e legittimità possibile. E quanto, al momento delle affermazioni, sempre siamo in grado di difenderle, se necessario fino alla sopraffazione di chi non la pensa come noi.


Dunque, è sufficiente cercare nella nostra biografia, e nella relativa autoindulgenza, per fare esperienza di cosa significhi riconoscere che l’autoreferenziale campo in cui ci muoviamo non può avere maggior diritto su quelli dei movimenti altrui; come sia possibile realizzare la pari dignità tra noi e il prossimo. Se poi si ha l’interesse a coltivare il tema, si arriva anche a vedere che l’altro da noi non è che un noi in altro tempo, spazio e forma. Esattamente come eravamo noi quando facevamo cose che ora aborriamo.


Il processo di presa di coscienza in questione è di tipo evolutivo. In esso è implicato un gradiente di benessere – tanto individuale, quanto sociale – altrimenti precluso. Gradiente che viene meno quando ci sentiamo obbligatoriamente impegnati a difendere le nostre verità, e, se necessario, anche ad attaccare. La difesa di un’idea, di una scelta, di una posizione impedisce il riconoscimento delle ragioni altrui, è il contrario dell’ascolto, e mantiene il conflitto come standard di vita. E, con il conflitto, la sofferenza che questo implica. Attivare il processo della reciprocità, smorza o annulla le difese a priori che applichiamo alle nostre scelte, tendendo così a ridurre le ragioni dei conflitti. Alza quindi lo standard del benessere, della serenità, della forza.


Nonostante la mia propensione a riconoscere in che termini è vera un’affermazione contraria alla mia, questa volta mi trovo in difficoltà. La sola struttura che riesca a ricreare, che comporti quanto mi sono sentito recentemente dire, è ancora un giudizio: miseria. Mia e sua.


Ho chiesto a un amico – corpo d’élite italiano, e forse più – che so pensarla diversamente da me in merito a tutto, un commento su alcuni articoli che ben rappresentavano la mia posizione su alcuni aspetti dell’attuale situazione socio-politico-pandemico-sanitaria. Mi ha risposto che erano un elenco di luoghi comuni, ha stigmatizzato il blog che li aveva pubblicati, ha fatto del sarcasmo su una delle affermazioni presenti in uno degli articoli. Anch’essa idonea a rappresentare la mia preoccupazione.


Quando gli ho sottoposto gli articoli, pensavo avrebbe preso qualche affermazione in essi contenuta per argomentare perché non la condividesse, perché fosse errata. Speravo mi dicesse come in effetti stessero realmente le cose. Non l’ha fatto. Non era la prima volta che risolveva in quel modo fuggitivo le mie richieste di sue critiche. Dopo la sua risposta – chiamiamola così – vuota di argomenti, si può concludere che quegli articoli, che per me erano tutto, per lui erano niente. Non meritavano attenzione. Non contenevano una posizione da considerare se non liquidandoli come va di moda ora, senza una ragione.


Erano tutto perché esprimevano una posizione lontana ed estranea alla narrazione governativa. Esprimevano un pensiero che, invece di essere negato, quando non deriso o totalmente travisato (1), avrebbe dovuto essere preso in considerazione in quella narrazione, da quell’élite. Che se i narratori non si erano mai occupati di quelle critiche, avrebbero dovuto esserne invece interessati.


Era una considerazione che poggiava le sue basi sulla democrazia, sull’imparzialità delle istituzioni, sul serio tentativo di ogni governo di tener contro di tutto il popolo che comanda, sul semplice fatto che riferiva argomenti. Ma, a ben guardare, era una base evanescente, quantomeno anacronistica e – ammesso sia mai esistita – ormai antistorica.


Gli articoli sottoposti al mio amico (3, 4, 5, 6) mi parevano idonei per rappresentare dove eravamo arrivati con le politiche da lui condivise, dal governo da lui sostenuto. A mezzo di quei pezzi avrei – credevo – avuto modo di sentire come la Costituzione non sia stata scavalcata, perché non era stato utile e necessario dire e sostenere menzogne sul vaccino e sulla tessera verde, sulla loro efficacia, sulla loro durata, perché era stato giusto ridurre e privatizzare il sistema sanitario, perché era stato giusto mentire sulla mascherina all’aperto, sostenere la segregazione anche entro la propria città, perché dopo le contraddizioni tra scienziati ed esperti non è stato considerato necessario attuare ripensamenti sulle scelte compiute e sulla squadra del Comitato Tecnico Scientifico, in che termini la stampa aveva fatto bene a divenire passacarte, quanto era stato giusto e doveroso colpevolizzare chi voleva legittimamente rinunciare ai rischi vaccinali, perché avevano fatto bene a tacere su questi, perché era stata scelta oculata non ascoltare chi aveva trovato cure efficaci, come mai, viste le esperienze delle guarigioni domestiche, non hanno voluto agevolarle. Allungare questo elenco è tediare e chiunque può considerevolmente implementarlo.


Per comprendere il disinteresse del mio amico ad un dialogo sui punti critici presenti negli articoli o ad esso riconducibili, era sufficiente cancellare la legittimità della base su cui poggiavo la mia idea. Democrazia, Repubblica parlamentare, Sovranità nazionale, Diritti inalienabili, Costituzione, sono concetti obsoleti anche se si guardano bene dal sopprimerne i nomi. A queste condizioni potevo comprendere la posizione del mio amico. Per poter realmente liquidare un confronto, doveva affermare il campo in cui Democrazia, Repubblica parlamentare, Sovranità nazionale, Diritti inalienabili, Costituzione non hanno valore.


La politica sta navigando in una direzione contraria alla rotta che ci avrebbe condotti verso lidi più umanistici che questo malcontento profondo induce a sperare. Ha scelto di solcare linee in mano ai potentati economico-finaziari. Stiamo perciò andando dove l’individuo e la sua dignità non saranno che un dato utile o inutile al sistema economico. Gli scartati saranno elemosinati con un sussidio ricattatorio. Gli abili – a scadenza temporale – saranno spremuti, e sostituiti a piacere. Alcuni saranno nobilitati con premi, destinati soprattutto ad alimentare la loro superbia e il loro buonismo. Superbia nei confronti del fu sottoproletariato, un tempo fascia minore, ora fascia sociale maggioritaria. Buonismo, nei confronti della medesima fascia. La contraddizione tra il loro sentimento e la loro facciata non li scompone: siamo sempre noi stessi e il filo rosso della nostra biografia ce lo conferma.


Tanto è vero che il processo evolutivo è affare individuale, così, per l’aspetto politico, si può concludere che andremo a finire dove il potere della politica vorrà. E non vuole intendere altro che non sia superbia e buonismo. La prima, perché sapranno dare dei disadattati a chi non sta alle regole del loro campo, la seconda, si riterranno i fautori di pensieri globalisti, i soli, a loro dire, necessari al bene comune.


Vorrei chiedere al mio amico ancora una cosa. Cosa pensa dell’editore, quello che ha ritenuto opportuno pubblicare gli articoli che ha liquidato senza alcuna dialettica e in poche parole: “Ho letto ma non vedo novità e non mi affaticherò a fare l’esegesi di questi testi, prodotti da quel faro delle libertà che è Arianna editore; insieme a truismi e a qualche fatto ci sono risciacqui di luoghi comuni fra gli apoti”, se nel novero della sua rassegna stampa è inclusa La Repubblica (1), il suo giornale.

 

Dopo aver consultato il mio amico per un parere su quanto letto negli articoli che gli segnalavo, ho visto Come un gatto in tangenziale. Se quanto scritto qui non è chiaro, buona visione.

  • Ma è populismo. Leggi non conta nulla.

  • Eh, sì. Temo risponda il mio amico.


Lorenzo Merlo


  1. https://www.repubblica.it/cronaca/2022/01/08/news/l_identikit_del_no_vax_basso_livello_socio_economico_e_di_istruzione-333086915/?ref=RHTP-BH-I322793271-P2-S1-T1.

  2. https://www.ariannaeditrice.it/articoli/covid-sorpresa-in-africa-la-strage-non-e-mai-avvenuta

  3. https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-boom-economico-italiano-e-l-inflazione

  4. https://www.ariannaeditrice.it/articoli/per-sessant-anni-non-mi-sono-mai-interrogato-sulla-mia-identita-sessuale

  5. https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-situazione-e-la-seguente

  6. https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-governo-alza-il-livello-dello-scontro

lunedì 10 gennaio 2022

Pensieri parole aforismi e... circostanze!



Circostanza: stanza circolare dove sentire l’essenza della circonferenza in trascendenza

la stanza migliore è quella vuota. manteniamo le nostre stanze leggere, arrediamole il meno possibile, ci renderanno liberi. è limitando il numero delle cose intorno a noi che ci si prepara ad accogliere l'idea di un  mondo infinitamente più grande. 

il mio laboratorio è pieno di tutto quello che ho raccolto in questi anni, vecchie moto vespe biciclette vecchi mobili oggetti sterei amplificatori casse anni 70 dischi manifesti fumetti oggetti di modernariato opere sculture quadri semi terre attrezzi strumenti musicali e altro, tutta roba di cui cerco di disfarmi perche sono sempre piu affascinato dal vuoto zen. 

la liberazione è percepire che siamo stati fortunati e felici, toccavamo il cielo con un dito e non ce ne rendevamo conto, eravamo su un altro pianeta. 



il turbo-capitalismo ci spinge all’appagamento dei sensi solo attraverso il continuo consumo di merci di ogni tipo senza badare all’economia circolare e all’ecologia profonda degli sguardi e delle parole, scambiati liberamente. immaginare raccontare la nostra terra e le nostre vite è una chiave concreta per salvarci da questo mondo in questa particolare curva dell’antropocene. sguardi e parole in questo fluire incessante di cambiamenti, immagini di futuri plausibili in un sistema di relazioni interattive. un modo di raccontate in un dialogo che moltiplichi i punti di vista e che dia il senso della complessità e la pluralità dello spazio e del tempo e che guardi alla totalità degli esseri e delle cose.  



disabitudine sarà perderci nella mancanza di abitudine, disarmonia la mancanza di felicita, appuntamento disdetto al metro cubo d’aria seduto al nostro posto, ennesimi e sorprendenti. meglio le metamorfosi di tutto ciò che esiste in tutto ciò che esiste, meglio brancolare nel buio dell’apparenza e dell’inconsistenza con la speranza di essere catturati da un vortice di danza nella nebbia. 



un lungo viaggio col vento forte in un luogo con fiori senza nome dove le feste hanno perso la loro funzione primaria originaria. il vento forte della contemporaneità, il consumismo ossessivo e i ritmi di vita spesso esasperati che siamo costretti a sopportare. il lungo viaggio delle feste e delle tradizioni che hanno viaggiato per millenni. sembriamo scemi in realtà lo siamo veramente. troppo avanti e troppo indietro allo stesso tempo. all’ homo oeconomicus e consumans possiamo aggiungere serialibus e achepalus con tanto di certificazioni di qualità e idoneità, come le merci e i servizi. come del resto già avviene con la formazione industriale delle nostre scuole con la conseguente uniformizzazione del pensiero. noi siamo unici e irripetibili. si tratta di un lavoro di archeologia delle relazioni sociali, di artigianato della cultura che ricostruisce pazientemente reti emotive attraverso il potere del linguaggio universale esistenziale. 

la birra fresca libera la zucca e altri mille girasoli stelle filanti e forme di fiori. l’ebrezza e la condivisione corale nella gioia estatica e vitale nella musica e nella danza, l’alternanza ciclica duale buio e luce. leggiamo la terra il cielo, la vita, i libri che ci portiamo dietro, le voci che ci parlano dell’universo, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, di noi. delle piante e delle stelle, avanti e indietro nel tempo e nello spazio, una peregrinazione nomade, scientifico poetica con la bussola della curiosità, dell’empatia e della consapevolezza.

ieri sera ho rovesciato tutto quel che ho raccolto durante il giorno qua e la nel mio cesto lettere parole paradossi e metafore in un groviglio chiassoso e informale ho riletto tutto prima di addormentarmi come sono _come suono_come risuono_ vedo_guardo_ sento _suono_ sono oggi-senza-cellu-lare-mare-neo-hippy-dodici-ore-appena-tornato-altra-dimensione




guardo sempre con occhi nuovi ogni mattina quando mi sveglio, sono io che scrivo, le parole le cerco e le trovo, questo è amore questo il mio mantra (nou au) 

ogni oggetto sembra in attesa di una vita che forse non tornerà mai, per scoprire sia intorno a noi sia dentro di noi variazioni e invenzioni che si susseguono che vale la pena leggere in contemporanea. 

si sente il calore emanato dalla terra delle mura quando all’imbrunire cala la frescura. 

quarto capitolo, il balcone si affacciava insieme ai fiori, lei si fermava i capelli guardando il sole nei paraggi, l’amore premeva dal profondo verso una nuova fioritura, un posticino nel cuore da qualche parte poteva pur esserci. 

di già, qua e là, sotto sopra, avanti indietro, in alto e in basso, a destra e a sinistra: il mare immenso, immenso strumento d amore, immenso strumento musicale, la parola vi giace insonne nel luogo ove più facilmente si raccolgono le emozioni: il tempo. 

cercatori di cuori rari naturali spinti da istinti ad amare gli istanti 

seduzione e gentilezza nella danza delle stagioni la vocazione del tempo il canto dei passi nel silenzio della strada. 

performance costruita su una sequenza di azioni fisiche e quotidiane dal tratto simbolico giocate sulla temporalità di ritmo cadenza e pausa. nello spazio architettonico linee pieni vuoti, luci e ombre, il corpo si offre al movimento come un rilevatore di rapporti, una mappa attraverso la quale leggere e decifrare l’ambiente e l’immensa regressione, quel che cerchi è dentro di te il resto è nel frigo… 

antro-pop-logia le due frasi piu famose del mondo sono I love you e made in china, entrambe non offrono nessuna garanzia! 

popsophia ermetica il principio del vuoto all’orizzonte degli eventi nel fuso delle necessità, l’avventura dell’astrazione completamente vuota senza memoria, niente più di una storia può trasformare una vita. 


il tempo è una prigione dalla quale ci illudiamo di evadere finché il sole della giovinezza rischiara l’orizzonte, c’è un filo logico e la gente c’inciampa, dall’invisibile realtà del continuo infinito presente, da millenni… 

la danza è una disciplina con la quale attraversare l’esistenza per comprendere e partecipare delle ragioni che sottostanno ad essa. è una rappresentazione simbolica della manifestazione universale e nello stesso tempo una via per la trascendenza; entrambi gli aspetti fanno di essa un arte sacra. 

il principio del vuoto all’orizzonte delle necessità, chiudiamo gli occhi e vediamo ciò che vediamo, possiamo vedere noi stessi come in un libro pop up saltano fuori figure mitiche personaggi assurdi, gobbi storpi donne bellissime bambini pestiferi vecchi contorti e vecchie matrone acide e consumate e poi odori suoni rumori sfumature del cielo lo sfrusciare dei vestiti il sapore del cibo la durezza della terra. tutto cesellato e scolpito fin nei minimi particolari che rimane ancestrale arretrato composito nei suoi innumerevoli riti nei suoi polimorfici simboli e nelle millenarie tradizioni dei paesi spaesati. 

poly(u)tropon nell’invisibile realtà del continuo infinito presente c’è un filo logico e la gente c’inciampa da millenni. il tempo è una prigione dalla quale ci illudiamo di evadere finche il sole della giovinezza rischiara l’orizzonte per questo se chiudiamo gli occhi per vedere ciò che vediamo potremmo vedere noi stessi. nelle linee che ci liberano dall’infinita regressione dell’io quel che cerchiamo è dentro noi stessi, il resto è nel frigo. 

scopriamo la città dal mare e il mare dalla città, in due è più bello! 

anche oggi il suono del mare è meraviglioso d’altra parte l’autunno e la primavera nella danza delle stagioni sono i mesi dell’armonia cosmica e nell’alternarsi di giorno e notte la luce e il buio sono equivalenti e si equivalgono. 

ascolto il mare immenso strumento musicale, immenso strumento d’amore. 

tutte ste storie per un pò di vino quando viviamo del nulla per il nulla nell’attesa… del nulla. 

poi hai scelto il rosa! il vento il mare il sole la sabbia canto armonioso forte d’amore. il cielo per cuscino malarazza dj licosa tarantula e malmignatta in casca la terra tutti giù per terra. 

terra che scorre cerco di cogliere un raggio di luce con una bottiglia tutto si muove intorno a noi cosi si va verso le stelle sic itur ad astra paziente sapienza l’opera che mette ordine al caos attraverso gli anni sessanta il filo invisibile dell’invenzione delle nuvole nell’orto delle quattro stagioni con dea madre e spiritus mundi.


messico e nuvole. attraverso gli anni sessanta da inquilino fuori posto, poco incline alla retorica e alle ideologie, agli entusiasmi del consumo e all’efficienza appagata del boom quale che sia l’idea, c’è una sola parola per esprimerla: transizione, verso un tempo curvo che sembra non avere né inizio né fine corrente di un fiume che conduce alla foce e alla sorgente. 

tutto è sospeso tra il punto d’origine e l’infinito blu egizio sintetico e cangiante riproduce il mare e da l’effetto dell’acqua in movimento, come rito di purificazione dell’anima e del peso della materia, scivolando tra le realtà navigando verso un flusso della vita irreale atmosfera fiabesca nella magica isola dei suoni, i sensi ci fanno percepire ciò che gli occhi non vedono. 

sonosfera. i sensi del mondo, i tamburi tribali elettroacustici determinano il paesaggio sonoro del villaggio globale, nella somiglianza del mondo al significato del significante. 

un lago abbracciato al cielo da terra e colline che si perdono all’infinito legato alla leggenda di un uomo che si innamora di una donna anche se terribilmente complicato, i sogni e la fiaba come i film servono a dire la verità. 

oggi casa invasa da troppe carte, fogli, giornali, giornali, giornali, parlano di pillola magica, da accumulatore seriale sto scaricando una cassetta dal portabagagli costretto a svuotare per una foratura. 

vorrei leggere tutta la mistica selvaggia, splendore trascurato del mondo. 

la mia missione è quella di intromettermi spero con discrezionetra quei polpastrelli della mano che tengono la penna e il foglio. 

il ricordo è poesia e la poesia non è se non ricordo. la forza del mito è nella sua inesauribile proliferazione di significati. la sua assolutezza fino all’astrazione e di per se simbolica in realtà nasconde una molteplicità di piani di lettura. 

le visioni del mondo, del tempo in cui nacquero quelle narrazioni e anche le informazioni che ci trasmettono oggi della società, dei modi di pensare dei modelli di comportamento. il mito continua a interrogarci e noi non cessiamo di interrogarlo come romanzo globale. 

ascoltate tutti quanti: tutto scorre sotto il disordine della realtà, attorno a un tavolo, son partito di sera con la luna in mano e il mio amico asino. 


la natura si racconta ogni giorno a chi sa leggerne i segnali che richiama alla mente: tempo tempo, cos’è il tempo? gli svizzeri lo fabbricano i francesi lo accumulano gli italiani lo perdono, per gli americani è denaro, per gli indiani non esiste, sapete che vi dico? il tempo è una truffa! 

ieri leggevo che chi guarda col cannocchiale e vede cose diverse di quel che vediamo noi può insegnarci molte cose. se poi vogliamo condividere e discutere le conclusioni, lo faremo con rispetto a quelli che hanno aperto la strada, sulla quale ci prepariamo ad andare, valutando il procedimento a posteriori, sulle basi degli argomenti, confrontando le conclusioni. anche se spesso capita che lo spirito del dialogo tra chi guarda dal cannocchiale e chi si rifiuta di guardarci sia poco proficuo e quindi a volte possiamo dire a chi guarda col cannocchiale che potrebbe pure non usarlo. 

cosa resta del mare, una volta abbastanza, la scelta giusta dove sono le lucciole girasole delle meraviglie. ci ritroviamo a fronteggiare un tempo curvo che sembra non avere né inizio né fine, corrente di un fiume che conduce alla foce e alla sorgente. 

l’esistenza sembra attutirsi d’intensitàsfumando la distinzione tra finzione e realtà, con la consapevolezza che anche le pagine invecchiano come le cose vive: si sgualciscono e avvizziscono. 

facciamo spazio, tempo curvo intenso forma del silenzio converso convesso di già di qua e di là di sotto e di sopra in alto e in basso a destra e a sinistra avanti e indietro convesso converso. vi arrivano poeti e tornano alla luce con i loro canti e li disperdono per il mondo. 

di queste poesie mi ci resta quel nulla dell’infinito istante inesauribile segreto che ricorda la grandezza della natura ed i limiti di chi vi si addentra. 

cercatori di cuori rari naturali spinti da istanti ad amare gli istanti: siamo. 

quando ci piace un fiore lo innaffiamo tutti i giorni una frase alla quale possiamo dare mille significati. quando amiamo la vita, la viviamo giorno per giorno. quando amiamo il nostro essere, lo nutriamo ogni giorno. quando amiamo la natura siamo delicati con lei sempre. 

una nota blu in chiave minore abbiamo un raggio di luce da percorrere. ognuno do noi ha un raggio di luce da unire in un grande sole centrale



il suono del mare apre i chakra equilibra il karma purifica l’aura


Raccontò anche la storia della scimmia che vide un riflesso di se stessa nello specchio e che sorpresa per un immagine così orribile, dipinse lo specchio con del rossetto per rendere l’immagine più bella. Dato che l’immagine continuava a essere la stessa, la scimmia finì per diventare pazza e, più pazza era, più brutta diventava l’immagine. Si mise a correre attorno allo specchio e alla fine si accorse che quello che stava vedendo era un riflesso, un’illusione, ed allora si mise a ridere. Guardò lo specchio e più rideva più diventava bella l’immagine.

come in un film inondato di luce e di grazia, che tratta di quattro elementi che inondano letteralmente lo schermo: la terra presente, coltivata e non, che si accavalla ad onde fino a perdersi all'orizzonte e all'infinito, fino a trasformare gli esseri umani in puntini colorati, insetti sgargianti pressati sul terreno

solo l’inchiostro cavalca il mio spirito mi muovo lento e a fatica nel bosco di linguaggio con il falcetto raccolgo lettere e parole che ammucchio sui fogli bianchi di quaderno in lontananza intravedo un gran cespuglio: traiettorie indissolubili deviano il flusso di alberi di canto immaginari immersi nel paesaggio sonoro sfondo dipinto del mondo circostante dove il vecchio fiume scorre ancora nel pesante baule di una lumaca almeno per questa sera viaggio nel suono della notte aprendo la via al suono interiore dei sogni e dei colori nella continua ascesa verso la libertà dalla materia. consapevole attenzione guida la riscoperta della memoria dove i pensieri restano immobili in istanti senza tempo: natura e spirito, spirito e natura danzano insieme, gloria allo spirito, gloria alla natura. la nave salpa e attracca in un altro porto e un nuovo nome soppianta il precedente: nella valle del pensare ho perso il bandolo della matassa e ora restiamo un po in silenzio per accedere all’incirca. l’ingresso è dopo il bar. lo stiamo ancora cercando passeggiando per erbe selvatiche nelle marche di brodolungo e ciocchecciò: ciambellone pesche sciroppate vino cotto. nella bella piazza le rondini garriscono allegre al suono dell’acqua dalla grande fontana centrale guardiamo oltre l’infinito la poesia della terra nella terra della poesia. 



i dolci amanti usciti dalla folla cittadina si avviano per la collina tramontate le stelle un FLUSH che squaglia l’istante come l’asfalto al solo agitarsi oltre la segreta linea. il pensiero debole del selvaggio colto o il pensiero colto del selvaggio debole a noi la risposta. quando parto ho uno zaino vuoto e torno a casa che lo zaino è pieno. difficile descrivere i doni ricevuti, con l’occhio del tempo guardo attraverso questo caleidoscopio di emozioni. sono partito verso una destinazione ignota non conoscevo nemmeno il nome del paese dove avremmo soggiornato. ero contento di conoscere nuovi amici senza nessuna aspettativa. dal primo istante ho sentito sintonia armonia. bello il paese,il panorama intorno è stupendo e il vento.., amo molto il vento. persone che arrivavano anche da lontano e tutte collegate da un filo invisibile. era come stare a teatro sul palcoscenico con altri personaggi o come in un giardino caotico e spontaneo, bello proprio per questo! 


abbiamo poco tempo per la fretta abbiamo altro a cui pensare la nostra zappa ha un tempo lungo e il suo ritmo è lento e ci avvolge in una nuvola di fiori coltiviamo empatia linea precisa e netta basta spostarsi di poco dal fiume e dalla sua corrente miracolo di una nuova vita, siamo quel che siamo in ogni momento polvere al vento. la polvere delle strade ha lasciato nella mente più di un granello di sabbia d’oro: amo le cipolle, nessuna stella nel cuore, amo la terra calda e rovente spesso lontana. mai stato zitto il campagnolo si specchia nella terra e la farfalla si libra sulla luna incespicando nelle stelle che giocano con la luna dei gemelli. il suono della terra nell’attesa del respiro algoritmo di un bacio senza spazio per lanostalgia, nuova utopia d’amore e nuovo orizzonte di vita per interiorizzare esperienze ancestrali arcaiche seminiamo ancora seminiamo sempre segni onirici realizzabili e non realizzabili complessità di ragionamenti che si fanno percorsi di vita individuali e collettivi: zenzero cannella e chiodi di garofano al profumo di bergamotto, nero è meglio! come la liquirizia e la pecora nera…



entrando in contatto con culture a noi sconosciute che aspettano ancora di essere decifrate e comprese, senza più muraglie vie impervie e rotte minacciose, senza limiti, ne abbiamo bisogno per vedere il mondo e farci vedere dal mondo. con osservazioni persuasive e sintetiche efficaci ed espressive esortazioni corti assemblaggi di informazioni precisi desideri formazioni di opinioni. bansuri sitar tamburo piattini armonium nel sacro rito della visione collettiva iconici minuti e consapevole attenzione guidano la riscoperta della memoria dove i pensieri restano immobili in istanti senza tempo: natura e spirito, spirito e natura danzano insieme, gloria allo spirito gloria alla natura. nella terra del cuore e del sogno giu alla piazza non cè piu nessuno una voce fuori dal coro misterioso quanto il desiderio umano, l’essenza della solitudine. i tempi stanno cambiando e la risposta soffia nel vento dei cesti di paglia del pane di una volta. la stiamo ancora cercando nelle campagne passeggiando per erbe selvatiche un due tre tutti giu per terra oltre la segreta linea della plastica. 



difficile descrivere i regali ricevuti ho sempre la sensazione che qualcosa possa decantare. con l’occhio del tempo guarderò attraverso questo caleidoscopio di emozioni, esperienze input e so che qualcosa prendere forma e sara modellato dalla mia passione e dal mio talento. sono partito verso una destinazione ignota non conoscevo nemmeno il nome del paese dove avremmo soggiornato. ero contento di conoscere nuovi amici senza nessuna aspettativa. la gente è il vero patrimonio artistico della citta, le relazioni umane che ho intessuto mi hanno arricchito e nutrito. 

scrivo su uno scassato intercity che si è perso nel cuore della notte mentre basella e perilla cercavano il senso d’urgenza con l’acqua che balla e l’albero che suona alla luce della luna con i pianeti allineati nel cielo pieno di stelle. il treno si è bloccato in mezzo al niente si è fermato a riposare ogni giorno tutti i giorni: a me piace, a te piace insieme/assieme a noi piace. ogni volta cantiamo viaggiando i paesaggi sonori: mandorle fichi secchi uva passa pan di spagna allo zenzero con succose more rosse raccolte nel bosco sul far della sera la pienezza dell’essere come vuoto all’infinito in ogni direzione mai sempre qualche volta raramente di solito spesso adesso/ora un po più tardi nei paraggi cinque metri più in la della dissonanza cognitiva e finalmente possiamo sentire il suono della terra in attesa del suo prossimo respiro di lavoro in lavoro di stagione in stagione raccogliamo il frutto dell’uomo. abbiamo attraversato campi su campi coltivati a pannelli solari che non fioriscono mai, siamo arrivati sulla via delle ginestre d’asfalto grigio e scuro e sulla via delle orchidee vicino alla fabbrica del cemento ci siamo fermati a comprare i sacchi rossi per le patate.. 

scrivo su uno scassato intercity che si è perso nel cuore della notte, catturato da un vortice spazio temporale. giorni fa in una bella masseria del 700 di monteroni ai giardini di sant’oronzo con giovanni motozappa e mimino glifosato a spremere il primitivo ed assaggiarne la succosa essenza d’umore d’amore. nel frattempo basella e perilla cercavano, in giro con l’ape per le vie di lecce, il senso d’urgenza senza trovarlo, premiate con l’acqua che balla e l’albero che suona, pasticcio di maccheroni e torta mandorlata. ho dormito in un vecchio camper del 90, un tempo di due artisti circensi, un mangiatore di fuoco e una donna barbuta sempre piaciuta, man mano, di mano in mano fino ad arrivare a cosmo centrale nella periferia del gruppo locale. Il camper si chiama madame così ho iniziato a immaginare questa donna anziana colorata e agghindata che mi raccontava storie d’amore e di vita seduti su una sdraio sotto l’albero d’ulia nel silenzio ovattato del caldo pomeriggio o al canto dei grilli la notte alla luce della luna sole nottambulo, con i pianeti allineati nel cielo pieno di stelle: mara l’acqua de la funtana è mara mara… ca se nunnera mara jeu me la bivia… il treno si è bloccato in mezzo al niente nel buio della notte vicino foggia e non si sa cosa sia successo, forse si era stancato e si è fermato un po a riposare, ora è ripartito, va piano! sembra ancora stanco, chissà se ce la fa tutti i giorni ogni giorno, ogni giorno tutti i giorni: a me piace, a te piace insieme/assieme a noi piace. ogni volta che mi trovo in una piazza canto viaggiando i paesaggi sonori che incontro: questa ninna a chi la do… mandorle fichi secchi uva passa pan di spagna allo zenzero con succose more rosse raccolte nel bosco sul far della sera la pienezza dell’essere come vuoto che si continua all’infinito in ogni direzione mai sempre qualche volta raramente di solito spesso adesso/ora un po più tardi mangiamo la mela nei paraggi cinque metri più in la della dissonanza cognitiva gocce che cadono dopo la pioggia. si diletta chi cerca sensazioni nel giardino delle emozioni. in-ten.si-ta: passeggiamo al ritmo delle foglie che cadono, nuotiamo nel vuoto e gustiamo il dolce sapore del nulla, essenza dell’infinito stupore dinamismo dell’amore di anime solitarie che si incontrano in una unica viandante tra le pagine bianche del tavolo, finestre verso la libertà. afferriamo l’aria e mettiamola in tasca e finalmente possiamo sentire il suono della terra in attesa del prossimo respiro, di terra in terra di madre in madre, di figlio in figlio, di arte in arte, di parte in parte, senza lei non posso vivere. di lavoro in lavoro, di stagione in stagione, raccogliamo il frutto dell’uomo per dare un saggio alla nostra anima. il nostro mondo è faticoso si zappa si coltiva si costruisce si cucina si canta si racconta si balla, un mondo di piccole cose semplici fatte con passione e armonia. con il rumba box abbiamo attraversato campi su campi coltivati a pannelli solari che non fioriscono mai, siamo arrivati sulla via delle ginestre d’asfalto grigio e scuro e sulla via delle orchidee vicino alla fabbrica del cemento ci siamo fermati a comprare i sacchi rossi per costruire una casa di terra e il tipo del negozio mi ha detto che cercava il mare calmo e ha trovato me e se restavo per la notte mangiavamo le ricotte… 



oggi il mare è verde e selvaggio come i suoi monti: mareanima fievolmente offuscata da granelli di sabbia che la luce illumina traccia analogica memoria dell’infinito istante mentre passeggio sulla spiaggia canto a loop: respiro nuvole pezzi di cielo persi nel vuoto noi abbiamo il tempo voi avete gli orologi facciamo quel che possiamo con quel che troviamo respiro nuvole pezzi di cielo persi nel vuoto per scoprire il bello cammino lentamente soffermandomi ad ascoltare, per avere tempo di pensare approfondire amare guardare, a volte la bellezza si cela nel non fare o almeno nel fare il meno possibile. lentezza solitudine silenzio azione minima efficienza massima sabbia soffice e fine profumi inebrianti, la spiaggia e il mare guidano lo sguardo il vento linea d'orizzonte incontro chiarimento dialogo confronto riconoscimento su quello che siamo pensiamo e vediamo alleniamo cuore e mente a cogliere i fili dell’invisibilità, legati da un grande senso di fraternità tra noi e la terra che ci ospita come tante piccole gocce che si incontrano per formare gocce più grandi mappa mentale di paesaggi interiori per sentire il luogo e vedere con la mente anche quando la realtà stringe la situazione.

il giallo è il colore della gioia, della follia tanto da sottolineare: io mi fermo qui, qui dove vivi tu, metafora della libertà: i sentieri secondari sono quelli che ci portano fuori dalla strada maestra, anche se impervi ci consentono di scoprire molte cose. bisogna rischiare per essere liberi come non mai.

Ferdinando Renzetti



sabato 8 gennaio 2022

Scioperi sindacali (dietro le quinte)

 


Tempo fa mi chiedevo se  i sindacati (quei tre regolamentari riconosciuti dai padroni), di fronte alla violenza padronale che si esibisce con i licenziamenti in massa attraverso la posta elettronica, avrebbero cercato di assolvere alla loro funzione.

La sciopero generale del 16 dicembre, mi apparve come mossa positiva di mobilitazione. Un primo passo importante.

Un primo passo. Rimasto ad oggi un solo passo. Nel frattempo i padroni hanno continuato come se nulla fosse. I tre sindacati hanno alzato la voce e hanno intimato al "governo" di farli sedere ad un "tavolo".

Il "governo" ha fatto capire che non ha tavoli e ha licenziato con una "e-mail" i suoi lavoratori dell'ex Alitalia.

Qui è successo un finimondo, uno dei capi sindacali si è arrabbiato davvero ed ha urlato "il vaccino deve diventare obligatorio". Gli esperti stanno decifrando il significato del messaggio. Alcuni, preoccupati, ipotizzano sia in codice come quelli di Radio Londra alla Resistenza Europea.

Il "governo" ignorante di Storia, ha preso alla lettera il messaggio e sta obbligando i vecchietti a vaccinarsi, pena € 100 di multa.

Io, che ascoltavo Radio Londra, non ci sono cascato. Aspetto il seguito del messaggio sindacale in codice, pronto a insorgere contro il fascismo e l'annesso "governo".

Giorgio Stern